Mr. Illustration
#38 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi l'intervista all'illustratore Davide Barco, cosa fanno a Roma e lo Shootaround.
Ciao, Travis Kelce e Jonas Valanciunas sono la stessa persona? Chiediamolo a Taylor Swift.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 38 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – se te la sei persa, recuperala qui – ho scritto di Caris LeVert e di cosa c'entra con il gruppo musicale The O'Jays, di Parigi e del suo rapporto sempre più stretto con la NBA e dell'All-Star Game a Indianapolis.
Oggi andremo invece a Roma – ebbene sì – e poi concluderemo con un ricco Shootaround, la rubrica che ogni mese dedico ai contenuti consigliati a tema pallacanestro trovati in giro per web e social.
Nel caso non fossi al corrente, quei due che ho citato all'inizio sono rispettivamente il tight end dei Kansas City Chiefs, freschi campioni NFL, e il centro lituano dei New Orleans Pelicans in NBA. Il primo è anche il fidanzato della star mondiale del pop. Che dici, si somigliano o no?
Prendiamo ora spunto proprio dal Super Bowl per introdurti l'ospite di oggi.
L’illustratore d’America
Nonostante sia finito sulle cronache per lo stato di crisi che sta attraversando – aspetto comune alla stragrande maggioranza dei magazine cartacei di tutto il mondo – Sports Illustrated resta un'icona delle riviste sportive. Nata nel 1954 come settimanale, diventata quindicinale nel 2018 e mensile nel 2020, da settant'anni racconta lo sport americano e mondiale, riservando grande attenzione, come recita il nome, alla fotografia e all’illustrazione. Finire sulla copertina di SI è, per ogni atleta, personaggio o realtà sportivi, un risultato di assoluto prestigio, quando non una pietra miliare. Ti ricordi, ad esempio, la famosa cover che ritraeva un LeBron James ancora liceale annunciandolo come The Chosen One?
Ebbene, c'è una persona italiana che su quella copertina in qualche modo c'è finita, con merito. Il numero di febbraio 2024 è stato dedicato, ovviamente, al Super Bowl, la finale del football, l'evento sportivo più visto negli States e uno dei più seguiti in tutto il mondo. Per la prima volta si è disputato a Las Vegas, città sempre più “El Dorado” dello sport professionistico, come raccontavo in Galis #17 e accennavo in Galis #36. Il team di Sports Illustrated ha voluto celebrare l'evento valorizzando il servizio interno di Steve Rushin con un'illustrazione ad hoc.
Ecco, sai chi è stato chiamato a realizzare l'immagine per la cover story? Davide Barco, classe 1986, origini venete, milanese d’adozione e tanta maestria.
Se segui il basket USA, ma non solo, molto probabilmente ti sei già imbattuto in alcuni suoi lavori. Il talento ha portato Davide sulle pagine dei principali quotidiani statunitensi, quelli grossi, come il New York Times e il Los Angeles Times. Ha lavorato e lavora soprattutto con clienti esteri d’eccellenza, tra cui i maggiori brand sportivi o network quali ESPN e CBS, nonché la NBA, e ha realizzato illustrazioni anche per realtà italiane. Ti sto parlando di un “top player”, anzi “top illustrator” che fa robe di altissimo livello. E non mi dilungo sul suo straordinario portfolio, che puoi ammirare qui.
Qualche anno fa, al TEDx di Montebelluna, ha raccontato come è riuscito ad arrivare a simili vette: se vuoi conoscere la sua storia, per certi versi incredibile, e magari trarne ispirazione, prima di continuare prenditi un quarto d’ora e guarda/ascolta il suo intervento qui.
Alcuni giorni fa, appreso della cover di Sports Illustrated, gli ho fatto qualche domanda sul suo percorso e sull'illustrazione sportiva.
Davide, cosa vuol dire per te aver realizzato la cover di Sports Illustrated? E il numero del Super Bowl, per giunta...
È stato uno dei lavori più significativi per me, in assoluto. Realizzare la cover di un magazine è già di per sé un grande risultato, ma avendo sempre ammirato i miei idoli apparire sulla prima pagina di riviste come questa, e in un certo modo finirci sopra anche io, è una soddisfazione che appaga tantissimo il me stesso bambino.
Cosa deve saper trasmettere l'illustrazione sportiva? Quanta importanza ha nella comunicazione di oggi, dove il visual è dominante?
A mio avviso, l’illustrazione sportiva deve riuscire a dare quello spunto in più che la foto non ti offre. Che si tratti di un’idea concettuale o puramente visiva, deve essere in grado di trasmettere sensazioni diverse, massimizzando la potenza comunicativa. È ovvio che alle fondamenta è necessaria un'idea forte, altrimenti ci si limita alla celebrazione del personaggio e a lungo andare diventa un esercizio di mera estetica. Quando questa idea di base c'è, il risultato è un vero godimento per gli occhi.
Racconta come hai cominciato a fare l'illustratore e se la tua passione per il basket ha avuto un ruolo.
All'inizio lavoravo da art director nel settore pubblicitario. Non avevo mai pensato di diventare un illustratore, perché non credevo di pagarci le bollette. Poi, dopo aver fallito un paio di tentativi di trasferimento all'estero e dovendo cercare di nuovo lavoro, ho provato a dare una chance alla mia propensione per il disegno e l'illustrazione. Vista la necessità di creare un portfolio di immagini per potermi "vendere", sono partito dal realizzare illustrazioni a tema NBA, considerata la mia passione sfrenata per la pallacanestro americana.
Collabori con grandi quotidiani d’oltreoceano, brand del calibro di Nike, Adidas, ESPN e quindi il top per un amante del basket: la NBA. Quanto è stato difficile creare ponti con gli Stati Uniti? Ci vai spesso?
Il sistema dello sports entertainment americano mi ha sempre affascinato e non ho mai smesso di allacciare rapporti con quel mondo. Non so dirti se sia stato facile o difficile, nel senso che non ho mai mollato e tuttora continuo a promuovermi a ogni occasione. Una volta all’anno, al massimo ogni due, cerco di ritagliarmi un paio di settimane da passare a New York, la città dei miei sogni, dove hanno sede i principali magazine e realtà sportivi, per presentare i miei lavori. Vorrei riuscire ad andare anche sull’altra costa, ma il volo aereo così lungo mi fa passare la voglia... Scherzi a parte, vista da fuori può sembrare una lista clienti importante, ma l’ho costruita con il tempo, mattoncino dopo mattoncino. Non penso mai di essere arrivato, anzi mi metto continuamente in discussione e cerco di fare sempre un passetto in più.
Tempo fa hai consegnato una tua opera a Gigi Datome: qual è invece il tuo rapporto con l'Italia? Quanta attenzione c'è, qui da noi, da parte dei media per professionisti come te?
Realizzare un'opera celebrativa per un campione come Gigi è tantissima roba. Per il resto, purtroppo in Italia si fatica molto in questo campo. Nel corso degli anni ho avuto modo di collaborare con le federazioni di pallacanestro e rugby, ma a parte ciò, che comunque significa molto per me, non c'è molta attenzione, ma non c'è neanche budget. Arrivano di frequente proposte ridicole in cambio di “visibilità”, principalmente perché la situazione dell’editoria italiana è davvero alla frutta. Diciamo che fa specie pubblicare illustrazioni sul più grande giornale del mondo, il New York Times, e non aver mai fatto nemmeno mezza cosa per La Gazzetta dello Sport.
C'è un aspetto del basket, o dello sport in generale, da cui trai ispirazione per illustrare?
Direi il dinamismo dell’atto in sé. Il fatto che si riesca spesso a raccontare un'intera partita, o un’intera stagione, con un’immagine. Mi piacciono le rivalità, le storie che stanno dietro un particolare evento e il fatto che al giorno d'oggi lo sport sia di ispirazione per quella che di fatto è l’epica moderna. Raccontiamo e tramandiamo fatti di sport come se fossero gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra storia, e in parte è effettivamente così.
Credi che la “volatilità” dei social rischi di non far apprezzare adeguatamente la qualità di un'illustrazione di alto livello?
Assolutamente sì, per questo mi è capitato di rifiutare progetti 100% social oriented. Non voglio sembrare anacronistico, perché, sia ben chiaro, grazie ai social il mio lavoro arriva in tutto il mondo. Ma mi dispiace molto sapere che, data l’abbondanza di contenuti, una mia opera venga guardata per pochi secondi e poi skippata. Su un'illustrazione posso trascorrere da un minimo di due giorni a un massimo di una settimana per curare ogni dettaglio, lavorare all’idea, definire ogni aspetto. Per questo tendo a preferire progetti che hanno “anche” una declinazione social, ma che non siano strettamente legati a quel tipo di media.
Hai disegnato uno splendido playground di Milano per Foot Locker, rievocando il pavimento del Duomo: cosa pensi del legame tra basket, street art e graphic design?
Intanto, grazie mille per le belle parole. Disegnare un campo per Milano è un onore che continuerò a portare nel cuore. A mio avviso, questa recente tendenza di riqualificare e abbellire i campi all'aperto è stupenda, ne giovano tutti, sia chi ci gioca sia chi semplicemente si ferma a guardare. È un’opportunità di realizzare qualcosa per la propria comunità. Il fatto di riuscire poi a legare nel concreto queste tre discipline in un playground è fantastico.
Scegli tre tuoi lavori a cui sei particolarmente affezionato.
Sono tutte le mie “prime volte”. Quella sul New York Times, con un’illustrazione a tema “scandalo FIFA” creata nel 2015 ma uscita un anno più tardi. Quindi, la mia prima collaborazione con la NBA: nel 2016 (la stagione del titolo dei Cleveland Cavaliers) vollero comunicare tramite artwork tutti i match-up dei playoff. A quei tempi non avevano ancora un social team numeroso, per cui lavoravo di notte in Italia per far avere loro i visual quasi in tempo reale, appena concluse le partite. Infine, l’illustrazione sul Los Angeles Times per celebrare il record di punti di LeBron James e il sorpasso su Kareem Abdul-Jabbar, uscita il giorno successivo. Essere sul giornale della città, con un'immagine così grande e importante, è stato molto gratificante per me. Anche se sono e resto un “jordaniano”! A queste aggiungo la cover di Sports Illustrated per il Super Bowl.
Cosa ti piacerebbe illustrare in futuro? A quali progetti stai lavorando?
Ho sempre in mente di realizzare una mostra, e mi sa che il prossimo anno le toccherà per i miei primi dieci anni di “carriera”. Al momento qualcosa bolle in pentola, ma non posso ancora parlarne. Ho in mente di trovare uno spazio tutto mio dove poter passare dai lavori commerciali a quelli più personali, a cui ora come ora vorrei dedicarmi, senza stravolgere casa.
Grazie a Davide Barco per la disponibilità e la cortesia.
Roma, Roma, Roma
Ci piacerebbe essere identificati con quelli che provano a resistere in una città del cavolo come Roma, che è assolutamente resistente a qualsiasi tipo di progetto.
Sono le parole un po' amare e provocatorie di Andrea Paccariè, esperto allenatore della LUISS Roma, la sorprendente squadra dell'università privata che si sta facendo onore in A2, dopo l'altrettanto sorprendente promozione dello scorso anno. Le ha pronunciate qualche settimana fa, dopo aver sfiorato una clamorosa vittoria sul campo della capolista Trapani (tra l'altro guidata da un proprietario romano, Valerio Antonini). E che, condivisibili o meno, fanno sempre riflettere sulla condizione del basket nella capitale, tra assenza di investimenti, progetti evanescenti e impianti non all'altezza.
Eppure, da un paio d’anni lo scenario sta cambiando, con nuovi attori saliti su un palcoscenico che era rimasto quasi desolatamente vuoto. Resta solo da capire, e questo lo si vedrà con il tempo, se si tratta di fuochi di paglia o di situazioni destinate a evolversi in maniera consistente e magari a durare a lungo.
Quelli che vanno dal 2020 al 2022, come già raccontato in Galis #30, sono stati probabilmente gli anni più bui per la pallacanestro romana. Al ritmo di una all'anno, la città ha perso le sue tre rappresentanti nel panorama nazionale: prima la gloriosa Virtus Roma, ritiratasi tristemente a campionato in corso; poi l'Eurobasket in serie A2, esclusa all’improvviso per inadempienze (parte della dirigenza sta cercando di ricostruire un progetto con la Supernova Fiumicino in B interregionale); e infine la Stella Azzurra, rinunciataria alla A2 e peraltro travolta da un grave scandalo di abusi di cui è accusato un suo coach.
Da queste circostanze, sono emerse tre realtà capitoline al momento protagoniste della scena.
Una è l'attuale massima portacolori di Roma, la LUISS, anche se si fa fatica a identificarla come squadra della città, e lo stesso Paccariè lo ha ammesso durante la conferenza stampa a Trapani. È comunque una novità assoluta per l’Italia: un team di studenti-atleti, pagati con borse di studio, che ha raggiunto una categoria professionistica.
Quindi sono arrivate le donne, nel senso che Roma è tornata ad avere una formazione in A1, l'Oxygen. Cinque imprenditori nel settore immobiliare e della cyber difesa e spazio hanno rilevato un titolo sportivo e messo su la squadra, finora con discreti risultati. L'ultima volta della capitale nella massima serie femminile era stata nel 1985 con la S.S. Roma sponsorizzata Algida e poi Bata, finalista scudetto l'anno precedente e vincitrice della Coppa Ronchetti.
Infine, la nota più entusiasmante: la Virtus Roma 1960, club che ha ereditato i tifosi della vecchia Virtus, seppur senza il logo originale e la bacheca dei trofei del passato. Sta andando bene in B interregionale e il 18 febbraio, per la prima volta, ha potuto disputare una partita al Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano da poco riaperto: 2500 spettatori, tutto esaurito. Guarda che bello questo timelapse!
Saranno queste tre società a riportare e stabilizzare Roma nelle alte sfere del basket italiano? Difficile da dire, al momento. La passione non manca, la base è quella di una metropoli di tre milioni di abitanti, c'è una bella scena playground (se ne parlerà nel terzo numero del magazine Overseas in uscita il 3 marzo) e si costruiscono nuovi campetti. Ma, alla fine, per avere in casa l'alto livello servono tanti soldi, voglia di investire, solidità organizzativa e lungimiranza.
Perché è chiaro che, scalando le categorie, aumentano proporzionalmente le esigenze da soddisfare. Una su tutte: dove giocare? Il Palasport dell'EUR è enorme e costoso, il PalaTiziano resta un impianto piccolo per Roma, mentre nel resto della città esistono solo palestre di quartiere piuttosto limitate. Negli anni scorsi le compagini romane di A2 sono emigrate a Veroli, Guidonia, Cisterna di Latina, Rieti. E non si parla mai di una struttura temporanea da cinque-seimila posti, che potrebbe essere l'ideale per una serie A maschile a Roma. Staremo a vedere: intanto fa piacere che c'è chi ci prova a tornare in alto.
Allo stesso modo, in termini di movimento, è positivo il fatto che il Palazzetto dello Sport torni a ospitare un importante evento: le Final Four di Coppa Italia LNP (Serie A2 e B) il 16 e 17 marzo, con otto importanti squadre, tra cui la Fortitudo Bologna. Roma ha bisogno di tornare a respirare il basket che conta. Del resto la piazza, potenzialmente, è da Eurolega. A proposito, visto che EuroLeague sta puntando molto, in stile NBA, sui grandi bacini d'utenza come Londra, Parigi e Berlino, chissà che al presidente Dejan Bodiroga non possa venire in mente di fare qualcosa per una città dove ha giocato per due stagioni e che ancora lo venera…
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
E così l'All-Star Game è stato di nuovo una “farsa”. Adam Silver c'è pure rimasto male: racconta tutto Dario Vismara su L'Ultimo Uomo.
Però almeno il nostro Gianmarco Tamberi ci ha regalato qualche schiacciata super al Celebrity Game! Qui il riassunto di Davide Fumagalli per Eurosport.
A proposito, quali sono i requisiti per ospitare l'All-Star Weekend? Li illustra Tommaso Busato su Backdoor Podcast.
Davide Corna di Around The Game ha invece radunato qui tutte le scarpe indossate dai giocatori a Indianapolis (traduzione dall’articolo di Garfield Hylton di Andscape).
A proposito dell'Indiana, dove il basket è religione e di cui ti ho parlato nello scorso numero, ammira in questo post la palestra scolastica più capiente del mondo, la New Castle Fieldhouse (8424 posti, anche se prima erano 9325).
Il 31 gennaio 1981 per la prima volta venne trasmessa una partita NBA in tv in Italia. E che partita: Celtics-Lakers. Con un particolare: era stata già giocata da quindici giorni. Mauro Bevacqua di Sky Sport ripropone una sintesi dello speciale andato in onda tre anni fa. Guarda il video su LinkedIn.
Bruno Cerella ha parlato del suo connubio tra carriera da atleta professionista, impegno sociale e attività imprenditoriale a Oltre il titolo, il podcast dell'agenzia di PR e media relations Disclosers (qui tutti gli episodi). Ha condotto l'intervista la PR Manager Isabella Castelli.
Michele Antonutti è stato una bandiera della APU Udine ed è ora il primo italiano a diventare ambassador di un club. Spiega cosa fa ad Andrea Salvadori di Forbes.
In esclusiva su Legabasket.it il film ufficiale della Final Eight 2024: guardalo qui.
Il coach italiano Sandro Orlando sta allenando una squadra femminile in Arabia Saudita: qui la sua testimonianza a Pianeta Basket.
Andrea Beltrama per L'Ultimo Uomo è andato alla scoperta di Caitlin Clark, nuova recordwoman di punti in NCAA femminile: leggi l’articolo qui.
Si parla spesso della possibile espansione della NBA in nuove (o vecchie) città, su tutte Las Vegas e Seattle. Ma come funziona la nascita di una nuova franchigia? Lo spiega per filo e per segno Federico Mosca di Dunkest.
Acrobati, nani, ballerine e tiri da centrocampo: il delirio degli show durante l'intervallo in NBA. Li ha raccolti Marco D'Ottavi, ancora su L'Ultimo Uomo.
L'ultima è stata quella di Kobe Bryant: tutte le statue di giocatori NBA in giro per il mondo messe insieme da Raul Barrigon di HoopsHype.
Finalmente il rebranding dei Los Angeles Clippers: scopri qui logo, divise e parquet. Tutti nuovi e, a mio avviso, molto meglio di prima.
Dreams è lo spot di Jordan Brand, nell'ambito della campagna Beyond che racconta Michael Jordan dalla prospettiva delle nuove generazioni, girato a Parigi nell’atrio di una banca in disuso trasformato in campo da basket. Ne parla Margherita Palombo su La Gazzetta del Pubblicitario.
Isaac Okoro dei Cleveland Cavaliers è ora comproprietario di HOLO, nuovo brand di sneaker sostenibili e accessibili fondato da Rommel Vega and Yuri Rodriguez: ne parla Garfield Hylton su Andscape. (in inglese)
Le stelle WNBA Isabelle Harrison e Shakira Austin hanno fatto un figurone alla New York Fashion Week: così Brent Yoo su SLAM. (in inglese)
Victor Wembanyama è il nuovo volto di Louis Vuitton, come riporta Sam Schube di GQ. E che te lo dico a fa’…
Infine, se il 21 e 22 marzo sei a Trento, ci trovi David Hollander, l'autore di Come il basket ha salvato il mondo. Con lui anche Matteo Zuretti e Flavio Tranquillo. Direi che merita, no?
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 38 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter.
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È tutto, ci vediamo il 31 marzo, giorno di Pasqua. Ciao!