La favolosa Las Vegas
#17 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi Sin City, film e serie di pallacanestro e la NBA che torna nel mondo
Ciao, se ti senti Dennis Rodman e vuoi mollare di botto il tuo stress quotidiano per un pazzo weekend a Las Vegas, allora continua a leggere.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il diciassettesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nell'ultima uscita (nel caso l'avessi persa, eccola qui) ho scritto di playoff, di stadi per la Final Four NCAA, della Madonna del Basket (sì, esiste) e di altre cose.
Oggi tieniti forte, perché ti porterò proprio tra le luci di Sin City, cercando non un tavolo da blackjack ma una palla a spicchi. Play your game!
What happens in Vegas...
Ma cosa sto dicendo? Voi siete dei professionisti, i migliori, sono sicuro che metterete piede fuori dal casinò. Però, certo, rimanga a imperitura memoria che una volta usciti dalla porta principale sarete sempre in mezzo a un cazzo di deserto!
Hai riconosciuto questa frase, vero? Esatto, Ocean's Eleven, film del 2001. Che è un remake di Colpo grosso del 1960, il cui titolo originale è appunto Ocean's 11 (scritto a numero, però) e con protagonista Frank Sinatra nei panni di quel Danny Ocean che quarantuno anni dopo sarà interpretato da George Clooney. Ocean's Eleven è uno degli innumerevoli film girati a Las Vegas e, almeno tra quelli che conosco, il mio preferito (se la gioca con 21).
Le parole di cui sopra le esclama Reuben Tishkoff, il riccone (l’attore è Elliott Gould) che finanzia l'impresa a cui si accingono Ocean/Clooney e la sua banda di ladri provetti che annovera, tra gli altri, anche Brad Pitt, Matt Damon, Don Cheadle: svaligiare ad arte i tre casinò del milionario Terry Benedict (Andy Garcia), nella serata in cui le attenzioni sono catalizzate da un immaginario match di pugilato tra Lennox Lewis e Wladimir Klitschko. Pugili, invece, tutt'altro che inventati: Klitschko è il fratello di quel Vitali oggi sindaco di Kiev, e nella realtà è stato quest'ultimo ad affrontare Lewis sul ring, nel 2003 a Los Angeles.
Già abbastanza collegamenti, vero? E te li posso aggiungere altri. Come il fatto che Don Cheadle ha recitato in due film di basket – Rebound, nel ruolo di Earl Manigault e il recente Space Jam. New Legends nei panni del “cattivo” Al-G Rhythm – o che Matt Damon lo vedremo presto al fianco dell'amico Ben Affleck in un film su come la Nike ha messo sotto contratto Michael Jordan (l’ho scritto in Galis #16).
Però ai fini del discorso di oggi mi soffermo su Las Vegas e sullo sport professionistico che “fiorisce” – battutina! – nel deserto del Nevada. Perché nella capitale mondiale di gioco d'azzardo, divertimento e vita notturna, lo sport è sempre stato visto come evento glamour, non come vera passione che ti fa interessare alle vicende di una squadra. Pensa, infatti, ai match-evento di pugilato di cui Las Vegas è location prediletta: nel cinema, oltre a Ocean's Eleven, ne troviamo un altro esempio in Rocky IV: il tragico incontro tra Apollo Creed e Ivan Drago.
Per decenni, le franchigie delle principali leghe pro statunitensi si sono tenute a debita distanza dalla Strip. Il primo problema era questo: NBA, NFL, NHL, MLB sono dotate di regole molto restrittive contro gioco d'azzardo e scommesse, soprattutto quelle sportive. E quindi il timore di un coinvolgimento dei propri dipendenti, in primis i giocatori, in attività del genere ha sempre scoraggiato un'operazione di sbarco a Las Vegas, sempre che di “sbarco” si possa parlare in un deserto... e già sono a due battutine sul deserto: se esagero, dammi un ceffone!
Perciò, nonostante il potenziale mercato di una città che con l'area metropolitana si avvicina ai due milioni e mezzo di abitanti, a un'ora di volo o poco più da Los Angeles e Phoenix, meta continua di persone da ogni parte d'America e del mondo non solo per l'industria dell'intrattenimento ma anche per altri settori come la convegnistica, il discorso del gambling è stato un forte disincentivo per lo sport professionistico.
Poi ce ne sono almeno altri due. Uno è la natura stessa di Las Vegas: va bene che è grande, va ancor più bene che gode di un clima tendenzialmente caldo e secco, ma basta farsi un giro lungo la Strip per capire che questa è una città diversa dalle altre, che gli orari per come siamo abituati a intenderli noi non esistono. I turni lavorativi sono spalmati lungo l'intero arco delle 24 ore e il ragionamento “esco da lavoro e vado alla partita” non è così semplice.
L'altro fattore riguarda il senso di appartenenza: molti abitanti sono temporanei o trapiantati da altre città, mentre al massimo i veri locals sono più abituati a seguire le squadre universitarie (UNLV Rebels su tutte), un po' come succede in gran parte dei luoghi dove il professionismo non è di casa. Quindi a trovare terreno fertile – “terreno fertile” nel deserto, e vai con la terza battuta! – a lungo sono state solo leghe minori di sport minori. Tra l'altro, a proposito di aridità, in realtà vegas in spagnolo vuol dire “prati”, il che deriverebbe dall'antica presenza in zona di pozzi d'acqua che irrigavano alcune aree verdi nel cuore del Mojave, dove sorge la città.
Tuttavia, negli anni contemporanei, le cose stanno cambiando. La legalizzazione e diffusione delle scommesse sportive un po' ovunque ha allentato la stretta e il professionismo ha iniziato a piantare le tende – quarta battuta! – nel deserto anche sportivo di Las Vegas. A rompere il ghiaccio – quinta e ultima! – non poteva che essere la NHL, la quale nel 2017 ha fondato qui i Golden Knights, con risultati subito soddisfacenti per un expansion team. Un anno più tardi è arrivato il basket WNBA, con le Las Vegas Aces, trasferite da San Antonio, dove si chiamavano Silver Stars e poi solo Stars. E in questo 2022, sempre da San Antonio, è arrivata Becky Hammon, alla sua prima panchina da capo allenatrice dopo un lungo e importante assistentato con Gregg Popovich, tanto da essere indicata come papabile head coach di una squadra NBA. Nel 2020 ecco il football con i Las Vegas Raiders, la storica franchigia di Oakland (con una parentesi a Los Angeles).
Gli arrivi in fatto di professionismo non si arrestano. A dicembre 2022 debutteranno i Desert Dogs di lacrosse, club di cui sono proprietari il golfista Dustin Johnson e tre canadesi, perché il lacross è sport canadese: l'ex icona dell'hockey Wayne Gretzky, il proprietario dei Brooklyn Nets Joe Tsai e il loro coach Steve Nash. I “cani del deserto” giocheranno alla Michelob Arena, impianto da 12.000 posti nel complesso del Mandalay Bay Events Center dove sono di casa anche le Aces di WNBA. Nel 2023, poi, ci sarà un gran ritorno, dopo quarantuno anni: la Formula 1, in circuito cittadino, terzo GP negli States dopo Austin e Miami. Solo voci, per il momento, su una franchigia MLB (baseball) e una MLS (calcio).
Insomma, lo sport pro non è più un tabù a Las Vegas. Ma ciò richiede impianti adeguati. Attualmente, tra quelli al coperto, il maggiore è la T-Mobile Arena, già attrezzata per l'hockey ed eventualmente pronta per la NBA con una capienza di 18.000 spettatori. È stata inaugurata nel 2016, mentre prima la più grande in città era la MGM Grand Garden Arena (17.000 posti), esistente dal 1993, che ospitò una gara di preseason nel 2014 tra Lakers e Kings.
Sempre 18.000 sono i posti del Thomas & Mack Center, impianto della UNLV (University of Nevada Las Vegas), quello che più di tutti ha finora ospitato il basket, tra cui gli Utah Jazz per undici partite nella lontana stagione 1983-84, appena inaugurato, e i Lakers nel 1992 per una gara di playoff contro Portland a causa delle rivolte che misero Los Angeles a ferro e fuoco. È l'abituale sede della Summer League e di allenamenti, amichevoli e partite delle nazionali statunitensi e nel 2007 vi andò in scena l'All-Star Game NBA 2007, un'edizione memorabile con Kobe Bryant MVP e autore di 31 punti. È stata l'unica volta che l'All-Star Weekend, sul quale in via eccezionale a Las Vegas non si accettarono scommesse, si è svolto in una città priva di franchigia NBA, inserendosi quindi nel suddetto filone di eventi sportivi glamour. Molto bello il logo, ispirato al noto cartello di benvenuto in città, realizzato nel 1959 con richiamo al tipico design dell'architettura Googie.
Arriviamo quindi alla domanda da un milione di dollari, anzi da tanti milioni, visti i soldi che girano nei casinò: Las Vegas avrà mai una squadra NBA? Ad oggi la situazione è questa. La lega ufficialmente non sta considerando un'espansione a breve termine. Però non ha nemmeno escluso a priori tale eventualità, soprattutto in seguito alla crisi economica innescata dalla pandemia, che potrebbe aver velocizzato qualche processo nell'ottica di recuperare le risorse perdute.
I modi per introdurre una nuova squadra in NBA sono due: relocation, cioè trasferire una franchigia già esistente da una città all'altra, con o senza cambio di nome (l'ultimo caso è stato il più clamoroso, quando nel 2008 i Seattle SuperSonics sono diventati gli Oklahoma City Thunder); ed expansion, cioè fondazione ex novo di una franchigia laddove non c'è, o c'è stata in passato: i casi più significativi sono quelli di fine anni '80, con l'apertura delle due squadre della Florida (Miami Heat e Orlando Magic) e dei Minnesota Timberwolves. Il più recente expansion team sono stati gli Charlotte Bobcats nel 2004, dopo che due anni prima gli Hornets se ne erano andati a New Orleans. Le stesse Charlotte e New Orleans rappresentano anche la terza via per creare una squadra NBA, somigliante più a un rebranding: una franchigia cambia nome ma resta nello stesso posto. Come quando i Bobcats sono ridiventati Hornets e gli Hornets di New Orleans sono mutati in Pelicans.
Tornando a Vegas, il commissioner Adam Silver, con il suo fare istituzionale, dice e non dice. Nelle interviste si è dichiarato favorevole alle scommesse, purché ben regolamentate, e questo è senza dubbio un punto a favore della città. Anzi, ha proprio nominato Las Vegas, affermando che, semmai la NBA dovesse considerare un'espansione, sarebbe sicuramente in lista, pur non essendo una questione urgente. Piuttosto, la lega si vuole espandere o limitarsi a ricollocare? L'orientamento pare quello di ampliare il business in mercati che possano dare una risposta immediata ed efficace ai problemi degli ultimi anni.
Anche la sempre più potente NBPA, l'associazione dei giocatori, si è espressa favorevolmente per bocca della sua nuova direttrice esecutiva Tamika Tremaglio, nonostante i dubbi dello stesso Silver sul fatto che una redistribuzione degli utili tra 32 franchigie e non più 30 crei un reale guadagno per tutti, per non parlare dell'ulteriore diluizione del talento. Si parla comunque di un ricavo immediato di 200 milioni a franchigia, che ripianerebbe le recenti perdite.
Nel 2024, inoltre, scadrà il contratto collettivo, il documento che di fatto tiene in vita la NBA, e le trattative per il suo rinnovo potrebbero costituire l'occasione propizia. Si andrebbe verso un'espansione a 32 squadre (stesso numero di NFL e NHL), soluzione che tra l'altro imporrebbe la revisione delle Division, o magari la loro cancellazione, visto che ormai non se le fila più nessuno.
Se così sarà, sembra fuori d'ogni dubbio che in pole position ci siano Seattle – praticamente a furor di popolo, ma anche perché oggi c'è una nuova arena, la cui mancanza è stata uno dei fattori decisivi per l'abbandono dei Sonics – e appunto Las Vegas. Anche Bill Simmons, nel suo autorevole magazine The Ringer, ha confermato la priorità per Rain City e Sin City.
Curiosità: conosci WarGames. Giochi di guerra del 1983, film iconico e anche ironico sulla guerra fredda? Ebbene, queste sono le due città obiettivo del fantomatico attacco militare sovietico innescato dal giovanissimo protagonista attraverso il suo computer... Ne ho parlato nel primo numero di Galis, se ti va di rileggerlo qui.
Ovviamente ci vorrà ancora tempo, ma ci sono grandi manovre all'orizzonte: Tim Leiweke, ex presidente della Maple Leaf Sports and Entertainment (società che detiene i Toronto Raptors) e di AEG (proprietaria della Crypto.com Arena di L.A.) e il socio Marc Badain, ex presidente dei Raiders di football, sono pronti con la company Oak View Group a sostenere la costruzione di una nuova arena da 20.000 posti nel cuore di Las Vegas, non lontano dalla Strip. Un investimento di 3 miliardi di dollari, uno dei quali per l'arena e il resto per casinò, hotel, teatri e cinema.
Poi c'è il fattore LeBron James: non ha mai nascosto che, a fine carriera, vorrebbe diventare proprietario di una franchigia NBA, emulando Michael Jordan. Lui è già socio del Fenway Sports Group, che controlla i Boston Red Sox di baseball, i Pittsburgh Penguins di hockey e il Liverpool di calcio: lo sbarco in NBA si porrebbe come prosecuzione naturale. E farlo in prima persona con una franchigia nuova di zecca permetterebbe a LeBron di costruirsi un’altra importante storia di uomo d’affari.
L'allargamento della NBA metterebbe in salvo le mai sopite paure di varie città di vedersi sfuggire la propria squadra per ragioni di mercato. Si era vociferato di un addio al Minnesota dei Timberwolves (dopo l'acquisto da parte dell'ex giocatore di baseball Alex Rodriguez, operativo dal 2023), dei Pelicans da New Orleans (considerata una piazza tiepida per il basket e con il dilemma sul futuro di Zion Williamson) e dei Grizzlies da Memphis. Questi ultimi sembrano fuori pericolo almeno fino al 2029 grazie al rinnovo dell'accordo per il FedEx Forum e potrebbero beneficiare della popolarità di Ja Morant. Un po' come il “Giannis Effect” che praticamente ha salvato Milwaukee – città e Bucks – da un sicuro declino, restituendo interesse sportivo e non solo alla patria delle Harley-Davidson.
Anche i Sacramento Kings sono ormai al sicuro: gli ex proprietari, i fratelli Maloof, minacciarono più volte di trasferire la squadra a... Las Vegas. Ma alla fine vendettero tutto nel 2013 a Vivek Ranadivé e oggi i Kings hanno un'arena all'avanguardia.
Ci sono altre città che potrebbero scalzare Seattle e Las Vegas dalla cima della lista? Poche e non molto convincenti rispetto all'appeal delle prime due: si parla di Kansas City, Louisville, San Diego, Pittsburgh, Vancouver (che ha già deluso, ma il Canada di oggi potrebbe meritare una seconda franchigia) e addirittura Mexico City (dove è arrivata invece la G League).
Al di là di come andrà a finire, sono convinto che la NBA saprà fare la scelta giusta al momento giusto, cosa che accade da sempre. Anche se non tutte le innovazioni mi piacciono, come questa sorta di “Final Eight” in stile Coppa Italia che vogliono inserire all'interno della regular season, riducendone le partite da 82 a 78. Ma in caso di ampliamento, sarei contento se la scelta ricadesse su Seattle (con l’indiscusso nome SuperSonics) e Las Vegas (chissà come la chiameranno).
Attenzione, però: durante una partita NBA lungo la Strip, un'organizzatissima banda di professionisti del furto potrebbe introdursi nel caveau dell'arena senza colpo ferire e portarsi via tutto l'incasso in barba ad Adam Silver...
Trailer time!
Questo giugno potrebbe tenerti incollato allo schermo non solo per le finali NBA e le finali scudetto: se sei appassionato di film e serie tv sul basket, c'è tanta roba.
Il 2 comincia Winning Time in versione italiana, la serie sull'ascesa della dinastia dei Lakers anni '80. La puoi vedere su Sky Atlantic e in streaming su NOW, dieci episodi, due ogni giovedì. A quanto pare, è solo la prima stagione. Prodotta da HBO, è basata sul libro Showtime di Jeff Pearlman, che tra l'altro uscirà presto in Italia per 66thand2nd. Ti ricordo che non è un documentario, ma di una serie recitata, di cui avevo parlato qui. Speriamo in un doppiaggio di qualità, soprattutto nei termini tecnici, solito punto debole delle traduzioni italiane, ma di Sky mi fido abbastanza.
Senti anche questa: Jerry West, notoriamente non un tipo dal carattere facile, ha chiesto a HBO una ritrattazione e le scuse ufficiali perché Winning Time ne avrebbe denigrato l'immagine. Sembra infatti che il personaggio di West, interpretato da Jason Clarke, risulti troppo irascibile rispetto alla realtà e anche secondo il parere di ex giocatori e dirigenti dei Lakers la trasposizione cinematografica sarebbe esagerata. HBO si è difesa sostenendo che la serie non è un documentario e che si basa comunque su ricerche fattuali e fonti affidabili. Vedremo come andrà a finire, ma indubbiamente “Mr. Logo”, che oggi ha 84 anni, se l'è presa parecchio.
Dalle serie ai film. L'8 giugno su Netflix è la volta di Hustle. Adam Sandler, che ne è il produttore insieme a... LeBron James, interpreta uno scout dei Philadelphia 76ers in declino. Per rilanciarsi, deve convincere un problematico giocatore spagnolo a trasferirsi in America, dove entrambi avranno un'ultima chance per dimostrare di essere all'altezza della NBA. Nella parte dell’iberico recita Juancho Hernangomez, nel cast presenti anche Queen Latifah, che ricordiamo protagonista in Rimbalzi d'amore, e Robert Duvall. Nelle immagini c’è The Palestra, la storica arena di Philly di cui avevo parlato qui. E tra gli attori si nota un serbo di oltre 2,20 che gioca a Dallas: vediamo se lo riconosci...
E poi c'è Giannis. Dal 24 giugno su Disney+ arriva Rise, il film sulle origini di Antetokounmpo e dei suoi fratelli, dalle strade di Atene alla NBA. La star dei Milwaukee Bucks è interpretata da Uche Agada, Thanasis da Ral Agada e Kostas da Jaden Osimuwa. Sulla locandina, Giannis è mostrato nella divisa del Filathlitikos, la squadra minore della capitale greca con cui ha esordito nel basket. Se puoi, perdona a Disney+ il “Bucks' miglior marcatore di sempre” che si legge nel trailer italiano… neanche lo avessero tradotto con Google!
La NBA torna nel mondo
Con la fine dell'emergenza sanitaria, o per lo meno con la sua attenuazione, la NBA torna a recitare il suo ruolo globale, ripristinando innanzitutto le sue partite overseas: due gare della prossima preseason si terranno a Saitama, in Giappone (Golden State-Washington il 30 settembre e il 2 ottobre) e altre due, debutto assoluto, alla Etihad Arena di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Milwaukee-Atlanta il 6 e l’8 ottobre). Si tratta delle prime partite che la lega organizza lontano dagli USA dopo Bucks-Hornets alla AccorHotels Arena di Parigi il 24 gennaio 2020, poche settimane prima del lockdown. E sempre nella capitale francese Chicago e Detroit si incontreranno il 19 gennaio 2023 in una partita di regular season.
Inoltre, è stata annunciata nelle scorse settimane un'espansione della partnership tra NBA e Foot Locker Europe, che prevede tra l’altro NBA 3X, torneo 3 contro 3 per ragazze e ragazzi dai 16 ai 18 anni in programma in estate a Barcellona e Londra. Riprende anche #RaiseTheGame, programma di rivitalizzazione dei playground a Parigi e Rotterdam, dopo che nel 2020 erano state toccate Barcellona, Londra, Milano (Via Lazio) e la stessa Parigi.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Restando in tema Giannis, a Milwaukee l'artista Mauricio Ramirez ha realizzato questo.
Ancora, esce oggi la biografia del greco, firmata da Daniele Fantini e Davide Fumagalli di Eurosport ed edita da Sperling & Kupfer: acquistala qui.
Tra le novità editoriali, anche l'interessante Lost in transition. Piccolo glossario cestistico dell'intraducibile di Luca Picco (Ultra Edizioni). Dieci storie di giocatori NBA, ciascuna riletta attraverso una parola che non si traduce in altre lingue. Puoi acquistare il libro qui.
Claude Johnson è l'autore di The Black Fives (in inglese): la storia di come il basket si fece strada nelle comunità afroamericane nella prima metà del ‘900. Il volume è in vendita qui, mentre Johnson è intervistato qui da Jesse Washington di Andscape.
Questa è la mia recensione de Il favoloso Doctor J di Michele Martino.
Luca Samotti di Bergamonews.it ha intervistato Alessandro Mamoli di Sky Sport sulla NBA e sul libro Basketball Journey.
Per concludere il capitolo libri, sono stato intervistato da Alessandra Ortenzi (che ringrazio infinitamente) per parlare del mio Il parquet lucido nell'ambito di Scrivere di Sport, progetto di Sportive Digitali. Ti lascio il video integrale qui sotto, l’intervista testuale qui e questo link per ogni altra info.
Passiamo ad altri argomenti. Se ti piacciono i retroscena del basket dei college, Raffaele Fante di BasketballNcaa.com ti racconta una storia che ha a che fare con il NIL, cioè il meccanismo che ora gli atleti hanno per sfruttare la propria immagine.
Riccardo Pratesi su The Shot fa un po' di considerazioni "scomode" sugli arbitraggi NBA: il pezzo qui.
Sky Sport presenta i rinnovati trofei NBA firmati Tiffany & Co.
Debutta l'edizione canadese di SLAM: il primo numero presenta tre versioni diverse di cover con Steve Nash, Kia Nurse e Shai Gilgeous-Alexander.
Ecco il nuovo logo della FIP.
Qui puoi acquistare gli NFT di Pick-Roll, la startup italiana dedicata ai playground. Il ricavato sarà devoluto a beneficio di campetti e comunità di streetballer in tutta Italia.
Marco Giust, aka Marco Emilio Lepido, ha ideato una grafica in omaggio allo streetball notturno, sua grande passione. Il merchandising lo vende nel suo negozio di San Giuliano Milanese. Per saperne di più vai sul suo Instagram.
William E. Ricks di ESPN ci mostra quanto Drake è migliorato sul parquet (in inglese).
Infine, c'è molto basket in Seen it all, il video celebrativo dei 50 anni di Nike diretto da Spike Lee, in cui è tornato a vestire i panni di Mars Blackmon, personaggio di Lola Darling (suo film del 1986) più volte riproposto negli anni.
Conclusioni
Prima di salutarci, voglio ricordare una persona che non c'è più. Un mese fa ci lasciava improvvisamente Andrea Sciarrini. Era molto noto nella sua regione, le Marche, come giocatore dilettante e organizzatore di tornei e attività legate alla pallacanestro. Inoltre, aveva un ruolo chiave nel team del College Basketball Tour, l'evento estivo che porta in Italia il grande basket NCAA.
Non conoscevo Andrea di persona, ma ho avuto modo di scambiarci più volte messaggi via social, seguiva Never Ending Season e leggeva Galis. Da quel che si può intuire a distanza, era una persona positiva, appassionata, altruista, che viveva intensamente la sua vita. Aveva da poco compiuto 40 anni. Tra le sue ultime immagini, le foto di un viaggio a Miami dove era stato a una partita degli Heat. Che la terra ti sia lieve.
Ora siamo giunti alla fine di questo numero 17 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter.
Ti ricordo che puoi sostenerla offrendomi un “caffè virtuale” qui.
Ti invito inoltre a seguirmi sul web, su Instagram e su Facebook.
Puoi leggere Galis anche su MINDIT, piattaforma dedicata alle newsletter di qualità, che sta crescendo e di cui sono contento di far parte. È disponibile la nuova app per Android e iOS. Scopri tutto qui.
Se non sei ancora iscritto a Galis e stai leggendo queste righe perché qualcuno te l'ha inoltrata, fallo qui: la riceverai comodamente (e gratis) nella tua mail, ogni ultimo giorno del mese. Oppure iscriviti direttamente su MINDIT.
È tutto, ci vediamo il 30 giugno. Ciao!