Cryptobasketball
#13 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi gli NFT, una newsletter che ha fatto 1000 e il film di Slam Dunk
Ciao, se continui a leggere potresti ritrovarti in un posto che chiamano metaverso, qualsiasi cosa sia.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il tredicesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season. Qui ti parlo di basket, cultura e lifestyle.
Nella scorsa uscita (se te la sei persa, recuperala qui) ho scritto pillole su vari temi per salutare il 2021 e ho fatto il punto dopo aver completato un anno di attività con queste ventimila e passa battute che ricevi ogni ultimo giorno del mese.
Ora invece ti porto con me in un bel salto nel futuro, che ormai è il presente, cercando di fartici capire qualcosa e di esprimerti che ne penso.
Parola chiave: NFT
Giorno di Natale 1991: Michail Gorbaciov rassegna le dimissioni e la bandiera sovietica viene ammainata dal Cremlino. È il gesto che mette fine all'URSS e alla guerra fredda – già preceduto dal crollo del Muro di Berlino e dalla riunificazione della Germania – e apre l'età contemporanea.
Giorno di Natale 2021: lo Staples Center di Los Angeles, casa di Lakers e Clippers, cambia abbinamento commerciale e diventa Crypto.com Arena, grazie all'accordo ventennale da 700 milioni di dollari con la piattaforma di scambio criptovalute nata a Singapore nel 2016.
Ok, ho voluto esagerare con un'apertura a effetto, mettendo in relazione due eventi, avvenuti a trent'anni esatti l'uno dall'altro, che nulla o quasi hanno in comune: il primo è una pietra miliare della storia; il secondo è un cambio di naming rights di un impianto sportivo, che oggi è routine. Tuttavia, entrambi ti danno l'idea di quanto il mondo a cavallo tra i due millenni sia cambiato e di quanto tuttora viviamo immersi in una serie di epocali evoluzioni che non accennano a rallentare.
Credo perciò che il debutto della Crypto.com Arena in un giorno così simbolico come il Christmas Day, oltre a mandare in pensione quegli anni '90 ormai protagonisti indiscussi del nostalgia marketing (lo Staples era stato inaugurato nell'ottobre 1999), sia il segnale che proietta definitivamente anche il basket nel futuro.
In realtà da qualche mese c'era già la FTX Arena di Miami (ex American Airlines Arena) a essere sponsorizzata da un marchio dello stesso settore. Però la scelta del 25 dicembre e di uno dei palazzi più prestigiosi della NBA offre meglio la sensazione del cambiamento.
Ho 39 anni, il che significa che ho vissuto l'intera rivoluzione digitale, passando dalla dimensione analogica della mia infanzia all'era dei social. Non ho mai alzato muri di fronte alle innovazioni, anche per dovere professionale. Ho sempre cercato di imparare con curiosità e mente aperta le basi di ogni nuovo strumento, fin dai primi approcci con Windows 98.
Sicuramente mi piacciono molte cose di questo mondo, e con la stessa certezza dico che altre mi infastidiscono assai, ma per fortuna, mentre c'è chi si professa tuttora impedito a inviare una mail (e non parlo di settantenni), posso ritenermi uno che di fronte a un pc, un foglio Excel, un profilo Twitter, un tablet, un hashtag o una storia di Instagram sa dove mettere le mani.
Eppure oggi, non so se è perché il tempo passa anche per me, di fronte a certe ulteriori trasformazioni che salgono rapide come nuvole dall'orizzonte, inizio a sentirmi un minimo disorientato, ad avere qualche difficoltà di comprensione.
La pandemia, che ci ha visto passare sempre più tempo sui device, ha rafforzato un mio pensiero: il digitale ha facilitato innumerevoli attività quotidiane, ma quando ti accorgi che c’è chi mira a sostituire le relazioni vere, a farti beare della tua solitudine, a portarti via dalla realtà, quello è il momento in cui devi rallentare o fermarti.
Uno dei miei propositi per il superamento di questa fase è mantenere o recuperare l'autenticità dei rapporti con le persone. Noi non siamo il nostro avatar: siamo prima di tutto persone, anzi siamo soltanto persone. Essere aperti al progresso tecnologico è giusto, è anche un modo di essere, è spesso qualcosa a cui non ci si può sottrarre. A patto però che non siano cancellati i contatti reali tra esseri umani.
Per cui mi domando – e con estrema umiltà ti domando – il motivo per cui dovrei acquistare un NFT o compiere un'azione nel metaverso, se mai ne avremo uno. Sono certo che queste cose già stanno muovendo montagne di denaro e sempre più ne muoveranno, ma ora come ora mi sembra che si stia costruendo un’economia dell'evanescente, quando non del nulla.
Non penso di essere già un dinosauro ad affermare tutto ciò. Anzi, credo che questo avvenga perché le nostre menti, magari fatta eccezione per i giovanissimi, non sono ancora pronte a considerare la dimensione digitale allo stesso modo di quella reale. «Non stai pensando quadrimensionalmente!», sento nell'orecchio le parole di Doc a Marty in Ritorno al futuro III. Due mondi, digitale e reale, tra l'altro già piuttosto compenetrati, come avevo scritto nel numero 2 di Galis parlando del concetto di ubiquità digitale e di come fosse un po' destabilizzante l’introduzione del pubblico virtuale nella bolla NBA (rileggilo qui, se hai tempo).
A proposito, il discorso mi ha fatto venire in mente una frase di un altro film, molto più vicino a noi: The Social Network, sulla nascita di Facebook. Quel momento in cui lo spregiudicato Sean Parker, interpretato da Justin Timberlake, a un certo punto esclama a Mark Zuckerberg/Jesse Eisenberg:
Abbiamo vissuto nelle fattorie, abbiamo vissuto nelle città e ora vivremo su internet!
NFT, metaverso, Web3 saranno una bolla di sapone? O davvero rappresentano il futuro? Ancora non lo sappiamo. Però, da giornalista, ho studiato un po' e voglio provare a darti un minimo di orientamento.
Partiamo dalle tre lettere magiche: NFT. Stanno per non-fungible token, “gettone non sostituibile”. E che vuol dire? Ora ci arrivo. Intanto, ti spiego cosa sono: semplici file digitali. Una foto jpg, un'immagine grafica, un video, un tweet, lo skin di un videogame, un audio e così via. Due esempi di NFT, tra i più comuni: opere d'arte e card sportive. Niente, insomma, che tu non possa reperire sul web. Tutto qui? Eh no, troppo facile.
Gli NFT sono oggetti da collezione, in virtù del loro essere non sostituibili, ed eccoci al nome. Per essere NFT uno degli elementi di cui sopra deve certificare la propria autenticità attraverso la blockchain, lo stesso e complesso sistema utilizzato per le criptovalute (ossia le monete virtuali: bitcoin, ether e tante altre). Non sto a dilungarmi sulla blockchain: ti basti sapere che è una sorta di registro digitale, di “libro mastro” protetto in cui sono segnate tutte le fasi dell'elemento a cui è applicato (chi lo ha creato, chi lo ha posseduto ecc.).
Eccoti subito una distinzione importante: NFT e criptovalute non sono la stessa cosa – le seconde hanno già un mercato enorme (3000 miliardi di dollari nel 2021) rispetto ai primi (27 miliardi) – ma impiegano la stessa tecnologia. Ogni NFT, che puoi acquistare pure con denaro reale, è unico perché certificato in blockchain e il suo valore è soggetto alla legge della domanda e dell'offerta. Un NFT ha la sua autenticità, come un dipinto famoso: l'originale è solo quello che hai ammirato al museo, di copie ne trovi a bizzeffe ovunque ma non valgono nulla.
Attraverso apposite piattaforme puoi acquistare e vendere NFT di tutti i tipi, perché si possono creare collezioni su qualsiasi cosa: squadre (i cosiddetti fan token), brand, film, serie tv. Puoi comprare un'opera d'arte di Beeple, se hai qualche milione da spendere; oppure permetterti a molto meno uno dei Cryptokitties o dei Cryptopunks (cioè, ti rendi conto…). Per farci cosa? Per tenerli nel tuo wallet digitale. Leggi: per farci niente. Per il gusto di possedere qualcosa di unico, come nel collezionismo. E magari scambiarlo o rivenderlo. Però stai attento perché è un mercato ancora non regolamentato e molto volatile.
Il salto di mentalità più arduo è superare la concezione che un bene debba essere per forza tangibile. Ma aggiungerei che gli NFT rispondono anche a un certo desiderio di unicità e autenticità in un mondo, quello del web, in cui tutto è replicabile e a portata di mano.
Come si sono diffusi così rapidamente gli NFT nello sport? C'entra la pandemia, e ti pareva. La crisi economica di club e leghe ha spianato la strada a nuove forme di finanziamento. E da chi si può andare a bussare a quattrini? Dai tifosi. Come? Sul digitale, visto che stanno online tutto il giorno: gli NFT sono i protagonisti del nuovo fan engagement quale fonte di monetizzazione.
Il meccanismo è questo: io fan acquisto NFT messi in vendita dalla squadra per cui tifo e in cambio ottengo l'accesso esclusivo a esperienze digitali interattive. Posso dire la mia sulla scelta della nuova maglia o dei brani musicali per il prepartita, partecipare a giochi e sondaggi, interagire con atleti e coach.
Chi produce e vende NFT? Realtà come Crypto.com, Socios, Binance e molte altre, che si occupano anche e soprattutto di scambio criptovalute. Esse sponsorizzano club e leghe, fornendo loro un canale diretto per coinvolgere il pubblico e spartendosi i proventi (a meno che prima o poi le società non si dotino di piattaforme proprietarie). Il main sponsor dell'Inter, la squadra di calcio per cui tengo, quest'anno è Socios e pubblicizza sulla maglia i fan token nerazzurri.
Quel che mi lascia perplesso è che, di fatto, il tifoso paga per partecipare a piccole attività, come sondaggi o quiz, che finora venivano proposte gratis sul web o sui social. Con i fan token, in pratica, è concessa ai tifosi la possibilità di esprimere a pagamento il loro parere su questioni marginali di marketing, con zero potere decisionale sul club e zero diritti a eventuali dividendi, a differenza di quanto avviene con la normale vendita di azioni e titoli finanziari.
E finalmente arrivo al basket. La NBA non è rimasta a guardare e si è lanciata sul mercato degli NFT con NBA Top Shot, attivo da oltre un anno, in collaborazione con Dapper Labs. Cosa puoi fare lì dentro? Acquistare NFT chiamati Moments, disponibili singolarmente o in pacchetti. I Moments altro non sono che brevi highlights. Cose che puoi trovare su YouTube ma che in questo caso, autenticate in blockchain, acquistano valore unico e non sono replicabili. Il video della schiacciata di LeBron James in onore di Kobe Bryant è stato venduto a 387.000 dollari. La NBA si prende un terzo dei ricavi.
Hai presente lo scambio o compravendita delle vecchie figurine? Il funzionamento è simile: i pezzi più rari e richiesti costano di più, quelli più comuni e meno ricercati te li tirano dietro. Su NBA Top Shot, ogni collezionista, in base ai Moments che possiede, ottiene vantaggi e accede a iniziative online e offline.
Ma questo è solo un aspetto del rapporto sempre più stretto che connette la NBA al Web3. Ecco altre situazioni.
La lega ha una partnership con un altro importante marketplace di criptovalute e beni digitali: Coinbase.
Dallas Mavericks e Sacramento Kings permettono l'acquisto di biglietti in moneta virtuale, un fatto che prima o poi spianerà la strada al parziale pagamento degli stipendi con tale sistema, come già accade in altri sport (Leo Messi al PSG, oppure nel football NFL).
Crypto.com è anche lo sponsor di maglia dei Philadelphia 76ers, una delle franchigie più attive negli NFT, mentre l'analogo StormX lo è dei Portland Trail Blazers. E si moltiplicano i fan token delle squadre.
Michael Jordan, che un minimo di fiuto per gli affari ce l'ha, insieme al figlio Jeffrey sta lanciando Heir, che punta a far guadagnare denaro agli atleti di Jordan Brand attraverso la vendita di NFT in cambio di interazioni esclusive per i fan. Per dirne una, Heir sarà collegata alle playlist Spotify e Netflix personali del personaggio, per condividere i suoi intrattenimenti preferiti.
Molto interessante e di ottimo gusto l'iniziativa di Steph Curry, che per celebrare il record di 2974 triple ha lanciato una collezione limitata di NFT di lusso su FTX (sì, quella dell'arena di Miami) per finanziare la sua fondazione benefica Eat. Learn. Play. Curry ha coinvolto la giovane artista Andrea McDonald e l'ultra ottantenne Floyd Norman per realizzare bellissime opere grafiche vendute a 499 dollari l’una, che puoi vedere qui.
Stai certo che le novità si moltiplicheranno. Spero che adesso tu ne sappia un po’ di più.
E il metaverso? Il responsabile di questa buzzword è di nuovo lui, Mark Zuckerberg, che ha persino cambiato il nome della company di Facebook in Meta. Non si è inventato nulla: metaverse compare in un romanzo cyberpunk del 1992, Snow Crash di Neal Stephenson, in cui la gente fugge dal mondo reale in rovina per rifugiarsi in uno virtuale. Storia già sentita, no? Zuckerberg starebbe lavorando su una prossima piattaforma che vuole costituire l'estrema evoluzione di web e social, sancendo il trionfo della realtà virtuale.
Nel metaverso ci muoveremo con il nostro avatar in 3D – eh già, come il film del 2009! – facendo cose e vedendo gente: riunioni di lavoro, visione condivisa di film, giochi con gli amici, attività di formazione, acquisti di beni reali e digitali in negozi virtuali, anche con uso di criptovalute. Attività peraltro già abituali per molti. Insomma il metaverso sarebbe uno spazio digitale decentralizzato, secondo il nuovo significato che quest'ultimo termine sta acquisendo. Suvvia, non siamo vergini a cose del genere: l'ormai archeologico Second Life aveva in qualche modo anticipato tutto.
Dal creatore di Facebook per il momento non c'è altro di concreto, ma già stanno nascendo posti online come Decentraland e The Sandbox, sorta di metaversi in progress in cui sono addirittura in corso compravendite immobiliari di terreni virtuali. Inoltre noti brand, tra cui Nike e Adidas, stanno preparando le loro realtà virtuali su piattaforme di gaming già esistenti quali Fortnite e Roblox.
La NBA sta arrivando: i Brooklyn Nets hanno appena varato Netaverse, rendering 3D della partita quasi in tempo reale, grazie a 100 videocamere ad alta risoluzione intorno al campo, che consentono ai fan di sedersi virtualmente nell'arena e guardare la partita da ogni visuale.
Come detto, la pandemia ha accelerato e accentuato la compenetrazione e transizione tra reale e digitale. Io continuo a preferire il mondo reale e le autentiche relazioni tra le persone, e anche una partita di basket voglio godermela come tale, che sia dal vivo o in tv. Ripeto: il digitale deve agevolare la nostra vita, non sostituirla.
Tuttavia la domanda finale è: tra smart working, ubiquità, monete virtuali, beni intangibili, videogame partecipativi, non sarà che nel metaverso ci stiamo vivendo già da un pezzo?
1000 di questi Spicchi
Nel numero 3 di Galis – lo ritrovi qui – ti avevo raccontato la storia di Tom Konchalski, storico scout del basket liceale americano da poco scomparso. Era noto per HSBI Report, la sua newsletter rigorosamente cartacea, dattiloscritta, fotocopiata e spedita per posta a un pubblico pagante di coach e addetti ai lavori, che ha portato avanti per oltre quarant'anni, anche in piena epoca digitale. Trovo affascinante quando un prodotto informativo vintage continua a essere ancora autorevole, prezioso e apprezzato, nonostante le vertiginose evoluzioni dei media.
Spicchi d'Arancia è una newsletter che, per le dinamiche di oggi, si può definire longeva. Nelle scorse settimane ho ricevuto, come le altre migliaia di iscritti, il millesimo numero. Se stai dentro il basket, soprattutto italiano, forse la conosci già: è stata fondata da Guido Guida, ex firma de La Gazzetta dello Sport, il 1° giugno 2015. Spicchi non è analogica come quella di Konchalski, ma ha un aspetto che un po' nostalgico lo è: un semplice file testuale in pdf, con formattazioni ed elementi grafici minimi e tabelle Excel qua e là. I punti di forza sono altri: è una newsletter del tutto indipendente, senza sponsor o sovvenzioni dall’alto; la sua linea è impostata su qualità ed essenzialità dell'informazione cestistica.
È dunque un prezioso servizio di news “di sostanza” che, due o tre volte alla settimana, copre la pallacanestro italiana dalla A alla C, più la femminile, limita quella straniera ai movimenti di mercato di giocatori e allenatori con un passato in Italia, offre il palinsesto televisivo di basket e suggerisce alcuni articoli di rilievo dal web. Per ogni giocatore oggetto di notizia, è riportata una tabella dettagliata che riassume tutta la sua carriera, il che presuppone che l'archivio di Spicchi sia sconfinato.
Due rubriche sono davvero uniche: Agent News, che informa sui cambiamenti di agente da parte degli atleti (un fattore chiave che spesso però rimane nell'ombra); e Ultimo Spicchio, che chiude ogni numero dando notizia delle morti di personaggi legati al basket.
Spicchi d'Arancia viene diffusa anche attraverso un canale Telegram, che sta progressivamente sostituendo la classica mail. Inoltre, da sempre gratuita e senza pubblicità, ha avviato un programma di donazioni libere con cui sostenere il progetto (info: staff@spicchidarancia.it).
Slam Dunk, coming soon
Un anno fa Takehiko Inoue, creatore di Slam Dunk, ha fatto sapere con un tweet che era in cantiere un film tratto dallo spokon più amato dagli appassionati di basket. L'anime è stato trasmesso in Italia da MTV dal 2000, mentre il manga, già tradotto dal 1997, è oggetto di una recente (e bella) riedizione in 20 volumi di Panini Comics.
I giapponesi sanno essere molto abbottonati e in dodici mesi non hanno aggiunto molto altro. Sito e social ufficiali sono attivi, ma ancora abbastanza vuoti. Ciò che si sa è che il film uscirà nel Sol Levante il prossimo autunno, il titolo sarà semplicemente Slam Dunk e ci sono un teaser e un paio di locandine. Tutto estremamente minimal, come nella classica mentalità nipponica: mi piacciono. Una reca il disegno delle mani di due giocatori che si danno il fist bump, l'altra il quintetto dello Shohoku in huddle. Il claim inglese, non confermato, è: Just because I didn't want to lose, “solo perché non volevo perdere".
Stando a quanto riferiscono vari siti nerd, la trama dovrebbe riallacciarsi alla storia originale, quindi non ai quattro mediometraggi paralleli usciti in seguito. Sceneggiatore e regista è lo stesso Inoue, mentre alla realizzazione ci pensa la Toei Animation, la casa di produzione dell'anime fin dal 1993.
Mi soffermo su un aspetto importante. Slam Dunk ha debuttato come fumetto nel 1990 e, grazie al suo realismo, ha spopolato in Giappone, contribuendo a diffondere la pallacanestro in un paese non esattamente dedito al nostro sport. Sull'onda dell'enorme popolarità di Michael Jordan, la squadra del liceo Shohoku veste il rosso-nero per rievocare i Chicago Bulls e anche i colori delle avversarie richiamano gli abbinamenti cromatici delle più note squadre NBA. Allo stesso modo i capelli rossi di Hanamichi Sakuragi sarebbero ispirati a Dennis Rodman.
Quindi trovo entusiasmante 1) constatare quanto quei Bulls abbiano influenzato e continuino a influenzare la cultura pop e 2) vedere Slam Dunk tornare in voga nell'anno in cui i Bulls sono di nuovo competitivi e in un periodo in cui in Giappone, grazie a Hachimura e Watanabe, sono tornati ad amare la pallacanestro.
Se poi vuoi approfondire meglio cosa significa la creazione di Inoue per la hoop culture, ti consiglio di leggere questo pezzo top di qualche anno fa di Andrea Cassini su L'Ultimo Uomo (ne approfitto per segnalarti anche questo su Gregg Popovich di pochi giorni fa, stesso autore, scritto con Roberto Gennari).
Io, invece, avevo dedicato un post a una particolare location dell'anime.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Cominciamo col botto: Daniele Vecchi racconta Federico Buffa e come ha rivoluzionato la narrazione sportiva. Su La Giornata Tipo un must-read assoluto.
Anche Flavio Vanetti del Corriere della Sera non ci è andato piano: ha intervistato il commissioner NBA Adam Silver. Qui l’articolo (solo abbonati, a meno che tu non sia ancora dentro la soglia di articoli gratuiti).
Mentre Davide Chinellato de La Gazzetta dello Sport ha parlato con Scottie Pippen, a margine dell’uscita della sua autobiografia. Qui la pagina pubblicata dal giornalista sul suo Facebook (se ingrandisci un po’ l’immagine, dovrebbe essere leggibile).
È morta Lusia Harris, l'unica giocatrice nella storia scelta al Draft NBA. Sky Sport ricorda chi era.
Ecco le divise dell’All-Star Weekend, a Cleveland dal 18 al 20 febbraio.
Se capiti a Urbino, nelle Marche, puoi visitare la mostra NBArt di Giò Ross: celebri dipinti rivisitati in chiave pop e accostati alle star NBA. Info qui.
A Porretta Terme (BO), c'è il Santuario della Madonna del Ponte, patrona della pallacanestro, in attesa del riconoscimento definitivo del Vaticano. Ne ha parlato Jason Horowitz del New York Times qui (in inglese, solo abbonati se non hai raggiunto il limite di letture gratis).
Thai Neave è un fotografo australiano, ex giornalista di ESPN, che scatta immagini di canestri. Questo è il sito del suo progetto e questo il suo Instagram.
In Sicilia, invece, c'è un nuovo straordinario playground d'arte. Eccolo.
Ti sei mai chiesto perché i Los Angeles Lakers di domenica indossano una divisa bianca? Te lo spiego io.
Intanto, i Clippers stanno costruendo la loro nuova arena. Qui scopri come sarà.
E questo è un ricordo di Kobe Bryant, tratto dal mio libro Il parquet lucido.
L'interessante storia di Nico Harrison, da giocatore a manager Nike e oggi gm dei Dallas Mavericks: lo ha intervistato Marc J. Spears per The Undefeated (in inglese).
È nato ETHICS, il brand di scarpe di Langston Galloway. Ne parla Fabrizio Giuffrida su Outpump.
DeAndre Ayton rinnova con Puma, come riporta Nick DePaula su ESPN (in inglese).
Joon Lee sempre di ESPN ti porta alla scoperta di Mr. Throwback, negozio di basket rétro a New York (in inglese).
Claudio Coldebella, attuale direttore sportivo dell'Unics Kazan, si racconta al The Benas Podcast (in inglese) del coach e scout Benas Matkevicius, sul cui canale trovi anche altre interviste di italiani all'estero.
The Athletic diventa proprietà del New York Times. Ne hanno discusso due newsletter che seguo, a cui consiglio di iscriverti se ami il mondo dei nuovi media: Ellissi di Valerio Bassan e Digital Journalism di Francesco Oggiano.
Su Local Hoops un’intervista al celebre fotografo NBA Andrew D. Bernstein: da non perdere qui (in inglese).
Come funziona l’ufficio stampa e comunicazione di un club italiano di Serie A? Simone Mazzola di Backdoor Podcast lo ha chiesto ai responsabili di Brescia, Milano, Sassari, Venezia: qui la videochat e il podcast. Meritevole.
È appena uscito il libro Un canestro di ricordi (Urbone Publishing) a cura di Gerardo De Biasio e Francesco Miraglia. Un viaggio in cinquant'anni di pallacanestro attraverso le parole di giocatori, allenatori, giornalisti, dirigenti, tifosi. C'è anche un mio contributo, a pagina 203. Se vuoi, acquistalo qui.
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