Datome presidente FIP
#12 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi un po' di pillole di fine anno, di cui la prima bella forte, e lo Shootaround
Ciao, sì, hai letto bene, non sei già ubriaco e non lo sono neppure io, dato che non bevo: continua a leggere e tra qualche riga ti spiegherò il perché di questo titolo.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il dodicesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season. Qui ti parlo di basket, cultura e lifestyle.
Nella scorsa uscita (se non l'hai letta, recuperala qui) ho scritto dei centri di allenamento delle squadre NBA, di impegno sociale e dei miei libri.
Oggi, invece, è un giorno particolare: 31 dicembre. Finisce il 2021, ok. Ma non solo: Galis ha completato il suo primo anno. Ne riparliamo nelle conclusioni. Prima senti questa.
Idea: Gigi for president
Pensaci un attimo. In anni recenti, la Serbia ha scelto Sasha Danilovic, un grande campione, come presidente della propria federazione pallacanestro. La Spagna ha fatto lo stesso con Jorge Garbajosa. Gli Stati Uniti hanno appena messo Grant Hill al vertice delle squadre nazionali a stelle e strisce. Da pochissimo, la Georgia ha eletto Viktor Sanikidze (ex Virtus Bologna e Siena) come presidente federale. E magari ci sono altri casi di questo tipo – un ex giocatore carismatico e ancora giovane che assurge alla guida del basket nella sua nazione – che mi sfuggono.
Penso che anche l'Italia dovrebbe seguire un simile esempio e compiere finalmente un atto di svecchiamento, sia fisico sia di mentalità. Non entro nei meriti o nei demeriti di un presidente navigato ed esperto come il 76enne Gianni Petrucci, perché non è questa la sede per farlo e Galis vuole essere sempre una newsletter leggera. Però nessuno può che negare che buona parte del mondo cestistico italiano consideri Petrucci espressione della vecchia politica, di logiche di potere ormai superate, una specie di “parruccone” ormai lontano dalle reali esigenze dello sport odierno. Questa, almeno, è la percezione che avverto, senza entrare nello specifico, e ben sai che la percezione gioca un ruolo piuttosto importante quando si è alla guida di qualcosa che interessa a molte persone, che sia un club, un governo, un partito o, appunto, una federazione sportiva. Anzi, una federazione rilevante come la FIP.
Quindi, ti esprimo ora, senza pretese – prendilo come una sorta di “qui lo dico e qui lo nego” – una mia idea, che più che altro è un personalissimo vagheggiamento: vorrei che il futuro presidente della Federbasket fosse un ex giocatore che abbia carisma e goda di un ampio rispetto. Un po' come era stato fatto, anni fa, con l'elezione di Dino Meneghin, ma preferirei una figura più giovane che abbia vissuto il basket nel nuovo millennio. Così mi permetto di suggerire un nome, senza fretta, tanto non sarebbe certo per domani (Petrucci, poi, è stato già riconfermato fino al 2024). The winner is: Gigi Datome. Esatto, proprio lui. Tra un po’ di anni, ovviamente.
Vedrei benissimo Datome come presidente per rilanciare la FIP e di conseguenza tutto il movimento della nostra palla a spicchi, a ogni livello. Giocatore di primo piano con esperienza in Italia, Europa e NBA; persona di grande cultura, intelligenza e ironia, in grado di parlare a tutti; una presidenza dell'associazione giocatori di Eurolega già all'attivo; di bella presenza, perfetto anche dal punto di vista dell'immagine: con tali caratteristiche, a mio avviso Gigi è un uomo di spessore che rappresenterebbe al meglio il nostro basket e saprebbe indirizzarlo verso un lungimirante programma di sviluppo che metta al centro i giovani, le capacità, il talento, il rinnovamento delle strutture. Tra qualche anno, quando si sarà ritirato dal parquet, meriterebbe subito una chance del genere. Sarebbe inoltre un bel segnale per togliere dallo sport un po' di politica, intesa in senso lato, da sempre un limite con cui l'Italia deve fare i conti.
Credo che questa sia una scelta che andrebbe compiuta senza se e senza ma. E anche se per qualsiasi motivo non fosse possibile eleggere The Beard from Olbia a presidente federale, ci si dovrebbe lo stesso muovere in tale direzione. Perché alle scrivanie che contano andrebbe sempre messo chi ci sa fare e ha una visione ampia, non chi è politicamente più scaltro e “ammanicato”. Utopia? Intanto lancio il sasso: Luigi Datome per me è una figura adeguata a guidare la FIP del futuro.
A proposito: nel caso, pandemia permettendo, che tu avessi in agenda un viaggio a Istanbul, lascia perdere la Lonely Planet e fatti una fotocopia del capitolo dell'autobiografia Gioco come sono in cui Gigi descrive la metropoli turca. Vale i soldi della guida, anzi molto di più.
Deron Williams sul ring
Se per Gigi Datome il momento di smettere di giocare sembra ancora abbastanza lontano, e di ciò sono in ogni caso felice, c'è chi le proverbiali scarpe al chiodo le ha già appese da un pezzo. E adesso, come tanti altri, cerca di trovare disperatamente qualcosa per occupare il proprio tempo libero. Come Deron Williams. L'ex point guard di Utah Jazz, Brooklyn Nets e Dallas Mavericks, con un brevissimo canto del cigno ai Cleveland Cavaliers, due volte oro olimpico con Team USA, non è che sia così avanti con l'età – è nato nel 1984 – ma è assente dai campi ormai dal 2017, in seguito a gravi infortuni che ne hanno sensibilmente abbreviato la carriera.
Ricordo bene i suoi primi anni ai Jazz, che lo scelsero al Draft 2005 con la terza chiamata assoluta, quando formò una coppia molto affiatata con l'ala grande Carlos Boozer. Un pick and roll che, nel playbook dell'indimenticato coach Jerry Sloan e nelle fantasie dei tifosi, avrebbe dovuto ricalcare le orme del mitico Stockton-to-Malone, andato in pensione non molto tempo prima. Salvo poi rendersi conto abbastanza presto che 1) Williams e Boozer non erano neppure avvicinabili ai due eminenti maestri del blocco e giro e 2) l'era in cui in NBA si restava fedeli per sempre alla stessa maglia era ormai bella che finita. Però ci può stare, in quegli anni, che nell'immaginario cestistico si cercassero nuovi messia in sostituzione di quelli che avevano dominato il decennio precedente e che ormai si stavano tutti ritirando, come appunto John Stockton e Karl Malone o Michael Jordan, oppure iniziavano la naturale fase di declino delle loro stellari carriere, come Shaquille O'Neal.
Chiusa la parentesi storica, torniamo al Deron Williams attuale. Lasciato il parquet nel cassetto dei ricordi, ha cercato una nuova dimensione sul ring, lui che da sempre è grande appassionato degli sport di combattimento, dal pugilato alle MMA e al wrestling (ah, te lo dico, a scanso di equivoci: il pugilato è uno sport vero con un'enorme tradizione e lo rispetto, ma MMA e wrestling non li sopporto proprio).
All'interno di un evento di boxe svoltosi a Tampa, Florida, il 19 dicembre ha debuttato incrociando i guantoni con Frank Gore, un running back di football americano NFL. Il 37enne Deron, che si è presentato con una capigliatura bionda ossigenata anch'essa abbastanza vintage, ha battuto ai punti il suo avversario in un match di esibizione dalla durata ridotta. E, ad essere onesti, dal livello tecnico non eccelso. A suo dire, però, potrebbe non esserci un seguito: dopo che a fine incontro l'arbitro gli ha sollevato il braccio decretandone la vittoria, Deron ha commentato di essersi divertito, ma che un match è molto, molto diverso da un allenamento. Insomma, questa esperienza potrebbe essere presto dimenticata. Poco male, Deron, troverai qualcos'altro da fare.
Dinosauri e gessati
NBA Europe, nell'ambito delle celebrazioni per i 75 anni della lega, ha decretato la maglia più bella di sempre attraverso l'esito di un sondaggio in cui le preferenze espresse via web dai tifosi sono state sommate ai giudizi di un panel composto da 47 tra giornalisti, influencer e tifosi vip.
La jersey vincitrice è risultata quella viola dei Toronto Raptors, recante sul petto un dinosauro rosso a guisa di giocatore di basket. Sicuramente una divisa iconica, in auge presso la franchigia canadese negli anni '90 e tra l'altro indossata anche da Vincenzo Esposito nelle sue 30 apparizioni in NBA.
Al secondo posto la pinstripe dei Chicago Bulls nera a righine rosse, utilizzata soltanto dal 1995 al 1997, mentre terza si è piazzata la divisa sempre nera ma con bordi rosso e oro dei Philadelphia Sixers con cui Allen Iverson raggiunse le Finals nel 2001. Quarta e quinta rispettivamente la classica canotta gialla dei Lakers dello Showtime e la verde dei Boston Celtics, due uniformi “sacre”.
Tra le dieci maglie da scegliere, delle quali nessuna bianca (da sempre indicata come home jersey), figuravano anche: la divisa blu dei Denver Nuggets con lo skyline arcobaleno anni '80; la pinstripe nera a righine bianche ed elementi azzurri degli Orlando Magic (1989-1994); la celeste e rossa dei New Jersey Nets di Drazen Petrovic (riproposta da Brooklyn nella scorsa stagione); la blu con bordi arancio dei New York Knicks; e infine la nera con banda diagonale bianca e rossa dei Portland Trail Blazers.
La mia preferita, invece, non è la suddetta dei Raptors. In vetta avrei messo gli Orlando Magic e subito a ruota i Chicago Bulls. Insomma, i due gessati degli anni '90, a cui se ne aggiunge anche un terzo, che non era in gara nel sondaggio di NBA Europe: la maglia degli Indiana Pacers dal 1997 al 2005 (bianca, gialla o blu). Le divise a righine sono di un'eleganza pazzesca e con la loro linearità fanno una gran bella figura all'interno dell'esuberanza creativa di quel periodo. Non a caso, in questa selezione, i Nineties hanno fatto la parte del leone. Ma in realtà c'erano molte altre maglie che meritavano di essere inserite nell'elenco e credo che prossimamente conoscerai le mie dieci preferite in assoluto in uno dei miei amati pezzi a lista su Never Ending Season.
Overseas, sulle onde del basket
Gli americani sono soliti indicare con il termine overseas (letteralmente “oltremare”) tutto ciò che avviene al di fuori del loro continente. Quindi, se un giocatore viene ingaggiato in Europa o in Asia o altrove, dicono che va a giocare overseas, senza preoccuparsi troppo di distinguere luoghi così lontani. Un po' come quando definiscono international qualsiasi elemento non statunitense in una squadra NBA.
Come ben sai, però, il mondo al di fuori degli States è un tantino vasto e straordinariamente variegato. E lo stesso vale per il basket. Così, per raccontarne la grande diversità culturale da una prospettiva diversa da quella nordamericana, documentando l'influenza della pallacanestro sulla vita delle persone, è nato appunto Overseas. Un magazine in inglese realizzato da creativi italiani, rigorosamente cartaceo, di cui è in uscita il primo numero, che puoi preordinare qui.
Io l'ho già fatto e, se hai una certa dimestichezza con la lingua e ami le connessioni tra basket e stili di vita (e credo proprio di sì, altrimenti forse non saresti iscritto a questa newsletter), te lo consiglio anche a scatola chiusa, non avendo ancora in mano le 172 pagine del numero inaugurale. Ma le anteprime diffuse sui social confermano i sospetti già circolanti sulla qualità assolutamente alta di Overseas, la cui linea editoriale intende fondere professionalità fotografica e originalità delle storie per narrare il basket da nuovi punti di vista.
La cover è dedicata a una giovane donna: Awak Kuier, ala delle Dallas Wings in WNBA e in Italia in forza a Ragusa. È presentata come simbolo di una nuova generazione senza confini e sempre in movimento: originaria del Sud Sudan ma di cittadinanza finlandese, role model contemporanea che si esprime con umiltà e compostezza, Awak è stata fotografata e intervistata sullo sfondo di una Sicilia che a sua volta, da millenni, è crocevia di tante civiltà. E dove anche il basket è diventato un linguaggio comune di scoperta, accoglienza e crescita.
Oltre alle pagine dedicate alla giocatrice, il primo numero di Overseas ti porta nelle comunità rurali della Spagna, nel mondo arabo, nei playground di Parigi, lungo la costa adriatica italiana, in Danimarca, in Serbia, il tutto introdotto dall'editoriale di un cosmopolita come Boris Diaw, per raccontare visioni di basket che si discostano dal mainstream e scoprire come nei vari luoghi del mondo questo sport riesca, forse come nessun altro, a unire le persone ogni volta in modo sorprendentemente diverso. Il payoff del magazine, infatti, è: Equal hoop, distinctive cultures.
Non dimenticarti una cosa, però: niente fretta. Overseas è stato creato con un lungo lavoro e vuole essere un prodotto a lento consumo, senza quella frenesia che spesso non ci permette di apprezzare fino in fondo i valori e l'umanità che il basket trasmette. In ogni caso, se vuoi saperne di più c’è qui il sito, ma trovi molto anche sul profilo Instagram.
Napoli a cavallo
Poche settimane fa Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli calcio, ha espresso la volontà di inserire il simbolo del cavallo rampante nell'identità del club partenopeo, il cui logo attuale – la N cerchiata – appare piuttosto scarno e inespressivo. Non si tratta di un'improvvisa smania di emulare brand universalmente conosciuti come Ferrari e Porsche, citati dal numero uno azzurro, ma di un ritorno alle origini, dal momento che proprio un cavallo rampante figurava nello stemma del Napoli nel suo anno di fondazione, il 1926.
Se segui il basket italiano, hai pensato subito che l'idea di De Laurentiis non è certo nuova, perché il Napoli Basket, che sta ben figurando al primo anno in Serie A, dalla scorsa stagione ha introdotto nel suo logo una fiera testa di cavallo bianco su fondo azzurro e blu. Infatti, la massima rappresentativa cittadina di pallacanestro ha prontamente risposto al noto produttore cinematografico, prendendo atto con soddisfazione della volontà del Napoli calcio di seguire l'esempio dei colleghi del basket.
Poi ci sarebbe il discorso del “ciuccio”, cioè l'asinello, comunemente associato alle squadre napoletane. «E adesso cosa c'entra il cavallo?», ti potresti chiedere. In realtà il “ciuccio” è roba novecentesca, una reazione ironica alla figura del cavallo che prese piede durante i primi, difficili passi che Napoli muoveva nel mondo del pallone, caratterizzati da scarsi risultati. Invece il cavallo è un antichissimo simbolo che richiama storie e leggende locali e incarna il glorioso passato della città, capitale dell'omonimo regno. Infatti fin dal medioevo è tramandata la figura di un cavallo sfrenato, il Corsiero del Sole, raffigurato in una statua equestre che venne fusa nel 1322 perché considerata idolo pagano, e il cui bronzo fu riutilizzato per forgiare le campane del Duomo.
Del logo del Napoli Basket avevo scritto in questo post, ma visto che abbiamo aperto l'argomento ti racconto qualcosa anche qui. Si tratta di un'immagine ispirata nientemeno che a un'opera di Donatello: la cosiddetta Testa Carafa. È una scultura di bronzo del maestro fiorentino dalla storia molto particolare. Intanto, dove si trova? Nel capoluogo campano, ovviamente, presso il MANN, cioè il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, secondo il trend attuale che vuole identificare ogni museo con un acronimo cool. Tale testa equina doveva essere parte di un monumento dedicato al re Alfonso V d’Aragona, da collocare probabilmente nel Maschio Angioino, il castello più famoso di Napoli. Donatello ci lavorò a Firenze fino al 1458, anno in cui, però, il sovrano morì. A questo punto, essendo impegnato in molte altre committenze, l’artista abbandonò l’opera, morendo a sua volta nel 1466.
Cinque anni dopo, Lorenzo de' Medici inviò in dono la testa di cavallo scolpita da Donatello all'amico Diomede I Carafa della corte aragonese, e per questo è nota come Testa Carafa. Diomede la collocò nel palazzo di famiglia, in Via San Biagio dei Librai, dove rimase fino al 1809. Poi successe che l'ultimo principe dei Carafa la ritenne erroneamente una scultura di età classica e la sostituì con una copia in terracotta, regalando l'originale al futuro museo archeologico, dove si conserva ancora oggi. Insomma, una storia interessante: se anche il Napoli calcio scegliesse il cavallo come simbolo, sarebbe più facile farla conoscere a un pubblico ben più ampio.
Galis su MINDIT
C’è un interessante progetto in fase beta dedicato al mondo delle newsletter e a cui ho appena aderito con Galis.
È da poco nata la prima versione di MINDIT, una nuova piattaforma dedicata all'informazione libera e di qualità. Su MINDIT non troverai notizie flash, ma approfondimenti sulle tematiche che più ti appassionano, a cura di editor che con competenza e passione si dedicano alla divulgazione.
Infatti sono già numerose le newsletter di ogni genere che hanno aderito e che MINDIT riunisce nella stessa piattaforma. Mi fa piacere averci trovato, tra le altre, Turnover di Matteo Lignelli, che saluto, ed Ellissi di Valerio Bassan, che consiglio. Ringrazio Luca e Alberto per la gentile opportunità.
Per scoprire di più, clicca su questo link o entra qui.
Shootaround - Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
L'NBA Christmas Day è passato da poco e ci ha regalato cinque bellissime partite. Dario Costa su L'Ultimo Uomo ne ha scelte altrettante tra quelle più significative dei Natali passati.
Siamo in inverno e, purtroppo, c'è anche una grossa ripresa della pandemia: se hai parecchio tempo da trascorrere in casa, ecco 15 film di basket fondamentali da vedere, scelti da me.
Se invece preferisci leggere, gli allenatori di basket italiani hanno lanciato un nuovo magazine. Questo è il primo numero.
A Natale è avvenuto anche il cambio di nome dello Staples Center in Crypto.com Arena. Mike Coppinger di ESPN ha raccolto i momenti più importanti del palazzo di Los Angeles dal 1999 a oggi (in inglese).
E qui su Boardroom in un pezzo di Sam Dunn trovi come alcuni artisti hanno reso omaggio alla NBA per i suoi 75 anni (in inglese).
Tutto vero: a Milwaukee hanno dedicato a Giannis Antetokounmpo una linea del trasporto pubblico.
Un Roberto Gennari in grande spolvero prima ti racconta su La Giornata Tipo l'incredibile storia dei Washington Generals, gli sparring partner degli Harlem Globetrotters. Eccola.
E poi su Crampi Sportivi seleziona le 10 canotte NBA più brutte di sempre.
Parliamo di Steph Curry. Ha appena varato una collezione NFT per celebrare il record di 2974 triple. I proventi andranno alla sua fondazione benefica Eat. Learn. Play. Ne parla Nick DePaula su ESPN qui (in inglese).
Kirk Goldsberry stupisce ancora su Twitter con un video che raccoglie tutti i canestri da tre messi a segno da Steph in carriera.
Ma sappi che la dinastia dei Golden State Warriors non è stata solo gioia, come riporta Ethan S. Strauss nel libro I Golden State Warriors. La macchina della vittoria, edito in Italia da 66thand2nd. La mia recensione puoi leggerla qui.
Kawhi Leonard è cresciuto a Moreno Valley, California. E lì, insieme a New Balance, ha fatto riqualificare un playground. Eccolo.
Corey “Homicide” Williams, leggenda dello streetball di New York, è il nuovo direttore creativo di Foot Locker per il basket. Lo racconta Benyam Kidane di Sporting News qui (in inglese).
Lorenzo Bottini ripercorre su NSS Mag la storia del rapporto tra Puma – che ha appena lanciato la prima signature shoe di LaMelo Ball – e la NBA.
E sempre Puma ha presentato la prima collezione ideata appositamente per il basket femminile, firmata June Ambrose. Scoprila qui su The Undefeated, di nuovo con Nick DePaula (in inglese).
Bradley Beal parla con Max Resetar di SLAM del suo nuovo logo personale (in inglese).
Ricordi la foto virale con Zion Williamson assediato dai giornalisti al Draft 2019 e, accanto a lui, Goga Bitadze completamente ignorato? È un'immagine che mi è rimasta dentro e mi ha ispirato queste righe sul tema della motivazione.
Damian Lillard ha lanciato Move, un brand di solette professionali per chi gioca a basket. Trovi tutto sul sito corporate.
Ora un po' di cose da leggere, guardare e ascoltare. Iniziamo con alcuni ritratti.
Francesco Tonti scrive di Chris Mullin su L'Ultimo Uomo.
Luca Picco di Danny Ainge su Overtime.
Stefano Tretta di Vin Baker – non te lo ricordavi più Vin Baker, vero? – sempre su Overtime.
L'Olimpia Milano ci propone invece la storia di Ben Bentil, parlando di basket in Ghana.
Molto interessanti le riflessioni di Riccardo Pratesi su quanto conta il coach in NBA. Leggile su The Shot.
Riccardo e Simone di BasketBooks presentano alcuni degli ultimi libri di basket usciti nella puntata natalizia del loro format: guardala qui.
Bel colpo di Overtime che ha conversato con Stephen Jackson: ascolta il podcast qui.
Mentre Nicolò Melli si è aperto a Joe Arlauckas sul podcast The Crossover (in inglese).
Conclusioni
Ed eccoci qua. Come ti accennavo nell'introduzione, questo che hai appena finito di leggere è il dodicesimo numero di Galis. Ed essendo mensile, vuol dire che è già un anno che la newsletter è attiva.
Scusate se è poco, mi viene da aggiungere con un pizzico di sana presunzione. Inutile negarlo: aprire una newsletter, con gli strumenti a disposizione oggi, è fin troppo facile. Ciò che è difficile, invece, è darle continuità, rispettare la periodicità stabilità, trovare ogni volta nuovi e interessanti contenuti, farla conoscere sempre di più, non abbandonarla come purtroppo succede a tante altre.
Nonostante io sia un giornalista professionista, Galis, così come Never Ending Season, è un'attività che conduco per passione, senza fini di lucro, nel segno della qualità e della perseveranza. Cercherò di fare sempre meglio per offrirti un prodotto valido, che magari ti faccia attendere con trepidazione l'ultimo giorno del mese.
La linea rimarrà tale: esplorare tutto ciò che ha legami con il basket dal punto di vista del lifestyle e della cultura contemporanea. In un anno di newsletter, ho parlato di cinema, libri, realtà urbane, street art, arene, media, playground, brand di scarpe e palloni, design, relazioni con altri sport, progetti di comunicazione e anche un po' di me. Spero che tu sia rimasto soddisfatto e che continuerai a ricevere Galis. Ti ringrazio per esserci.
Ti ricordi perché l'ho chiamata così, vero? Galis come Nikos Galis, il grande play greco che giocava a basket con totale trasporto e la cui vicenda personale rappresenta un ponte tra Europa e America. Ma anche, più semplicemente, perché cercavo un nome facile da pronunciare e da ricordare, che fosse un po' ricercato. La pallacanestro di Galis, inteso come Nikos, è oggi qualcosa di vintage che abbiamo solo su YouTube e che, senza essere nostalgici, va scoperta e apprezzata lentamente. E infatti con Galis, inteso come newsletter, voglio raccontarti il basket con calma, uscendo dal parquet, declinandolo nella società di oggi e nella nostra vita quotidiana, senza il bombardamento continuo di social, highlights e breaking news.
Come sempre, ti invito a seguire il mio blog Never Ending Season sul web, su Facebook e su Instagram. Puoi scrivermi quando vuoi dal modulo Contatti che trovi sul sito, oppure dai messaggi privati sui social.
Se non sei iscritto a Galis e stai leggendo queste righe perché qualcuno te l'ha inoltrata, puoi farlo qui: la riceverai comodamente nella tua casella mail. Ricordati di salvare il mittente in rubrica, in modo che non finisca tra lo spam o le promozioni.
È tutto, ci vediamo il 31 gennaio. Ciao e buon anno!