Nel cuore della NBA
#11 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi centri di allenamento molto fighi, impegno sociale e i miei libri
Ciao, c'è il Natale che conosci e c'è il Natale di New York, che è quando Bernard King nel 1984 segnò 60 punti al Madison Square Garden. Ma perse.
Io sono Francesco Mecucci e questo è l'undicesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season. Qui ti parlo di basket, cultura e lifestyle.
Nella scorsa uscita (se l'hai saltata, recuperala qui) ti ho fatto conoscere, nell'ordine: lo Hoopbus; la nuova veste di Rucker Park; il famoso The Shot di Curtis Jerrells.
Oggi invece, che di novembre è il 30 proprio come il numero delle squadre NBA, ti porto dritto dritto nel loro cuore.
Chiamali pure headquarters
Per introdurti il primo argomento di Galis #11, come mi è già capitato in più occasioni, prendo spunto da un film a tema sportivo, la cui ambientazione esemplifica in maniera adeguata ciò di cui mi appresto a parlare. Il film è Draft Day, del 2014, con protagonista Kevin Costner.
Lo sport trattato non è il basket, ma il football americano: la sostanza, tuttavia, non cambia. Tra l'altro, la versione italiana è migliore di quanto ci si potesse aspettare, considerato l'alto rischio di traduzioni maldestre, avendo a che fare con termini tecnici e gergali di uno sport fortemente connesso con la cultura statunitense e con i meccanismi che regolano lo sport d'oltreoceano. In realtà qualche strafalcione c'è, ma meno di quanti se ne sentono in altri film.
È molto probabile, inoltre, che Draft Day ti sia sfuggito, perché in Italia non è che abbia avuto una gran distribuzione, anzi. Il football americano – che da loro è football e basta, perché per indicare il calcio usano soccer – dalle nostre parti, nonostante schiere di appassionati NFL anche molto competenti, resta disciplina di nicchia, al di là del fatto che in questo 2021 siamo diventati campioni d'Europa pure lì. In ogni caso, gran parte della gente conosce il football al massimo attraverso i film, fin dai tempi del Bud Spencer di Lo chiamavano Bulldozer, o lo confonde – sacrilegio! – con il rugby. Insomma, ci siamo capiti.
In Draft Day, Kevin Costner interpreta Sonny Weaver Jr, general manager in bilico dei deludenti Cleveland Browns, che in vista del Draft si ritrova tra le mani la possibilità di ottenere la prima scelta, con cui risollevare le sorti della squadra. Ma deve fare i conti con un dilemma che potrebbe costargli la carriera: scegliere il giocatore che tutti si aspettano, o puntare su uno di minore appeal, che però sarebbe più adatto alle reali esigenze dei Browns e all'idea di squadra che Sonny ha in mente? Il film è costruito su questa cruciale decisione, in cui il gm è chiamato a gestire pressioni che arrivano da tutti i soggetti che interagiscono con lui: il presidente, l'allenatore, i giocatori, i tifosi, le dirigenze avversarie, la sua famiglia.
In breve, se sei attratto dal funzionamento dello sport made in USA, te lo consiglio, perché ti conduce dentro i retroscena del Draft, il sistema con cui le franchigie professionistiche acquisiscono i giovani talenti. Inoltre, come Moneyball con Brad Pitt o High Flying Bird di Steven Soderbergh, affronta uno sport senza che di tale sport faccia vedere più di tanto partite e azioni: è il dietro le quinte quello che conta.
Infatti, al di là della trama, ai fini del mio discorso ciò che voglio mettere in evidenza è l'ambientazione: la storia si svolge quasi interamente nel centro di allenamento dei Browns, tra campi, palestre, sale pesi, uffici, mensa, spogliatoi e quant'altro. La struttura diventa essa stessa protagonista, cuore pulsante e testimone silenziosa degli avvenimenti, teatro di dinamiche ed evoluzioni che determinano il futuro della squadra. E questo è il motivo per cui tali complessi, nelle leghe nordamericane, sono sempre più importanti.
È notizia recente l’avvio, a San Antonio, dei lavori di realizzazione dello Spurs Sports and Entertainment Human Performance Campus. Un enorme complesso di 20 ettari a nord-ovest della città texana, di cui 8 di parco, che includerà sia il centro di allenamento della squadra (lo Spurs Performance Center) sia lo Human Performance Research Institute, una struttura medico-scientifica per lo studio della performance atletica e umana in genere. Inoltre, negozi, uffici, aree eventi, spazi per la comunità locale e molto altro ancora, per un investimento di 511 milioni di dollari che darà lavoro a 1700 persone.
Il progetto dei San Antonio Spurs è soltanto l'ultimo tassello di un mosaico in continuo divenire da una ventina d'anni, al completamento del quale ciascuna franchigia NBA si sarà dotata di una practice facility o training center di ultima generazione. Come avrai intuito, però, “centro di allenamento” è una definizione ormai piuttosto riduttiva. Abbiamo a che fare con veri e propri quartieri generali, simili a quelli di grandi aziende, destinati non solo all'aspetto sportivo, ma a ospitare anche gli uffici dirigenziali e tutti i reparti e ad aprirsi al pubblico con spazi per eventi e iniziative. E che quindi finiscono per assumere una valenza urbanistica e sociale, diventando punti di aggregazione e giocando un ruolo importante nella riqualificazione di zone in degrado, come avvenuto in molte città.
Il fatto che un club professionistico costruisca un proprio quartier generale dove portare avanti tutte le sue attività, agonistiche e non, non è così strano né una prerogativa americana, anzi. Ci sono esempi più o meno validi nel mondo del calcio e anche nel basket esistono realtà significative. Mi viene in mente Valencia, che vanta una struttura come l'Alqueria, tra l'altro dedicata principalmente a un aspetto che oltreoceano non esiste – o meglio, esiste eccome, ma ci pensano le scuole – cioè i settori giovanili. Però resta il fatto che gli Stati Uniti, in termini di organizzazione e marketing applicati allo sport, nonché per quantità di risorse investite, sono sempre il faro da seguire e di conseguenza i centri di allenamento delle franchigie NBA risultano sempre più clamorosi. Non fosse altro perché, quando alla posa della prima pietra dicono robe del tipo «sarà inaugurato entro due anni», nella stragrande maggioranza dei casi il cronoprogramma è rispettato.
Le practice facilities esercitano un fortissimo fascino sia sui fan, che li considerano posti strafighi dove si fanno chissà quali cose per ottenere grandi successi, sia su chi, invidiatissimo, ne usufruisce nel concreto – coach, dirigenti, impiegati e in primis giocatori – dal momento che si tratta di complessi ideati e progettati, spesso da rinomati studi di architettura, per massimizzare il potenziale delle persone che lavorano per il club. E dotati quindi di tutto ciò che è necessario per competere al massimo livello dentro e fuori dal campo, assicurare un vantaggio competitivo e perseguire l'eccellenza in uno scenario sempre più esigente come il basket NBA. Ambienti e strutture all'avanguardia, con tutti i comfort, per fare in modo che giocatori, tecnici, management siano messi nelle condizioni di concentrarsi anima e corpo nel perseguimento degli obiettivi e nel migliorare ogni giorno, senza doversi preoccupare di altro. Un aspetto tipico della mentalità americana con cui, nelle imprese migliori, è concepito il posto di lavoro e fondata una cultura vincente, innovativa e condivisa dalla superstar più pagata fino all’ultimo dei dipendenti.
Dunque, la practice facility si configura come la base operativa dove pulsa la vita quotidiana di una squadra NBA e in cui si lavora a tutti i livelli per inseguire titoli e, prima ancora, costruire una cultura aziendale, non solo gestendo il presente ma soprattutto pianificando il futuro. È la sede di training camp, allenamenti, riunioni tecniche e organizzative. È il luogo nei cui uffici si sviluppano quei processi invisibili all’occhio esterno ma decisivi per la squadra, dallo scouting al mercato, e si porta avanti tutto l'aspetto commerciale, a cui è solitamente riservata una significativa parte del personale.
Grazie all'attenzione sempre maggiore verso la tecnologia digitale e lo studio dei big data e ai progressi nella prevenzione degli infortuni e nella riabilitazione fisico-atletica, i centri di allenamento sono diventati veri propri hub di innovazione scientifica applicata alla performance sportiva, nonché presidi d’eccellenza nella medicina e nella fisioterapia. Sono spesso realizzati e gestiti in stretta partnership con aziende leader nei settori hi-tech e medico-sanitario e qui si sperimentano nuove metodologie e strumenti per permettere agli atleti e alle squadre di esprimersi e svilupparsi al top. Questo video dà un’idea.
Quali sono, in linea di massima, i tratti comuni delle nuove practice facilities NBA, le cui dimensioni vanno dai circa 4000 metri quadrati delle più piccole fino a sfiorare i 20.000 delle più grandi? Sicuramente i due campi da basket gemelli nelle misure regolamentari, la sala video che sembra un vero e proprio mini cinema, la “war room” ipertecnologica dove gli analisti si occupano di analisi statistica e scouting monitorando tutto lo scibile cestistico, e servizi interni come il ristorante privato, il coiffeur, le lounge per gli atleti e per manager e impiegati.
Ciascuna struttura è poi resa unica da specifiche peculiarità. Come il Philadelphia 76ers Training Complex, che si trova addirittura in un altro stato rispetto alla città, a Camden in New Jersey. Località sull'altra riva del fiume Delaware che però si colloca proprio di fronte a Philadelphia, Pennsylvania, dalla quale si scorge l'enorme insegna di 370 metri quadrati. O la facility più suggestiva in assoluto, lo HSS Training Center dei Brooklyn Nets, all'ottavo piano di un edificio con vista mozzafiato sullo skyline di New York, di cui avevo già parlato nel numero 3 di Galis (rileggilo qui).
A Boston, invece, l'Auerbach Center include nello stesso complesso la sede di un noto brand sportivo, New Balance, mentre ad Atlanta l'Emory Heathcare Courts ospita una filiale della californiana P3 (Peak Performance Project), leader mondiale nelle scienze applicate allo sport. E se a Detroit lo Henry Ford HS Detroit Pistons Performance Center ha ulteriormente contribuito alla riqualificazione del disastrato centro della Motor City, e lo stesso vale per Milwaukee con il Froedtert & The MCW Sports Science Center, ai Phoenix Suns puntano tutto sul 5G per servire, appunto, il nuovo di zecca Verizon 5G Performance Center, headquarters della franchigia dell'Arizona (ne ho scritto qui).
A Washington e a Houston si va persino oltre la stessa squadra NBA: nella capitale il MedStar Wizards Performance Center contiene un'arena da 4200 posti per la compagine G League dei Capital City Go-Go e per le ragazze delle Washington Mystics di WNBA, mentre in Texas i Rockets fanno allenare i giocatori NBA in un campo interno al Toyota Center e invece, a sottolineare l’importanza di uno sguardo rivolto al futuro, hanno dotato di practice facility la loro affiliata G League, i Rio Grande Valley Vipers, nel sobborgo di Edinburg.
Con la creazione delle strutture di allenamento, l'arena resta più che altro il “santuario” dei tifosi, perché le partite si giocano lì. Ultimamente, tuttavia, si sta riaffermando la tendenza a realizzare il centro di allenamento all'interno dell’arena o nelle immediate adiacenze, una sorta di “casa e chiesa” che segna un ritorno alle origini, dal momento che fino a un po' di anni fa le squadre si allenavano in un semplice campo nel ventre del palazzo, come fanno ancora Miami Heat, Charlotte Hornets, Denver Nuggets, Memphis Grizzlies e Orlando Magic (ma questi ultimi hanno in cantiere un nuovo centro di allenamento).
Così la facility di Sacramento Kings e Golden State Warriors è ubicata rispettivamente dentro il Golden 1 Center e il Chase Center, e lo stesso vale per Indiana Pacers e Minnesota Timberwolves, che al massimo devono attraversare la strada o percorrere un breve tunnel.
Tutt'altro discorso invece per i New York Knicks, i quali fanno la spola tra il Madison Square Garden e il lontanuccio sobborgo di Greenburgh, esprimendo a pieno titolo la commuter culture della Grande Mela. Davvero speciale, infine, l'indirizzo del centro dei Dallas Mavericks: 1530 Inspiration Drive, per una franchigia che guarda sempre avanti e in cui il vulcanico Mark Cuban ha voluto un ufficio e spogliatoio personali (di solito i proprietari non lavorano a stretto contatto con giocatori e coach…).
Insomma, tutto molto bello e sinceramente ammirevole, ed entusiasmante aggiungerei. Concludo, però, con una considerazione: puoi avere pure la reggia di Versailles o il campus della Apple come training center, ma alla fine ciò che rende possibili le vittorie sono le persone, è la mentalità con cui affronti ogni sfida, la capacità di porre solide fondamenta morali e creare una vera unità d’intenti tra i membri della squadra e della società. Ti riporto allora le significative parole di coach Phil Jackson che aprono il fondamentale libro Basket & Zen, uscito in Italia nel 1998, riguardanti l'ex practice facility dei Chicago Bulls, il Berto Center.
La stanza riservata alla squadra presso il Berto Center è l'ambiente perfetto per un rito sacro. È il luogo di ritiro privato dei Bulls, uno spazio arredato con totem di indiani americani e altri oggetti simbolici che ho collezionato durante gli anni […] Ho voluto che la stanza fosse decorata così per rafforzare nei giocatori l'idea che il nostro viaggio insieme ogni anno, dalla preparazione fino al fischio finale, sarebbe stato una ricerca sacra. Questa stanza è il nostro santuario, il luogo in cui i giocatori e gli allenatori si riuniscono e in cui noi tutti prepariamo i cuori e le menti alla battaglia, lontani dagli occhi indiscreti dei mass media e dalla dura realtà del mondo esterno. È qui che lo spirito di squadra prende forma.
Basket e impegno sociale
Ora ti informo su un paio di movimenti, a livello di comunicazione, che riguardano due tra le migliori realtà italiane che coniugano pallacanestro e impegno sociale, promuovendo emancipazione e inclusione.
La prima è l'ormai conosciuta Tam Tam Basketball, la società di Castel Volturno (CE) fondata e allenata da Massimo Antonelli, che dà l'opportunità di giocare a basket a figli di immigrati per lo più africani, togliendoli dalle strade e e dai pericoli di una delle zone più difficili d'Italia. La sua storia e le sue vicissitudini, che assumono i contorni di una vera e propria battaglia per l'uguaglianza e i diritti, sono oggi note anche al grande pubblico. Numerosi, infatti, i passaggi sulla stampa nazionale (eccone uno) e di recente anche il presidente del consiglio Mario Draghi, cestista in gioventù, si è esposto esprimendo le sue felicitazioni per l'ammissione del Tam Tam al campionato Under 17 Eccellenza. Cioè a una competizione di livello nazionale, da cui i ragazzi di Castel Volturno erano esclusi a causa dei limiti previsti per i giocatori di cittadinanza non italiana. E che soltanto grazie a una legge del governo Gentiloni avevano potuto partecipare ai tornei regionali.
Non è questa la notizia di cui ti ho accennato, anche perché potresti averla già letta o ascoltata da qualche parte, ma è un'altra e valica i confini nazionali: Al Jazeera, l'importante rete all-news con sede in Qatar, ha prodotto un documentario su questa società, nata soltanto nel 2016 e diventata il simbolo dell’aspirazione a essere cittadini italiani e di praticare sport agonistico, senza aspettare i diciotto anni, da parte di persone nate, cresciute e scolarizzate in Italia. Il regista è l'egiziano Mohamed Kenawi, residente in Italia dal 2000 e titolare della Domino Film.
L'altra realtà italiana che utilizza il valore sociale del basket per migliorare le condizioni di vita dei giovani nelle periferie del mondo è la Slums Dunk di Milano, che di recente è diventata organizzazione di volontariato e ha presentato il nuovo logo ufficiale.
Dell’associazione fondata dai giocatori Bruno Cerella e Tommaso Marino avevo già detto qualcosa nel numero 7 di Galis (rileggilo qui) a proposito del playground riqualificato nel capoluogo lombardo, in Viale Stelvio. Francesca Cassani, la graphic designer che si era occupata della realizzazione artistica di quel campo, è l'autrice del logo.
In esso, da un canestro stilizzato che vuole rappresentare lo spirito di inclusione, accoglienza e unione promosso da Slums Dunk, si alzano quattro braccia di altrettanti colori, a simboleggiare i quattro continenti in cui l'associazione ha finora realizzato progetti: nero per l'Africa, rosso per le Americhe, verde per l'Europa e giallo per l'Asia. Sono infatti sei le basketball academy di Slums Dunk attive: due in Kenya, due in Zambia, una in Argentina e una in Cambogia, più le attività milanesi, per oltre 5000 ragazze e ragazzi minori di 18 anni coinvolti.
Slums significa baraccopoli e da una felice assonanza con slam dunk, che vuol dire schiacciata, è nato il nome di un’organizzazione che vuole portare sorrisi a spicchi nel sud del mondo e anche nei quartieri difficili delle nostre città.
Idee regalo: i miei libri
Perdonami, ora, se mi faccio un po' di auto-promozione, ma essendo periodo di regali natalizi magari qualche idea ti sarà utile.
Come già ho avuto modo di accennarti qui su Galis, sono autore di un libro, uscito nel 2020: Il parquet lucido – Storie di basket, pubblicato da Ultra Edizioni. Sono 248 pagine e il prezzo di copertina è 17,50 euro. Puoi acquistarlo su Amazon, oppure nelle librerie di tutta Italia, e se non lo trovi è comunque ordinabile in loco.
È un libro che nasce sia da lontano che da vicino. Da lontano perché vuole essere un mio tributo personale allo sport che amo fin da bambino; da vicino perché raccoglie in gran parte miei articoli e post scritti negli ultimi anni per siti specializzati e per Never Ending Season. Oltre che in varie dirette streaming - il lancio è purtroppo coinciso con la seconda ondata di pandemia - l'ho presentato lo scorso luglio a Bologna alla prima edizione del festival Libri e Storie di Sport. Colgo inoltre l'occasione per ringraziare ancora una volta Ultra Edizioni (in particolare Federico e Angelo), realtà del gruppo Lit con sede a Roma che sta pubblicando molti, interessantissimi libri di basket e che mi ha dato senza esitazioni l'opportunità di realizzare il mio, seguendomi con estrema professionalità.
Il parquet lucido è una galleria di personaggi, squadre e vicende che hanno lasciato un segno indelebile sul gioco. Dalla Grecia di Galis e Yannakis all'infallibile Oscar, dalla palla rubata di Havlicek all'apparizione di Willis Reed, dal giganteggiare di Larry Bird all'ebbrezza della Linsanity, dalla follia del Grinnell College al sogno NBA di Gianmarco Pozzecco, vi ho riunito alcune delle storie più belle andate in scena sui parquet americani, europei, italiani. E in appendice ho aggiunto un mio personale diario di viaggio da New York e un racconto di fantasia che rende omaggio alla passione per il basket che anima la provincia italiana e le sue palestre storiche.
Perché questo titolo? Perché il parquet è forse l'elemento più affascinante tra quelli che ci rendono la pallacanestro così familiare, ha un potere magnetico, è fotogenico, sprigiona il calore adatto a ospitare sulle sue assi lo straordinario spettacolo del nostro sport. Quel rettangolo di legno segna i confini di una dimensione tutta particolare, pervasa dall'inconfondibile stridio delle scarpe e dal magico suono della palla spinta ritmicamente dalle mani dei giocatori. È il luogo della vittoria e della sconfitta, è il teatro di imprese e rivoluzioni sportive. Spero ti possa piacere.
Adesso, invece, voglio sorprenderti. Il parquet lucido non è il mio unico libro. Ce n'è un altro, non sportivo, anche se lo sport qua e là è presente lo stesso. Si tratta di un libro di poesie haiku, uscito nel 2018 per Scatole Parlanti. Sai cosa sono gli haiku? Te lo spiego io: sono la più breve forma di poesia esistente, nata alcuni secoli fa in Giappone. Tre brevissimi versi secondo lo schema sillabico 5-7-5, stop. Una poesia essenziale, immediata, direi fotografica, che esprime un rapporto profondo tra l'autore e l'ambiente che lo circonda.
Il mio libro si intitola Haiku di città e nasce in un periodo in cui mi ero cimentato con questa forma poetica per fare ordine in un coacervo di emozioni e sensazioni accumulate negli anni, tra vita quotidiana e viaggi. Spesso gli haiku parlano di natura, mentre i miei hanno un’ambientazione urbana, sono stati composti tra asfalto e grattacieli, treni e aeroporti, parchi e insegne luminose, fast food e sale d'aspetto, traffico caotico e vie silenziose, notti d'estate e albe nebbiose d’inverno. Con essi provo a trasmettere quelle emozioni che suscita in me la realtà metropolitana. Perché la città è evoluzione continua, è movimento, ma soprattutto è il luogo dove si inseguono i sogni.
Sono rimaste solo poche copie di Haiku di città e puoi acquistarle qui su Amazon. E già che ci sono ti anticipo un paio di haiku, tra i circa 150 presenti nel libro, a tema basket.
Felpa con cappuccio.
Primo rimbalzo di palla
sul playground.
Musica rap nell'aria,
la palla sull'asfalto:
sogno in corso.
Shootaround - Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Iniziamo con quella che per me è ormai una piccola tradizione: le mie 10 maglie NBA City Edition preferite, tra quelle del 2021-2022. La classifica qui.
Ti ricordo, poi, che il 14 dicembre è l'NBA Jersey Day: sei invitato a condividere sui social la foto di una qualsiasi maglia con l'hashtag #NBAJerseyDay, taggando squadra e giocatore preferito.
Il Post riporta la storia del logo NBA e, suo malgrado, di Jerry West.
Eccolo, Mario Draghi che parla di basket.
Un altro video: Simone Sandri de La Gazzetta dello Sport ci porta a Durham, North Carolina, per raccontare Paolo Banchero e il mondo di Duke University. Guardalo qui.
Ascolta anche Lorenzo Neri, esperto di NCAA, parlare del mondo del college basketball sul podcast Sheva.
Come si seguiva il basket, italiano ma soprattutto NBA, trenta o quaranta anni fa? E cosa è davvero cambiato? Il racconto di Daniele Vecchi su La Giornata Tipo.
Marco Rizzi su Outpump narra la storia delle Air Jordan 2.
Con la morte di Virgil Abloh se ne va un grande stilista che aveva molti legami con la pallacanestro. Di una sua collaborazione con Nike avevo scritto qui.
Tra design, innovazione e sociale, tutto ciò che sta facendo Steph Curry con il suo marchio personale Curry Brand, nato in seno a Under Armour: lo spiega Nick DePaula su The Undefeated (in inglese).
Il finale di carriera di Pau Gasol è ora un documentario su Prime Video. Da vedere qui.
Restando in tema di serie, dopo le esternazioni di Scottie Pippen e di altri ex giocatori, The Last Dance va ripensata? L'interessante riflessione di Davide Chinellato su La Gazzetta dello Sport.
È indubbiamente uno dei luoghi più affascinanti dove si sia mai giocato a basket: la Misericordia di Venezia. Ne parlo qui.
C'è stato anche un periodo in cui i Milwaukee Bucks sono scesi in campo letteralmente su un'opera d'arte. Quale? Scoprilo qui, e il pezzo è sempre mio.
A una partita dei Lakers è comparso sugli spalti un altro… LeBron James. Sky Sport spiega chi è.
Intanto il Derthona Basket va in Jeep Renegade. Esatto.
Restiamo un attimo in Piemonte: Intesa Sanpaolo, partner NBA, ha riqualificato un playground a Torino. Ecco un po' di dettagli.
A proposito di streetball, Michele Pettene, ospite del podcast Pick and Pod, parla di Goodman League e Rucker Park, ma anche di film di basket. Ascoltalo qui.
E su questa mappa di Local Hoops puoi geolocalizzare facilmente tutti i playground che vuoi, aggiungendo anche una foto.
Per finire, sempre per il discorso idee regalo, un po’ di libri.
È già passato un anno dall'uscita di The Dream League, il lavoro collettivo del team di Overtime - Storie a spicchi. Leggi qui la mia recensione.
Ecco invece i titoli appena usciti:
I Golden State Warriors di Ethan Sherwood Strauss (66thand2nd)
Sonics di Davide Torelli (Ultra Sport)
Sulla sirena di Dario Ronzulli (Incontropiede)
Uomo a tutto campo di Sergio Scariolo (Baldini+Castoldi)
Ancient Hoops di Gabriele Ferrè (Youcanprint)
Underdog di Crampi Sportivi (Battaglia Edizioni)
E poi c’è questo: Color Scheme di Edith Young (in inglese), una storia irriverente dell'arte e della cultura pop attraverso le palette cromatiche. Perché, cosa c’entra con il basket? Be’, dentro c'è anche l’evoluzione delle tinte dei capelli di Dennis Rodman.
Conclusioni
E anche Galis #11 è arrivato al termine. Spero che tu sia rimasto soddisfatto da questo numero e che continuerai a ricevere la mia newsletter, mensile e gratuita.
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È tutto, ci vediamo il 31 dicembre. Ciao e buon Natale!