Sta cambiando tutto?
#52 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi le rivoluzioni in corso tra WNBA, Europa, NBA e college, più lo Shootaround
Ciao, Papa Francesco amava anche la pallacanestro ed è stato un pontefice vicino allo sport. Grazie di tutto, Jorge Mario Bergoglio.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 52 di Galis, la newsletter di Never Ending Season, il progetto con cui ti racconto il basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita - se non l'hai letta, la trovi qui - ho parlato della Coppa Italia LNP a Bologna, che ho seguito con accredito media, e del nuovo playground che nascerà al confine tra Italia e Slovenia.
Le storie di questo numero hanno un comune denominatore: il basket sta cambiando. Ma cambierà davvero? Non lo sappiamo. Certo è che, ad oggi, stanno emergendo scenari ben diversi da quelli a cui siamo abituati.
In coda, come tutte le volte, c’è lo Shootaround con i contenuti consigliati a tema basket raccolti nell’ultimo mese e la nuova mini rubrica Off The Ball.
Ora, è il momento di dare un'occhiata al futuro del nostro sport.
Tutti vogliono la W
Il boom di popolarità della WNBA è una delle tendenze più interessanti nel basket odierno. Con l'esordio di Caitlin Clark, la scorsa stagione - in Galis #41 avevo tracciato una guida for dummies, alcune info sono ancora buone da leggere - si profilava come quella del salto di qualità. E così è stato: presenze sugli spalti e ascolti televisivi hanno sbriciolato ogni record, il che significa più sponsor, più soldi, più tutto. Il 16 maggio parte la stagione numero 29 e l'ascesa non si fermerà, forte di un'altra giocatrice da copertina: Paige Bueckers, da Connecticut alle Dallas Wings, prima scelta al Draft. Le nuove star del basket americano sono donne.
Sintomo dello stato di salute di “The W” - sì, gli americani con la loro pigrizia mentale sono riusciti ad abbreviare persino un acronimo! - è un fatto preciso: c'è la fila per entrare in WNBA. In più di dieci città si sono formati gruppi di investitori interessati a creare una nuova franchigia, o a riattivarla in posti che l'avevano dismessa. Nelle leghe professionistiche USA l'espansione ha i suoi tempi e passaggi - si tratta pur sempre di diluire ulteriormente le quote in mano ai proprietari, quindi non tutti sono felici di avere più squadre - e nel 2025 ne entrerà soltanto una, portando il totale da 12 a 13.
Di chi si tratta? Delle Golden State Valkyries, diretta espressione dei Golden State Warriors. Cambiano solo i colori: non giallo-blu, ma lilla-nero. Stessa arena, il Chase Center di San Francisco, e un roster fortemente internazionale, con otto paesi rappresentati, tra cui l'Italia grazie alla nostra Cecilia Zandalasini, prelevata dalle Minnesota Lynx tramite l'Expansion Draft. Le Valkyries sono la prima franchigia di espansione dal 2008, quando esordirono le Atlanta Dream. Da allora solo alcuni trasferimenti: le Detroit Shock diventate Tulsa Shock (2010) e poi Dallas Wings (2016) e nel 2018 le San Antonio Stars trasformatesi nelle Las Vegas Aces.
Nel 2026 sono in programma altri due ingressi: Portland, di cui non è ancora stato scelto il nome, e Toronto, con le Tempo, prima franchigia canadese in WNBA, messa su dal gruppo Kilmer Sports Ventures. La leggenda del tennis Serena Williams figura tra gli investitori. Sicuramente ti ha sorpreso il nome scelto: be’, sappi che Tempo è una parola usata in inglese con il significato di ritmo, passo, andatura, anche in senso musicale.
L'offerta media iniziale per entrare in WNBA supera abbondantemente i 100 milioni di dollari. Si sono fatte avanti cordate che annoverano atleti, politici e celebrità. Novità assolute come Austin (Kevin Durant), Kansas City (il quarterback Patrick Mahomes), Nashville (i cantanti country Faith Hill e Tim McGraw, l’ex quarterback Peyton Manning, l’ex stella WNBA Candace Parker); storiche piazze NBA che tentano la via “rosa” come Boston, Philadelphia e Denver; e soprattutto Cleveland, Houston e Detroit che provano a resuscitare rispettivamente Rockers, Comets e Shock, protagoniste dei primi anni di una lega nata nell'altro secolo, nel 1997.
La favorita per il prossimo ingresso, probabilmente nel 2028, è Cleveland, in virtù della consistente proposta di 250 milioni di dollari da parte del Rock Entertainment Group. Suggestiva anche l'ipotesi Houston, con Tilman Fertitta, proprietario dei Rockets e di recente nominato ambasciatore USA in Italia da Donald Trump, che guida un gruppo intenzionato a far rivivere le Comets (quattro titoli consecutivi nelle prime quattro stagioni WNBA). Infine, a Detroit ci sta pensando Tom Gores dei Pistons e con lui ci sarebbe anche Eminem, un’artista spesso vicino allo sport di una città, la sua, che sta rinascendo dopo anni di profonda crisi.
Parli arabo?
Da un po’ di anni i paesi arabi del Golfo Persico, forti delle loro ingenti risorse economiche derivanti dal petrolio, promuovono pesanti investimenti nello sport di alto livello: ospitare il top di motori, calcio, tennis, ciclismo, pugilato è diventata un'abitudine laggiù. Pochi, però, avrebbero immaginato che ci provassero anche con la pallacanestro, piuttosto lontana dalla tradizione sportiva locale (sempre che ne esista una).
Invece, detto fatto. E non si accontentano del semplice evento “cotto e mangiato”, come le gare di preseason NBA che si ripetono da qualche tempo: vogliono recitare un ruolo da protagonisti nei nuovi scenari del basket globale. Dal 23 al 25 maggio la Etihad Arena, impianto all'avanguardia da 18.000 posti ad Abu Dhabi, accoglie la Final Four di Eurolega: per la prima volta, l'atto conclusivo della massima competizione europea emigra al di fuori del continente, per unirsi al novero di appuntamenti sportivi in riva al Golfo.
Trainato dalla NBA, che ha fiutato l'affare, il basket sta attirando un numero crescente di appassionati negli stati arabi, nonostante sia apparso a lungo come un mondo nettamente distante. E in generale stanno piacendo gli sport indoor da godersi nelle arene climatizzate, viste le temperature spesso proibitive di quelle zone.
La palla a spicchi non è più qualcosa di estemporaneo. In questa stagione ha esordito il Dubai Basketball Club, di base alla Coca-Cola Arena, 17.000 posti, altro impianto ovviamente all’avanguardia eccetera. Per giocare nel campionato degli Emirati Arabi, capace di attirare giusto i soliti misconosciuti americani giramondo? Certo che no: il Dubai BC si è iscritto alla ABA League, lega europea composta da club dell'ex Jugoslavia, e ha ingaggiato, tra gli altri, l'italiano Awudu Abass, il lettone Davis Bertans e lo sloveno Klemen Prepelic. E vuole presto l'Eurolega.
Preseason NBA, un club “stabile”, le coppe europee: la regia è di Khalifa Al Mubarak, presidente del Dipartimento di cultura e turismo di Abu Dhabi, che ha studiato negli Stati Uniti ed è un patito di basket. C'è di mezzo un fondamentale discorso turistico e di entertainment di un certo livello, perché nessun tifoso andrà mai in trasferta lì solo per le partite: i biglietti per la Final Four sono andati esauriti in poche ore, con richieste da tutto il mondo e prezzi non certo "popolari", come si diceva una volta.
L'accordo che ha portato ad Abu Dhabi le quattro finaliste europee, annuale con opzione triennale, vale 25 milioni di dollari, dieci volte di più di quanto aveva offerto Berlino per ospitare l'edizione di un anno fa: impossibile rivaleggiare con gli arabi quando si tratta di soldi.
Non è finita qui: il fondo sovrano saudita PIF (Public Investment Fund), presieduto dal principe Mohammed bin Salman, è tra gli investitori di una nuova, probabile lega mondiale di basket in cui è coinvolto Maverick Carter, amico e socio d'affari di LeBron James. E infine, sai chi c'è tra i club contattati dalla NBA per la sua ipotizzata lega europea? Facile: il Dubai BC. Del resto, il mondo va dove ci sono i soldi.
NBA in Europa? Sul serio?
È la bomba del momento, quella che ti fa intuire che forse davvero qualcosa in questo sport è destinato a cambiare: la NBA vuole fare una lega in Europa. Boom!
Stop: calma e gesso. Analizziamo la situazione, perché i contorni sono abbastanza indefiniti e sappiamo che oggi i media corrono troppo dietro a click e like.
I dati di fatto sono questi: la NBA ha annunciato l'intenzione di organizzare un suo campionato in Europa. Quando? Tra pochi anni: si parla della stagione 2026-27, ma forse ci vorrà di più. Quante squadre? 16, di cui 12 fisse e 4 legate ai risultati. Nome della lega? Ignoto. Il progetto è in fase embrionale, però la volontà è ufficiale. Se non lo fosse, il commissioner Adam Silver non avrebbe tenuto una conferenza stampa a New York insieme ad Andreas Zagklis, segretario generale FIBA.
Ecco, la FIBA: la federazione internazionale è stata designata come partner. E qui cominciano i casini, scusa il termine. Perché, più o meno da un quarto di secolo, il basket europeo è diviso in due parti, tra cui non corre buon sangue: da un lato EuroLeague ed EuroCup (gestite da ECA, una realtà privata) con i club più forti e blasonati; dall'altra la FIBA istituzionale, che porta avanti l’attività delle nazionali e due ulteriori coppe per club, meno prestigiose: Basketball Champions League e FIBA Europe Cup.
Per la NBA, dunque, non è facile inserirsi in uno scenario già saturo, con ben quattro competizioni e in generale per via della presenza di un sistema molto radicato, che ha sempre fatto a pugni con la concezione americana dello sport.
Ma la NBA, che in tema di strategie commerciali un pochino ne sa, ha trovato un pertugio, anzi due: uno è l'alleanza con la FIBA, che a livello di club ha perso influenza e cerca appigli per risalire; l’altro è la proposta di un modello rispettoso delle tradizioni europee (nelle partite dell’eventuale nuova lega sarà mantenuto il regolamento FIBA) ma basato sulla sostenibilità economica, che qui invece è spesso una chimera (la maggioranza delle società di EuroLeague ha i bilanci in rosso).
Il vice commissioner Mark Tatum e il responsabile NBA Europa e Medio Oriente George Aivazoglou sono stati chiari: il basket europeo deve crescere dal punto di vista finanziario e generare ricavi. Intendono così impiantare un campionato top, coinvolgendo sia società già esistenti sia creandone nuove, magari in piazze dal grande bacino d'utenza che ne sono prive (si è fatto pure il nome di Roma), e appoggiando inoltre la costruzione di nuove arene laddove necessario.
Chi ha più da perdere è l'Eurolega, a rischio depauperamento, un timore già espresso dal fondatore ed ex CEO Jordi Bertomeu. Se da un lato la FIBA non vede l'ora di rilanciarsi attraverso il "soccorso americano", dall’altra ECA è in subbuglio, anche perché i 13 club azionisti sarebbero già divisi sul futuro e lo “spauracchio” è una concorrenza irresistibile da parte della futura lega NBA.
Una conseguenza non impossibile è che, pur con lo sbarco della NBA, il basket europeo continuerà ad avere due anime, ma di livello simile, paragonabile a quel dualismo di inizio millennio tra EuroLeague e FIBA SuproLeague, durato una sola stagione, quando si disputarono due “coppe dei campioni” piuttosto somiglianti tra loro e con i top club un po’ di qua e un po’ di là. E non sarebbe bellissimo…
Se da un lato la NBA sa che l’Europa resterà un mondo profondamente diverso dall’America, dall'altro vuole penetrarvi lo stesso, offrendo ciò che dalle nostre parti frequentemente manca e che costituisce per gli statunitensi, in puro stile Piano Marshall, una grossa opportunità di business: sviluppo economico, diritti televisivi consistenti, strutture adeguate. Lo fa già in Africa con la BAL da cinque anni, ma in un territorio sostanzialmente vergine. Mentre l’Europa non lo è affatto. Vedremo cosa accadrà: in fondo non c’è ancora nulla di certo e aspettiamoci vagonate di chiacchiere e commenti non richiesti.
I college pagano
Da alcuni anni, gli atleti universitari e scolastici negli USA guadagnano soldi. Se non è cambiamento questo...
Nel 2021, con la sentenza della Corte Suprema NCAA v. Alston, l'introduzione del sistema NIL ha infranto il "tabù" per eccellenza dello sport dei college e delle high school: l'impossibilità per gli studenti-atleti di essere pagati. All’inizio non se ne è parlato con particolare insistenza, soprattutto qui da noi. Ma oggi gli effetti di questa enorme rivoluzione si cominciano a vedere.
Il NIL, come tutte le novità, ha i suoi sostenitori e detrattori. Tuttavia il risultato è evidente: la NCAA del basket, negli ultimi tempi piuttosto snobbata dai prospetti - soprattutto da quando la NBA ha imposto l'età minima di 19 anni e i migliori si accontentano di fare il cosiddetto one-and-done, un solo anno al college prima del Draft - è tornata protagonista, attraendo non solo i talenti americani ma di tutto il mondo. E anche numerosi ragazzi italiani stanno prendendo questa strada, calamitati peraltro dalla possibilità di un’esperienza di vita comunque unica e affascinante come quella offerta dai licei e dai campus universitari statunitensi.
Ti ricordo cosa significa NIL, se al momento ti sfugge. È l'acronimo di Name Image Likeness e consente agli studenti-atleti la possibilità di sfruttare i propri diritti di immagine firmando contratti aggiuntivi alla borsa di studio, la quale fino al 2021 era l'unica entrata loro consentita. Quindi, nel caso più comune, un giocatore NCAA può sottoscrivere accordi con brand di abbigliamento sportivo o con qualsiasi altro sponsor per una serie di attività previste dal regolamento.
Gli atenei stessi, soprattutto i più ricchi e blasonati, promuovono appositi fondi, i NIL Collectives, per facilitare le opportunità di business degli atleti, incrementando esponenzialmente la propria capacità attrattiva verso i giovani più promettenti. Questi fondi sono sostenuti anche da molti giocatori NBA, che scelgono di appoggiare l’università da cui provengono.
Non solo: se un'altra sentenza giudiziaria andasse in un certo modo, la House v. NCAA (è in discussione in queste settimane), si arriverebbe persino al superamento del NIL con la revenue sharing, che addirittura imporrebbe alle università di devolvere ai giocatori parte di quelle che da sempre sono le loro principali fonti di entrata: diritti tv, biglietti e merchandising.
E quindi, che succede con tutto ciò? Lo sport universitario americano diventa di fatto professionismo, considerando pure che dal 2018 è attivo il Transfer Portal, piattaforma che facilita i trasferimenti da un college all'altro e che praticamente ha generato un vero e proprio “basket mercato” tra gli atenei.
Altre conseguenze? Aumenterà il divario tra i college più ricchi e quelli minori. Sarà più difficile portare prospetti americani in Europa o trattenere quelli europei, e già sta succedendo. La componente accademica, perché stiamo comunque parlando di università, va ancor più a farsi benedire. La questione è indubbiamente complessa e non posso discuterne qui in maniera esauriente, ma questi sono alcuni dei principali effetti concreti.
Infine, c’è da dire che il NIL ha messo fine a quella che era riconosciuta come la grande ipocrisia dello sport collegiale americano, tra l’altro ben raccontata da Michele Pettene qui e qui. Quella in base a cui le università, pur incamerando milioni di dollari grazie alle prestazioni delle proprie squadre tra incassi al botteghino, sponsor e diritti televisivi, non dovevano corrispondere nulla agli atleti, cioè a chi andava in campo a rappresentare l’istituto. Erano permessi solo contratti a livello di ateneo, non individuali. Almeno ufficialmente, perché la pratica dei compensi illeciti ai giocatori, fin dalle origini della NCAA, non è mai mancata: e qui il NIL ha fatto cadere la seconda grande ipocrisia.
Ti bastano, come cambiamenti?
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Il Post spiega così la storia della lega NBA in Europa.
HoopsHype, con Sam Yip, ha intervistato l’italiano Dame Sarr al Nike Hoop Summit di Portland. (in inglese)
La Giornata Tipo è stata a Berlino da Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, i due italiani dell'Alba: guarda il video.
E ci racconta da vicino anche coach Walter De Raffaele.
Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro mostra qui e qui lo stato di avanzamento dei lavori della nuova arena.
La Reyer Venezia lancia il marchio Reyer Legacy Culture: scopri cos’è.
Il logo per i 90 anni dell'Olimpia Milano.
Gianluca Basile incontra Marco Belinelli per il format Basketball & Conversations di LBA: guardali qui.
L'intervista a Jamion Christian, coach di Trieste in procinto di rientrare negli USA, a cura di Gianfranco Pezzolato per Puntero: leggila qui.
L'AI sostituirà l'uomo? Non proprio. Sportmediahouse e Bey Studio mostrano i visual del Napoli Basket per presentare sui social i Match Day: scorri il post.
LNP e L'umiltà di chiamarsi Minors insieme in Minors in Town: un viaggio nelle città che ospitano squadre di A2 e B. Si parte da Cento.
È uscito Jordan. Le storie dietro le vittorie di Dario Costa (Giunti Editore): acquistalo qui.
In libreria anche Why so serious? di Mike Singer, libro su Nikola Jokic tradotto in italiano da Rizzoli: in vendita qui.
Simone Dagani di Sky Sport ha intervistato Federico Gallinari, membro dello staff tecnico dei Detroit Pistons: ecco cosa ha detto della NBA. (solo abbonati)
Tutti i recenti disastri dei general manager NBA raccolti da Riccardo Pratesi su La Gazzetta dello Sport.
Onore e gloria a Jimmy Butler che si è presentato a una partita con la maglia dell'Inter di Ronaldo il Fenomeno! (perdonami, sono interista)
Andrea Lamperti de L'Ultimo Uomo ci fa scoprire Eric Collins, il particolare telecronista dei derelitti Charlotte Hornets.
Conosciamo meglio Santi Aldama, lo spagnolo dei Memphis Grizzlies: qui l'intervista di Cyro Asseo de Choch sempre per HoopsHype. (in inglese)
Bosh, Ingram e poi oggi Wembanyama e Lillard: sono i giocatori che hanno avuto problemi di coaguli nel sangue. Per saperne di più, Carmen Apadula di NBA Passion ha intervistato il medico Giuseppe Tortora.
In The Paint: il programma artistico dei Los Angeles Lakers.
Parliamo di basket e musica: Niccolò Longo de La Gazzetta dello Sport ha incontrato Stefano Tonut e Mondo Marcio. Qui l’articolo. (solo abbonati)
Ancora basket e musica: leggi l'intervista di Matteo Malfer de Il T Quotidiano a Luca Mich, creatore del podcast Better Go Soul.
La FIP ha creato il canale Instagram ufficiale @federbasket a fianco dello storico @italbasket, che ora è riservato all'attività delle nazionali.
Tommaso Marino ospite dei fratelli Gallinari nel podcast A Cresta Alta per parlare di come è diventato youtuber e commentatore Sky.
Nel podcast Alto Rendimento, Valentina Sanna della Dinamo Sassari ripercorre la sua esperienza nella comunicazione.
Off The Ball
Tre contenuti interessanti extra basket.
Mille e un Millennial: il podcast di Viola Martinelli che dà voce alla generazione "di mezzo”. Qui i cinque episodi.
La Groenlandia riafferma la sua identità a ritmo di musica: ne parla Samantha Colombo nella newsletter Dispacci.
L'intervista di Giuliana Lorenzo a Nausicaa Dell'Orto, nazionale e ambassador del football americano femminile: leggila su L’Ultimo Uomo.
Un attimo, prima di andare
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