Metti un weekend a Roma
#39 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi cosa ho visto alla Final Four di A2 e B, Sport2Next e la fine di G League Ignite.
Ciao, non dirlo in giro, ma alla Final Four LNP di Roma sono andato in fissa con il ciambellone del buffet stampa e vip. Irresistibile!
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 39 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – se non l'hai ancora letta, eccola qui – ho intervistato l'illustratore Davide Barco e fatto il punto su cosa si muove a Roma sul fronte pallacanestro.
Oggi ti condivido un po' di mie impressioni sull'evento, sempre nella capitale, a cui il 16 e 17 marzo ho avuto il piacere e l'onore di partecipare con accredito media: la Final Four di Coppa Italia di Serie A2 e B, organizzata dalla Lega Nazionale Pallacanestro, che ringrazio per l'opportunità e l'ottimo servizio (ben oltre il catering, sia chiaro!).
Intanto do il benvenuto a tutti i nuovi iscritti a Galis, e anche a te, nel caso fossi tra questi. Confido in voi per diffondere sempre di più questa newsletter amatoriale.
Se hai notato il calendario, oggi è anche Pasqua: auguri! Pronto ad aprire l'uovo?
Final Four vibes
Faccio una premessa, a titolo personale: il basket per me non è un lavoro. Sarebbe un sogno che lo diventasse, però attualmente non lo è, zero. Lo è stato per un decennio a livello locale, tra i venti e trent'anni, ed è grazie alla palla a spicchi che ho iniziato a lavorare nella comunicazione. Ma ormai da tanto tempo è solo una grande passione. Per cui, anche se la tratto in modo professionale, non è così scontato partecipare come giornalista a eventi quali finali di coppa o simili.
Magari, sei uno dei tanti addetti ai lavori che ricevono questa newsletter e sei all'ennesimo accredito stampa in carriera, questi pensieri non ti fanno né caldo né freddo. Tuttavia tengo a dirti che ho gradito molto essere all'appuntamento di Roma con pass media – per la Final Eight di Torino purtroppo non ci sono ancora riuscito – e che mi sono goduto ogni momento di quel weekend. Fine della premessa.
La Final Four di Coppa Italia LNP ha visto la partecipazione di otto squadre, quattro di A2 e quattro di B nazionale. È stata la decima edizione del torneo in formula "concentrata". Le precedenti, dal 2014 a oggi, sono state ospitate a Rimini, Bologna, Jesi, Porto San Giorgio, Cervia, Roseto e Busto Arsizio. In precedenza la Coppa Italia era organizzata come Final Eight o Final Six, mentre da due anni è stata ridotta a quattro squadre per categoria.
Hanno sollevato il trofeo Forlì per la A2 e Montecatini Herons per la B. Le altre contendenti: Fortitudo Bologna, Cantù, Trapani, Libertas Livorno, Roseto e Ruvo di Puglia. Bastano questi nomi a evocare pura passione, mentre al resto ha contribuito l'incertezza di partite risolte negli ultimi secondi quali Roseto-Montecatini e Forlì-Cantù e le due finali Montecatini-Livorno e Forlì-Fortitudo, in gran parte incerte.
Il torneo ha particolarmente giovato del fatto di aver radunato a Roma piazze storiche e calde del basket italiano. Squadre seguite da tanti tifosi, che rappresentano città medie o piccole di profonda tradizione cestistica. La provincia italiana, da sempre il motore della nostra pallacanestro, si è ritrovata in una Città Eterna che, fino a qualche anno fa, era a sua volta considerata una piazza di rilievo.
Interessante vedere le curve di Cantù e Forlì, amiche da oltre trent'anni, sistemarsi in settori vicini, oppure crearsi gemellaggi temporanei in nome di rivalità condivise, sentire la passione degli ultras di Libertas Livorno, Trapani e Fortitudo Bologna (la Fossa dei Leoni), sorprendersi della numerosità dei sostenitori di Montecatini.
C'è stato quindi modo di vedere e apprezzare un vero lusso per la B italiana: Vangelis Mantzaris, due volte campione d'Europa con l'Olympiacos, che però non è riuscito a trascinare Roseto e i suoi calorosissimi tifosi in finale; così come assistere al tracollo di Trapani (che è costato un assurdo esonero a coach Parente) di fronte alla Fortitudo Bologna di Attilio Caja, poi battuta nella finale di A2 (dove non ha potuto contare sull'infortunato Aradori e ha dovuto rinunciare a Freeman a gara in corso per un colpo all'occhio) dai rivali di Forlì. Quest’ultima indossava una speciale divisa blu in omaggio all’allora Libertas Forlì che nel 1990 salì in massima serie, mentre nel pomeriggio i Montecatini Herons guidati dal piccolo italo-dominicano Benites, MVP della manifestazione, sollevavano il trofeo di Serie B.
Forse il “contorno” non è stato indimenticabile, ma del resto non siamo americani, per quanto ci si possa sforzare. Alcune iniziative degli sponsor mi sono sembrate piuttosto cringe, tipo la goffa mascotte di Ticketmaster che non riusciva a tirare la palla verso il canestro, oppure il cappello da cowboy fatto indossare agli MVP durante la premiazione e il tiro dalla sella di Old Wild West, tutte cose parecchio kitsch, per non parlare dei ragazzi in seria difficoltà con i bazooka spara-palline negli intervalli di gara (solidarietà, comunque). All’esterno, l’area degli stand non era granché. Meglio, nel playground, le attività del 3x3 FIP e quelle di fan engagement curate da Pickroll.
Possiamo individuare un vincitore comune, in questa Coppa Italia: il Palazzetto dello Sport di Roma. La passione per il basket è tornata ad affollare le gradinate del PalaTiziano (detto così perché si trova in Viale Tiziano, anche se l'indirizzo ufficiale è Piazza Apollodoro). Oltre cinque anni di chiusura per lavori e il solito, “romanissimo” contorno di ritardi e lievitazioni dei costi. Ma tutto è bene quel che finisce bene e le vibranti e fragorose emozioni della pallacanestro hanno ripreso vita sotto la meravigliosa cupola della struttura progettata dal grande architetto Pier Luigi Nervi. Un luogo storico, inaugurato nel 1957, nonché un gioiello di architettura che ho già avuto modo di illustrare qui sul mio blog.
Così grazie alla disponibilità dei suoi 3500 posti – il fratello maggiore, il Palazzo dell'EUR, sarebbe stato troppo dispersivo – si è potuto ospitare dopo tanto a Roma una manifestazione nazionale di basket. Ero già stato qui, con accredito stampa, nel 2008 per un evento simile: l'Opening Day di Serie A1 donne, l'evento che raduna la prima giornata in un’unica sede. In quell’occasione rappresentavo un quotidiano della mia città, che aveva una squadra nella massima serie femminile. L'impianto, ovviamente, mostrava già tutti i segni del tempo. Vi ricapitai qualche anno dopo, una mattina che ero lì di passaggio. Sbirciai dentro e c’era Gigi Datome, allora capitano della Virtus Roma, che si allenava da solo.
Benintesi: il PalaTiziano ha quasi settant'anni e li dimostra tutti, ma se non altro è tornato agibile e dignitoso. Ora il banco di prova è mantenerlo in buone condizioni e non mandarlo di nuovo in malora. Qualche limite esiste: i bagni sono pochi, all'interno c'è solo un piccolo bar, i corridoi abbastanza stretti, la sicurezza non semplice da gestire, le biglietterie sono sportellini con grata che neanche le monache di clausura. Del resto, è un impianto realizzato per i Giochi Olimpici del 1960. L’anno al quale, di fatto, la città si è fermata, in termini di strutture sportive.
Però, il successo della Final Four è l’esempio lampante che tenere chiusi stadi e palazzetti è un delitto. A maggior ragione se quello in questione è inserito in un quadrante urbano dove cultura e sport si uniscono in uno splendido connubio, con l'Auditorium Parco della Musica esattamente accanto, il MAXXI pochi isolati più in là, il futuro museo della scienza e un giorno, si spera, un recuperato Stadio Flaminio.
Da Roma è tutto? No, un paio di cose. La prima: saluto Dario Ferretti di Pick-Roll, già ospite su Galis tempo fa, Massimiliano Mascolo vicedirettore di Rai Sport (tv ufficiale della A2) e Marco A. Munno dello staff LNP, che prima o poi riuscirò a incontrare. La seconda la trovi nel paragrafo seguente.
La sfida viene dopo
A margine della Final Four, nella mattina del 16 marzo ho avuto modo di partecipare al seminario organizzato dalla LNP a Villa Blanc, sempre a Roma, un elegante edificio ottocentesco immerso in un parco, che la LUISS ha recuperato da pochi anni facendone la sede della Business School.
Il generico titolo “Comunicazione e marketing nello sport” nascondeva in realtà interventi molto interessanti, moderati da un giornalista, scrittore e manager che il Los Angeles Times ha definito “il Cristoforo Colombo del basket”: sto parlando di Giorgio Gandolfi, un personaggio a cui, insieme ad altri pionieri, dobbiamo il merito di aver reso possibile l'arrivo della NBA sui nostri schermi tv.
Al convegno hanno partecipato Rosanna Ciuffetti di Sport e Salute, Antonio Santamaria direttore generale di Master Group Sport (advisor della FIP nell'organizzazione delle partite della Nazionale), il presidente dell'associazione sportiva LUISS (questa realtà universitaria privata sta esprimendo una squadra di basket in A2) e della Business School Luigi Abete e il prorettore con delega allo sport Francesco Di Ciommo. Ma mi sento di affermare che l'intervento che ha suscitato maggior attenzione presso i presenti è stato quello di Gabriele Ganeto, founder di Sport2Next.
Trentasei anni, ex giocatore professionista – tra le maglie da lui indossate figurano quelle di Biella, Vigevano, Olimpia Milano, Varese, Napoli, Trapani, Ferrara – oggi lavora come project manager e ha fondato una società di consulenza, Sport2Next per l’appunto, con l'obiettivo di aiutare atleti e atlete, di qualsiasi disciplina, a preparare e costruire la loro vita al termine della carriera agonistica.
Parliamo di quella “dual career“ verso la quale si osserva una crescente sensibilità, mossa dalla consapevolezza del fatto che il ritiro, per un atleta di alto livello, può essere un momento critico dal punto di vista economico, sociale e umano, soprattutto se in precedenza – come è successo allo stesso Ganeto, costretto a dire addio al basket da un grave infortunio – non c’è un’idea chiara su quale strada intraprendere a fine carriera. Difficoltà finanziarie, forme di depressione e disagi di vario genere sono all’ordine del giorno tra gli ex atleti, passati in un attimo, e in gran parte dei casi in maniera improvvisa, dalla luce dei riflettori al buio di una vita da “persone comuni”, dall’essere osannati, serviti e riveriti in tutto al venire dimenticati una volta calato il sipario.
Sport2Next, così, è una realtà nata da un’esperienza di questo tipo. Dalla perdita di punti di riferimento e dalla fatica a individuare obiettivi da perseguire e ad accettare di essere un ex atleta. Di comprendere che un capitolo, per quanto esaltante, si sia ormai chiuso e che ora si apre un percorso nuovo, la famigerata “vita reale”. E senza un’adeguata preparazione, il post carriera può rivelarsi una delle fasi di maggior criticità: Gabriele Ganeto, avendo vissuto una situazione del genere sulla propria pelle, ha fondato questa agenzia con la volontà di evitare che possa capitare ad altri.
Psicologi, orientatori ed esperti che compongono il team di Sport2Next sono in buona parte ex atleti di varie discipline, quindi persone in grado di immedesimarsi in certi contesti. Si punta così a creare un ecosistema virtuoso in cui accompagnare, in un percorso di orientamento, formazione e inserimento lavorativo, atleti in attività interessati a programmare un futuro dopo il ritiro.
L'aspetto chiave di questa mission è creare un efficace contatto tra il mondo dello sport e quello delle aziende, per un miglioramento reciproco. Da un lato, infatti, gli sportivi possono trovare in imprese e organizzazioni preziose opportunità professionali e nuovi scenari confacenti alle proprie attitudini, dall’altro imprese e organizzazioni hanno l’occasione di trarre vantaggio dalla mentalità sportiva e dall’approccio competitivo che un atleta porta con sé, apportando un valore aggiunto all’interno dell’ambiente aziendale. Le imprese, oggi, riscontrano sempre più difficoltà nella ricerca di personale qualificato e motivato, nonché dotato di competenze trasversali, note anche come soft skills, quali ad esempio capacità di fare squadra, problem solving, comunicazione, empatia, gestione delle crisi. Contando già su un’importante rete di partner a livello nazionale, Sport2Next si pone come ponte per colmare il divario tra capitale umano e sportivo, di cui gli atleti sono portatori, e le esigenze delle aziende a livello di risorse umane e organizzazione.
Complimenti e in bocca al lupo a Gabriele Ganeto e al team di Sport2Next.
Ignite si spegne
Non tutte le ciambelle riescono con il buco. E non tutti i progetti della NBA sono destinati a prosperare. Pochi giorni fa, il 28 marzo, il team Ignite ha disputato la sua ultima partita. Dopo quattro stagioni chiude così la squadra, che qui in Europa definiremmo “federale”, partecipante alla G League (la lega di sviluppo della NBA) con la funzione di trampolino di lancio per i prospetti, generalmente in uscita dai licei o di provenienza internazionale, non interessati oppure impossibilitati a entrare in un college per fare il cosiddetto one-and-done. Cioè l'anno di università necessario a raggiungere i requisiti minimi per essere scelti al Draft NBA (19 anni compiuti e almeno un anno di distanza dal diploma di high school).
La principale causa della fine dell'NBA G League Ignite è composta da tre lettere: NIL, acronimo di Name Image Likeness. Indica le nuove norme che consentono agli studenti-atleti universitari partecipanti alla NCAA di firmare contratti individuali di sponsorizzazione, accedendo così a fonti autonome di guadagno. Tutta roba vietata fino al 2021.
Non se ne parla molto, forse perché la realtà americana, al di là di tutto, resta sempre un po' distante dalla nostra percezione, però il NIL è una delle novità più rivoluzionarie introdotte nello sport in tempi recenti. Oltre che, come molti sostengono, la fine di una colossale ipocrisia: proibire ai giocatori di ottenere compensi mentre gli atenei, grazie alle loro prestazioni, fanno soldi a palate con biglietti, sponsor e diritti televisivi, riempendosi la bocca di belle parole di facciata sul valore e la funzione educativa dello “sport dilettantistico”.
Inoltre, oggi è possibile trasferirsi con maggior facilità da un college all’altro, un aspetto che ha alimentato una sorta di “mercato” di giocatori anche a livello universitario.
Sull'argomento ci sarebbe da scrivere un libro. Qui mi limito a sottolineare che, con l'introduzione dei contratti NIL e le regole sui trasferimenti, il college basketball ha ricominciato ad acquisire un minimo di appeal presso i diciottenni in odore di Draft, tarpando le ali alla “concorrenza” della NBA. Il team Ignite, infatti, serviva a offrire un’alternativa all’one-and-done universitario, assicurando a questi ragazzi una prima esperienza professionistica retribuita e un canale privilegiato in quella G League che è diventata il “vivaio” della NBA, una specie di farm system come quello del baseball MLB.
Allenata da Brian Shaw prima e Jason Hart poi, in quattro stagioni (di cui la prima, ridotta e a porte chiuse, nella bolla di Orlando durante la pandemia) Ignite ha lanciato nomi poi affermatisi in NBA tra cui Jalen Green degli Houston Rockets, seconda scelta nel 2021, Jonathan Kuminga dei Golden State Warriors, settima nello stesso anno, Dyson Daniels, ottava dei Milwaukee Bucks nel 2022 e Scoot Henderson, terza dei Portland Blazers nel 2023. E per il Draft 2024 si parla di Matas Buzelis e Ron Holland.
C’è stato anche spazio, dopo i primi due anni, per un trasferimento di sede – da Walnut Creek, California a Henderson, Nevada, nell’area di Las Vegas – e per un rebranding, passando dall’iniziale e anonimo bianco-nero “istituzionale” della G League all’aggiunta del viola e al logo ispirato dal fenomeno atmosferico noto come fuoco di Sant'Elmo, una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale, che sprigiona particelle di colore violaceo.
Il nome Ignite, in inglese, significa esattamente “accendersi”, “prendere fuoco”. Ma ora su quella scintilla è arrivata la doccia fredda della decisione presa dalla NBA.
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È uscito il numero 3 di Overseas, il magazine italiano in lingua inglese che racconta la diversità culturale del basket. Qualità sempre altissima. Se non l'hai ancora fatto, corri a ordinarlo qui!
Prima di salutarti, un po' di cose carine:
Yann Bisseck dell'Inter segna a Bologna ed esulta alla Carmelo Anthony.
Roger Federer fa visita ai Golden State Warriors.
Novak Djokovic segna da tre sul parquet dei Lakers, oltre a far visita anche lui agli Warriors.
Ancora Warriors: spunta un sosia di Steve Kerr.
Gianluca Gazzoli grateful al playground di Venice Beach.
Ti lascio con il video integrale dell’appassionante conversazione a Trento tra il professor David Hollander, autore del libro Come il basket può salvare il mondo e promotore della Giornata Mondiale della Pallacanestro, Flavio Tranquillo di Sky Sport e Matteo Zuretti della NBPA (l’associazione dei giocatori NBA).
Un attimo, prima di andare
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È tutto, ci vediamo il 30 aprile. Ciao!