Crederci sempre
#22 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi l'intervista a un CEO, la situazione a Roma e Marco Belinelli
Ciao, se la palla a spicchi dà ritmo alle tue giornate e accompagna i tuoi sogni, allora qui ti sentirai a casa.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il ventiduesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita (la trovi qui, nel caso l'avessi saltata) mi sono occupato di NBA: LeBron James al ventesimo anno, le divise ispirate agli anni ‘90 e il possibile, futuro torneo interno alla stagione in stile Coppa Italia.
Oggi, invece, come prima storia c'è un'intervista, ed è una piacevole novità che potrei ripetere anche in seguito. Intanto, ti presento una persona che, in fatto di sogni, grazie alla pallacanestro ne sta vivendo uno niente male.
Sogni di Pick-Roll
Trovare un campetto. È l'impellenza che ogni vero appassionato di streetball avverte ovunque metta piede. Alcuni anni fa Dario Ferretti, romano, oggi 36enne, vagava per la Gran Bretagna, non proprio terra di basket, alla disperata ricerca di un playground. Gli balena allora un'idea in testa: perché non creare una piattaforma digitale in cui i ballers possano mappare i campetti e quindi facilitarsi la vita ogni volta che, in qualsiasi luogo, sale la voglia di fare “due tiri” o una partita?
Detto fatto: tornato a Roma, Dario, di professione graphic designer, mette online un semplice sito di nome Pick and Roll. Tuttavia, per questioni di domini già registrati, sarà Pick-Roll.com: in pratica si legge “pick and roll” ma si scrive con il trattino. È il 2014 e con il boom degli smartphone Pick-Roll diventa presto un'app mobile.
Con oltre 60.000 utenti registrati e 8000 strutture inserite (numeri in costante crescita), è oggi l'app ufficiale del circuito 3x3 della FIP nonché un punto fermo per lo street basket italiano e non solo. Su Pick-Roll puoi cercare o inserire campi, palestre, giocatori, squadre, valutarli ed essere valutato, organizzare una sfida. Ed è diventata un’azienda: Pick-Roll è il prodotto di punta dell'omonima startup che offre soluzioni per la digitalizzazione nello sport, di cui Dario Ferretti è cofondatore e CEO. Ci lavorano otto persone e si sta sempre più internazionalizzando.
Fino a dicembre, infatti, Dario è a Houston per il Global Startup Program e ha l’occasione di promuovere Pick-Roll nella patria del basket di strada. Raggiunto via Meet, ha risposto a qualche mia domanda.
Dario, partiamo dalla fine. Sei negli Stati Uniti per il Global Startup Program: di che si tratta e cosa significa per te essere arrivato fin lì?
Il Global Startup Program è un percorso di accelerazione per le startup innovative italiane che desiderano internazionalizzarsi. Avendo i requisiti per partecipare, abbiamo fatto richiesta all'agenzia ICE (l'ex Istituto per il commercio estero) e a inizio settembre è arrivata la risposta positiva. Al momento ci sono quindici startup dislocate in tre sedi: cinque qui a Houston e le altre a New York e Los Angeles. Pick-Roll è l'unica di sport, le altre operano in vari ambiti tra cui agritech e aerospazio. Una grande opportunità: da amante del basket, riuscire a presentare questo progetto negli States è un sogno incredibile.
In quali attività sei coinvolto a Houston?
Pick-Roll è assegnata all'acceleratore statunitense Gener8tor, che svolge formazione quotidiana, attività di mentoring, sessioni di pitching, incontri con potenziali investitori e con altre imprese. In definitiva, è un’intensa esperienza di networking da cui ottenere il massimo risultato di crescita. Abbiamo poi organizzato il nostro primo evento internazionale al campo di Root Square, accanto al Toyota Center, casa dei Rockets.
Sui social hai pubblicato una tua foto in divisa da corriere. Erano i giorni della pandemia, durissimi anche per Pick-Roll: bisognava arrangiarsi per sbarcare il lunario. Ma sei andato avanti e ora eccoti in America: quanto è importante crederci sempre?
È fondamentale. Sono cresciuto nel mito di Kobe Bryant, un punto di riferimento non solo per lo sport ma per la vita: se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te. È altrettanto essenziale saper cogliere le opportunità, captare i segnali giusti, intuire come si evolveranno le situazioni. Con il Covid abbiamo passato un periodo nero, molte aziende non ce l'hanno fatta, noi siamo stati fortunati a uscirne ma ci abbiamo messo anche la “tigna”.
Quando hai capito che Pick-Roll poteva diventare il tuo lavoro?
Molto presto. Diverse società di serie A, A2 e B iniziarono a contattarci, vedendo in Pick-Roll uno strumento per intercettare quei giovani che frequentano i playground e magari preferiscono stare svegli di notte a seguire la NBA anziché andare al palazzetto la domenica. Allora ci siamo detti che probabilmente poteva funzionare e avere un futuro. Man mano l’app inventata per mappare campetti si è trasformata in un’azienda vera: mi fa ancora un po’ strano, ma è la realtà.
Al centro dell'app ci sono gli utenti: sono loro che mappano, valutano, organizzano.
Esatto, è questo il valore aggiunto di Pick-Roll. Il “lavoro sporco”, se così si può chiamare, lo fanno gli utenti, cioè gli appassionati di basket di strada: sono i protagonisti dell'intero progetto. Inseriscono dati, immagini, valutazioni, fanno check-in, organizzano partite e sfide. D'altronde la cultura del playground parte dal basso, dalla strada, e lo stesso vale per Pick-Roll.
Avete una sede o lavorate in smart working?
Abbiamo una sede a Roma, ma siamo sempre più attivi da remoto, soluzione che ci consente di sperimentare nuovi modelli di lavoro e di business. Inoltre alcuni di noi vivono in altre città. Non c’è problema: il mio lavoro coincide con la mia passione, quindi per me non esistono orari. A chi lavora in Pick-Roll chiedo risultati, non certo di timbrare il cartellino.
Quando è nata la tua passione per il basket?
Da bambino, se non ricordo male era il 1996. Portarono un canestro alla mia scuola elementare e fu amore a prima vista. Ho praticato al Pass Don Bosco fino ai sedici anni e poi, come nella miglior tradizione dei campioni mancati, per un infortunio alla caviglia ho dovuto rinunciare alla carriera NBA… Così da allora è stato solo campetto. Al playground ho trovato una seconda famiglia, un rifugio sicuro dai problemi quotidiani, ci andavo anche con la pioggia.
In Galis e in Never Ending Season racconto il basket come cultura e stile di vita: qual è la tua idea in merito?
Lo street basket è cultura, perché oltre al gioco interessa musica, arte, moda, sneaker e altro: è un mondo a 360 gradi. Il basket come sport, che include anche lo street, è cultura nel modo in cui attraverso esso puoi crescere e imparare il rispetto. Ci sono tante analogie tra il basket e la vita. Quando vuoi raggiungere un obiettivo, è come sgomitare a rimbalzo per prendere la palla prima degli altri. Ed è ancora uno sport “pulito”, dove puoi portare i tuoi figli e socializzare.
Progetti futuri per Pick-Roll?
A medio termine, internazionalizzarci il più possibile. L'app è già disponibile in più lingue e stiamo riscontrando ottimi risultati in Spagna. Essere qui a Houston è un bel traguardo ma anche l'occasione per spingerla negli Stati Uniti. In generale, vogliamo continuare a offrire allo sport system nuovi prodotti e soluzioni innovative, contribuendo alla sua crescita. Pick-Roll Manager, la nostra piattaforma digitale per la gestione di società sportive, è richiesta da club e federazioni anche di altre discipline tra cui calcio e rugby.
Quanto il digitale può aiutare lo sport?
Moltissimo. I social non bastano: attraverso il digitale puoi incidere in maniera più capillare e arrivare meglio al tuo pubblico. Ad esempio, l'analisi dei dati di Pick-Roll ci permette una tracciabilità utile a livello sociale, per valutare quali sono i campetti più frequentati e magari valorizzare quelli che lo sono di meno. La risposta è straordinaria: abbiamo organizzato challenge nei playground, come Bronx Legendz a Torrevecchia, e hanno risposto tante persone di estrazione e provenienza diverse. E, come stiamo facendo anche a Houston, partendo dal digitale si concretizzano eventi fisici e inclusivi: partendo dalla strada, alla base di tutto rimane sempre ritrovarci al campetto, alimentare la passione e divertirci tutti insieme.
Roma si è persa il basket
Mentre parlavo con Dario Ferretti - che ringrazio per la disponibilità - essendo lui romano abbiamo avuto modo di accennare allo stato, tutt'altro che di salute, in cui versa la pallacanestro nella capitale. E il nostro parere è stato il medesimo.
In questo momento Roma è in una posizione molto defilata rispetto al basket “che conta”. Non solo dal punto di vista dei risultati, ma anche in fatto di cultura e movimento, oltre che di impiantistica, con Milano e Bologna (e altre città) nettamente preponderanti. Nonostante Roma sia pur sempre una metropoli di tre milioni di abitanti, con un numero giocoforza elevato di praticanti e appassionati. E dove fino a dieci-quindici anni fa la Virtus partecipava all'Eurolega e la NBA ospitava gare di preseason.
La divisa giallo-rosso-blu è stata indossata, in quel periodo, anche da stelle come Dejan Bodiroga, che della massima competizione europea è diventato da qualche mese il presidente, o chairman se preferisci.
Dopo il clamoroso “botto” della Virtus, ritiratasi a stagione in corso nel dicembre 2020 per difficoltà economiche – a proposito, c'è questo interessante sito che ne vuole custodire la memoria storica – è passata quasi sotto traccia, nell’ultima estate, l'esclusione dell'Eurobasket dalla A2, in cui il club presieduto da Armando Buonamici ha disputato sei dignitose stagioni. Un fulmine a ciel sereno, per cause differenti rispetto alla Virtus (il lodo per alcuni mancati pagamenti relativi all'americano Damian Hollis nel 2018-19) e sul quale non entro nel merito.
Però resta il fatto che in meno di due anni Roma ha perso entrambe le sue maggiori rappresentanti nel panorama cestistico, senza ancora trovare forze e opportunità di tornare in alto in tempi brevi.
Allo stato attuale il basket romano annovera in A2 la Stella Azzurra, club storico ma con scarso seguito e che lavora principalmente sulla valorizzazione del settore giovanile, considerato uno dei migliori d'Europa; e in serie B dalla LUISS, la squadra dell'università di Confindustria. Tutte le altre formazioni capitoline militano dalla C Gold - dove prova a vincere la Virtus Roma 1960 di Alessandro Tonolli - in giù.
La Stella Azzurra, nonostante disponga di un buon impianto come l’Arena Altero Felici, è costretta a giocare le partite interne a Veroli, vicino Frosinone, a causa dell'assenza a Roma di una struttura per le due massime categorie al momento disponibile e sostenibile. Il che è assurdo (lo stesso Eurobasket giocava a Guidonia, dopo i precedenti esili a Cisterna e Ferentino). Alla LUISS è sufficiente il PalaLUISS, uno dei soliti “palloni” di quartiere che non consentono vere ambizioni. Allo stesso modo la Virtus Roma 1960 gioca nella piccola palestra della Petriana.
Oltre alla mancanza di investimenti, quindi, il grosso guaio di Roma è costituito dagli impianti. In tema di palasport la città è rimasta alle Olimpiadi del 1960. Il palazzo dell'Eur è sovradimensionato nonché estremamente costoso per gli odierni club locali. Non ha più nemmeno uno sponsor – PalaLottomatica, ricordi? – e sta ospitando solo concerti. A breve dovrebbe essere oggetto di interventi di riqualificazione per 16 milioni di euro finalizzati a migliorarne acustica, illuminazione e spazi. Ben vengano, ma tanto per adesso il basket non se lo può permettere.
La principale urgenza riguarda dunque il Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano, chiuso dal 2018 e cantiere aperto solo nell’estate 2021. Ancora una volta, un “classico” romano: la fine dei lavori, prevista per l'estate 2022, è slittata per il lievitare dei costi. I 3,1 milioni stanziati dall'amministrazione Raggi non sono stati sufficienti e la giunta Gualtieri ne ha dovuti aggiungere altri 2,1, secondo l'assessore allo sport Onorato. Si sta ipotizzando una riapertura parziale a gennaio: 1000 posti sui 3500 totali di un impianto che, bello quanto vuoi, resta comunque piccolo. E per il quale, malgrado tutto, ci sarà la fila per utilizzarlo.
Infine, trovo folle e inconcepibile che nella capitale d'Italia non si riesca neppure a realizzare un'arena temporanea da 4-5000 posti, magari in un padiglione della Fiera, come a Bologna. Una struttura che consentirebbe di riportare in città almeno la serie A2 con la Stella Azzurra (e l’Eurobasket, se venisse riammesso). E che risulterebbe utile anche per una futura Virtus. Giusto per fare un esempio, a Napoli quello che doveva essere un palazzetto provvisorio, il PalaBarbuto, è rimasto al suo posto. Non sarà il Madison Square Garden, ma almeno è stato fatto. A Roma, invece, tutto tace.
Original by Beli
Marco Belinelli ha recentemente incontrato a Milano Chris Capossela, uno dei più importanti manager di Microsoft. Capossela è executive vice president dell’azienda fondata da Bill Gates e Paul Allen – nell'accezione americana il vice presidente non è colui che fa le veci del presidente ma ricopre un ruolo manageriale in un determinato settore, tanto che nelle imprese ce n’è più di uno – nonché capo del marketing.
Per l'occasione, nella sede italiana di Microsoft, edificio molto cool somigliante a una serra e progettato dallo studio Herzog & De Meuron, si è svolto un evento ad hoc, dal titolo Original by you e condotto da un Gianluca Gazzoli sempre più volto del connubio tra basket e lifestyle. Vi hanno partecipato dipendenti, clienti e partner. Il tema è lo stesso della campagna Original by design per promuovere laptop e tablet della famiglia Surface, di cui il giocatore virtussino è testimonial.
Belinelli e Capossela hanno raccontato le loro storie di successo, sottolineando il ruolo chiave della tecnologia nell'accompagnarci e supportarci quotidianamente nell'esprimere il nostro potenziale e nello stimolare la nostra creatività, che si tratti di arte, musica, video, sport, coding.
Nel caso del Beli, il digitale è stato decisivo lungo una carriera NBA durata tredici anni: far conoscere al mondo le sue performance, restare in contatto con famiglia e amici, raccontare la propria vita in campo e fuori, preparare le partite (analisi dei dati, schemi di gioco, studio degli avversari) con quella cura dei dettagli che fa la differenza tra i normali atleti e i vincenti.
Nel corso dell'evento milanese (qui puoi vedere il recap video), con in mano un Surface Laptop Studio e un Surface Pro 8, il manager e il cestista si sono cimentati nel disegnare, attraverso l'app collaborativa Whiteboard, un colorato tabellone che sarà realizzato in un campo da basket di Milano da riqualificare, grazie ai ricavi di un concorso a premi tra i dipendenti Microsoft. L'azienda di Seattle, quindi, per la campagna italiana ha puntato sullo sport, evidenziando l'intrinseco rapporto tra ispirazione e desiderio delle persone di creare qualcosa di originale attraverso le possibilità offerte dalla tecnologia.
Tutto questo per dirti quanto sia importante il lavoro di squadra e, ancor prima, l'autenticità alla base di ogni serio progetto di comunicazione, in grado di veicolare al pubblico valori veri attraverso storie reali e motivanti.
Condivido pienamente quanto ha scritto la PR manager di Belinelli Elisa Guarnieri in un post sul suo profilo LinkedIn:
Ecco perché ho amato il progetto creato e cucito addosso a Marco Belinelli da Microsoft. Si parla di valore del brand e di messaggi attraverso il testimonial, con un contenuto autentico e di alta qualità. Non è un caso che un manager dello spessore di Chris Capossela abbia particolarmente apprezzato e abbia voluto conoscere Beli.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Belinelli è anche passato dal BSMT di Gianluca Gazzoli. Guarda qui il video con l’intervista completa.
Parlando di impianti, è stato riaperto il PalaBigi di Reggio Emilia dopo importanti lavori di ristrutturazione. Ne parlo qui.
Torna disponibile pure il PalaMangano di Scafati, dove la squadra campana potrà finalmente giocare in A. Questo è il comunicato. Messaggio per Roma: è un “pallone” da 3500 posti.
Sul mio blog la recensione del primo dei tre libri in italiano su Giannis Antetokounmpo usciti quest'anno: autori Daniele Fantini e Davide Fumagalli di Eurosport. Leggila qui.
E questo è Hoop Hood, profilo Instagram dedicato ai playground di Atene.
Se invece ti incuriosiscono quelli di Lisbona, sempre su Instagram c’è Fora Magazine.
A Bastia Umbra, vicino Perugia, un nuovo murale raffigura Dennis Rodman nel suo celebre tuffo per recuperare un rimbalzo. L’artista è Matteo Fronduti.
C'è molto basket nelle illustrazioni di 13 artisti che puoi vedere nei negozi Foot Locker: scoprile qui.
Pallacanestro come fonte d'ispirazione per l'arte: ne scrive Elena Bordignon su Icon.
I Los Angeles Lakers organizzano periodicamente i Genius Talks, in cui ospitano personaggi di spicco per incontri motivazionali con i giocatori. L'ultimo è stato Will Smith. Gli hanno regalato una canotta con il numero 14, lo stesso da lui indossato nella sitcom Willy, il principe di Bel-Air. Qui le foto.
Davide Piasentini de La Gazzetta dello Sport ha scritto di The Redeem Team, il documentario Netflix sulla nazionale USA oro a Pechino 2008: ecco l’articolo.
Restando in tema Lakers, Magic Johnson è stato ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa su Rai 3: guardalo qui.
Dello stesso Magic parlano Liz Hoffman e Reed Albergotti su Semafor riguardo alla possibilità di entrare nella proprietà dei Las Vegas Raiders (NFL). Semafor è un nuovo giornale online statunitense che sperimenta un inedito formato di articolo, come ha spiegato anche Il Post.
Ma funziona davvero il tanking nella NBA? L'analisi di Riccardo Pratesi su La Gazzetta dello Sport (solo abbonati).
Tutto quello che c'è da sapere sulla nuova divisa City Edition dei Boston Celtics, in memoria di Bill Russell, te lo dicono i Celtics stessi sul loro sito, mentre Nick DePaula di Andscape amplia il discorso (in inglese).
Damian Lillard invece ha partecipato alla creazione della Statement Edition dei Portland Trail Blazers: eccolo al lavoro nella photogallery di Sky Sport.
Del tiro da tre e della sua evoluzione ha parlato The Guardian: qui l'articolo di Jacob Uitti (in inglese).
Intanto cresce sempre di più l'interesse reciproco tra NBA e Medio Oriente: approfondisce il tema Andrea Lamperti su l'Ultimo Uomo.
A proposito, l'Ultimo Uomo è diventato indipendente dopo quattro anni di proprietà Sky Sport: qui trovi informazioni su come sostenerlo.
Il basket è una cosa da uomini? L'interessante pensiero di Carmen Apadula di NBA Passion, classe 2005, su sessismo e ruolo delle donne nel giornalismo sportivo.
La passione non è mai troppa per The Hoopvan, un appassionato che gira tutta Europa in furgone a caccia di partite di coppa: eccolo su Twitter e su Instagram.
È il momento dell'ormai consueto report sui nuovi documentari:
Il 23 novembre negli USA esce Shaq di HBO. Il protagonista non te lo dico...
Apple ne produrrà uno su Steph Curry, dal titolo Underrated.
Canestri alabardati, presentato di recente, racconta la storia del basket a Trieste.
Proprio domani, 1° novembre, esce su Vimeo il doc su Malcolm Delaney: abbiamo il trailer.
A Reggello, vicino Firenze, i BIG 3 hanno svelato Ransom. La storia nascosta di Wade in Italia, che racconta il tour italiano nell’estate 2001 della futura star dei Miami Heat, allora un diciannovenne pressoché sconosciuto.
Per finire, ti lascio la nuova sigla di NBA Revival Zone realizzata da Trip aka Mr Cim, nome d’arte di Antonio Xausa, fan della seguitissima piattaforma di Andrea “Franz” Franceschini. Da ascoltare più e più volte.
Conclusioni
Ed eccoci qua alla fine di questo numero 22 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter.
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