Ponti
#35 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi Giannis Antetokounmpo, Pistoia con Gonzaga e una giocatrice mai dimenticata
Ciao, l'In-Season Tournament – o se preferisci la NBA Cup – non mi dispiace, ma quei parquet colorati in tv non si guardano proprio.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 35 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – leggila qui, se non hai ancora avuto modo di farlo – ho scritto di New York, della fine della serie tv Winning Time e di Langston Galloway.
Oggi, come in Galis #20, torno su Giannis Antetokounmpo, ma da un punto di vista particolare: il legame tra il suo percorso e gli strumenti digitali che utilizziamo nella vita di tutti i giorni.
A seguire, troverai altre due storie dal basket italiano, che ci narrano ugualmente di ponti tra luoghi e persone, alcuni nuovi, altri che non si interromperanno mai.
Incamminiamoci!
Giannis, o del XXI secolo
Negli ultimi venticinque o trenta anni, il modo in cui ci informiamo, comunichiamo, scriviamo è stato, in un modo o nell'altro, completamente ribaltato. E, con esso, molte delle nostre abitudini e azioni hanno conosciuto un vertiginoso rinnovamento. È la rivoluzione digitale, un passaggio epocale che ci siamo trovati a vivere – e ci troviamo tuttora, perché non è affatto finita né abbiamo smesso di conviverci – assimilabile a pochissimi altri momenti nella storia dell'umanità.
Credo che internet e tutto il progresso tecnologico in cui siamo immersi possa collocarsi sulla linea del tempo insieme all'invenzione della scrittura – i Sumeri oltre 3000 anni prima di Cristo, ricordi i libri di scuola? – e a quella della stampa – Gutenberg, metà del Quattrocento. Ti parlo da millennial nato nel 1982, quindi da quarantenne che ha fatto in tempo a vedere l'ultimo scampolo di mondo “analogico” per poi, durante l'adolescenza, convertirsi in toto o quasi alle dinamiche del mondo “digitale”. E mi ritengo molto fortunato di averli vissuti entrambi.
Questi discorsi, ovviamente, meriterebbero di essere ben più complessi e approfonditi, ma qui su Galis si parla di basket e allora cerco di arrivare velocemente al punto. Sta di fatto che l'innovazione ha giocato e gioca un ruolo fondamentale nelle fasi decisive della nostra vita, che si tratti di raggiungere un'emancipazione, trovare un lavoro, incontrare l'anima gemella. Tramite il digitale abbiamo stabilito contatti una volta impensabili e ciò vale pure per chi, grazie ad essi, è diventato una celebrità globale.
Questo processo è infatti ben rappresentato da uno dei giocatori di basket più popolari e cosmopoliti in assoluto: Giannis Antetokounmpo. Ti voglio raccontare la sua storia, che ormai tutti conoscono, attraverso tre passaggi “digitali” che hanno segnato svolte determinanti per l'evoluzione di una vicenda esemplificativa del XXI secolo. Perché non saprei dire se, senza internet, sarebbe stata la stessa.
Te li ricordi gli internet point?
In un giorno qualsiasi, il quattordicenne Giannis, da solo o con uno o più fratelli, è seduto al computer di un internet point della periferia di Atene. A casa, una connessione o un abbonamento alla tv satellitare sono fuori discussione: i soldi servono ad altro. Ma lì, basta qualche moneta e il ragazzo si assicura una finestra di almeno mezz'ora sul mondo esterno. Siamo nella seconda metà degli anni Duemila, il periodo di massima fioritura di queste attività commerciali, che sono anche copisteria, negozio di informatica o, nei migliori casi, caffè e offrono per pochi spiccioli la possibilità di navigare sul web, inviare una mail o chiamare qualcuno su Skype. Posti che, pochi anni dopo, la diffusione delle reti mobili, in aggiunta a quella dell'ADSL, avrebbe mandato in pensione.
Notato sui campetti del quartiere non esattamente turistico di Sepolia da un tizio con agganci al Filathlitikos, società sportiva dall'altra parte della città, Giannis ha iniziato da poco a praticare basket con regolarità. Per farlo, deve aggiungere ulteriori sacrifici a quelli che, insieme a genitori e fratelli, è già costretto a compiere ogni giorno come venditore ambulante, per mettere un pasto in tavola. Ma si sta appassionando in modo crescente a quel gioco che finora conosce solo in superficie, tanto che persino in famiglia lo sport più gettonato è il calcio. La passione per la pallacanestro, tuttavia, è difficile da fermare quando ti prende davvero. E nelle risicate mezz’orette trascorse all'internet point, Giannis impara ogni volta qualcosa di più su quel basket che, giorno dopo giorno, sembra costituire una reale via d'uscita.
Accomodatosi, già altissimo, su una seggiola angusta e scomoda di fronte a un vecchio monitor a tubo catodico, Giannis apre Internet Explorer, entra in una delle prime versioni di YouTube e cerca i video dei nomi di cui ha sentito parlare e che di quello sport, per lui così nuovo, ne sono la miglior interpretazione.
Si innamora degli irresistibili crossover di Allen Iverson, ma anche dei suoi cornrows; si spinge a quando non era ancora nato per ammirare lo Showtime di Magic Johnson; o approfondisce le evoluzioni degli allora eroi nascenti della NBA come LeBron James e Kevin Durant, oltre che di Kobe Bryant, naturalmente. Forse non immaginando neppure che un giorno avrebbe condiviso il parquet con loro. O magari, in fondo al cuore, un po’ sì, fosse anche solo per cullare un sogno lontano da una realtà che, all’infuori delle ore sui banchi di scuola, è fatta di camminate chilometriche per andare e tornare dalla palestra e occhiali tarocchi da vendere al semaforo. Con internet, Giannis “scopre” il basket NBA.
«I wanna be NBA… NBA player»
Passano alcuni anni e sia Giannis sia internet si sono evoluti. Il primo ha fatto enormi progressi nelle giovanili del Filathlitikos, tanto da essere stabilmente schierato anche in prima squadra nella serie A2 greca; il secondo viaggia ormai sulle connessioni veloci e sulle reti mobili, che permettono alle persone di essere sempre connesse, in casa e – grazie ai cellulari diventati smartphone – in qualsiasi luogo. Inoltre, con la possibilità per chiunque di girare e far circolare video e con i social, è molto più semplice comunicare e accedere a informazioni ovunque e in ogni momento.
È proprio il video un po' sgranato di un coast-to-coast di Giannis che Giorgos Panou (praticamente il suo primo agente) invia al collega statunitense (ma di chiare origini elleniche) Alex Saratsis, a far sapere oltreoceano dell'esistenza di questo “fuscellone” figlio di immigrati africani che imperversa nei bassifondi di Atene. E altri video si moltiplicano inesorabili, giorno dopo giorno. Giannis diventa così un prospetto internazionale e si allunga a vista d'occhio la coda di scout e allenatori NBA che giungono nella fatiscente palestra del Filathlitikos a visionare il nuovo diamante grezzo. Nel 2013 il diciottenne Giannis si dichiara eleggibile per il Draft NBA, senza mai aver messo piede in una serie A o in una coppa europea.
Il video che simboleggia quel delicato periodo lo dobbiamo a Jonathan Givony, giornalista americano esperto di Draft e scouting, che incontra Giannis ad Atene. Nel febbraio 2013, l'anno in cui la sua vita cambierà, Givony lo intervista con lo smartphone: ha intravisto in lui più di un indizio di qualcosa destinato a diventare grande. Il ragazzo, alla sua prima intervista in inglese, risponde con frasi piuttosto elementari ma che lasciano trasparire la sua determinazione: «I wanna be NBA... NBA player». E chiestogli se c'è un giocatore a cui si ispira, risponde Allen Iverson, quello per cui spendeva spiccioli all'internet point. I media digitali hanno contribuito a far conoscere al pubblico globale un ragazzo apolide dei quartieri popolari di Atene e i suoi sogni iniziano ad assumere una dimensione planetaria.
WhatsApp, casa
Anno 2022. Giannis Antetokounmpo è ormai una star. È l'uomo franchigia dei Milwaukee Bucks. Li ha portati al titolo l'anno precedente. Ha rivitalizzato un'intera città: senza di lui probabilmente nessun Fiserv Forum sarebbe mai stato edificato. Tutto il mondo sa la sua storia, è l'immagine del basket e dello sport di oggi, senza barriere, senza confini. In febbraio, per l'All-Star Game, viene annunciata una partnership tanto inedita quanto significativa: Giannis è ambassador di WhatsApp. E chi meglio di lui può rappresentare l'app di messaggistica più usata del pianeta, quella capace di unire con chat, vocali e videochiamate miliardi di persone?
Quella sera a Cleveland, Giannis si presenta sfoggiando un tunnel fit specifico: una vistosa felpa con pattern verdi, firmata Post Imperial, brand di moda fondato dal designer USA di origini nigeriane Niyi Okuboyeio. Il verde è il colore dell'app creata nel 2009 dagli ex dipendenti Yahoo! Jan Koum e Brian Acton, ma anche della bandiera della Nigeria, patria dei genitori di Giannis. Davanti campeggiano alcune cifre: +234, il prefisso telefonico nigeriano; sul retro si legge Adetokunbo, la versione in lingua yoruba del suo cognome, poi traslitterato nel greco Antetokounmpo. Giannis rappresenta tre continenti: l'Africa delle radici, l'Europa che gli ha dato natali e formazione e l'America dove si è realizzato come uomo e professionista, portando lì la sua famiglia e diventando a sua volta padre.
Difficilmente una persona rimasta genuina come Giannis accetta una sponsorizzazione solo per soldi. Per lui ogni partnership deve avere un valore più profondo. E WhatsApp lo ha. Giunto a Milwaukee, nei primi tempi si è ritrovato da solo, dato che i suoi familiari non avevano ancora il visto per volare in America. WhatsApp è stato lo strumento che gli ha consentito di mantenere i rapporti con loro, nei momenti di solitudine più nera. L’azienda ha realizzato due cortometraggi con Giannis, uno che ne racconta le origini (lo puoi vedere qui) e l'altro, insieme all'attore di origine indiana Hasan Minhaj, che celebra l'importanza delle diverse culture che il digitale riesce a collegare. È la prima volta che WhatsApp ha un testimonial, e “spingere” negli USA gli serve eccome, perché là gran parte della gente ha l'iPhone e utilizza il servizio interno iMessage.
E così, via internet Antetokounmpo ha scoperto quella NBA che poi avrebbe dominato, la rivoluzione digitale ha quindi permesso che i suoi primi video girassero il globo e la messaggistica istantanea ha infine creato ponti incredibili tra persone, culture e continenti. È valso per Giannis, può valere per tutti.
Pistoia & Gonzaga
Gonzaga, università gesuita con sede a Spokane nello stato di Washington, nel basket è nota soprattutto come alma mater di John Stockton, uscito da qui nel 1984 e diventato una leggenda degli Utah Jazz, e per una serie di attuali giocatori NBA di un certo livello: Kelly Olynyk, Domantas Sabonis, Zach Collins, Brandon Clarke, Rui Hachimura, Corey Kispert, Jalen Suggs, Andrew Nembhard, Chet Holmgren. Una gran bella generazione, di respiro internazionale, fiorita negli ultimi anni agli ordini di coach Mark Few, sulla panchina dei Bulldogs dal 1999, e affermatasi come uno dei migliori programmi cestistici (oltre che accademici) degli Stati Uniti, pur senza essere mai riuscita a vincere il titolo nazionale, arrivando in ogni caso alla Final Four nel 2017 e nel 2021 e perdendo in entrambi i casi la finalissima.
Gonzaga è in parte conosciuta anche al pubblico italiano perché per cinque anni, fino al 2019, ha fatto parte dello staff tecnico Riccardo Fois, oggi assistente ad Arizona dopo essersi occupato per un periodo di player development ai Phoenix Suns in NBA e membro, inoltre, dello staff di Gianmarco Pozzecco in Nazionale.
Oggi c'è un altro ponte di pallacanestro che collega questa università – 8000 studenti e così chiamata in onore del gesuita San Luigi Gonzaga – con l'Italia, precisamente con la Toscana. Lo scorso settembre, infatti, Gonzaga University ha siglato un accordo con il Pistoia Basket 2000, e si tratta di una novità pressoché assoluta che unisce un club della nostra Serie A con un top college NCAA.
La partnership ha durata triennale e va oltre l'aspetto strettamente sportivo, allargando il quadro alla formazione culturale e linguistica. Prevede la possibilità per gli studenti statunitensi del programma Gonzaga in Florence, attivo da sessant'anni a Firenze, di effettuare stage presso la società pistoiese, iniziative di coinvolgimento dei fan e di sponsorizzazione sul modello americano, clinic da remoto per gli staff tecnici, camp estivi a Spokane per i ragazzi della Pistoia Basket Academy. Si è già svolta una partita amichevole tra i giovani biancorossi e una rappresentativa di Gonzaga in Florence e altre ne verranno, così come la stessa squadra NCAA sarà ospite nella città toscana in una delle prossime estati. Del resto, Firenze non ha certo bisogno di presentazioni, ma la realtà con maggior tradizione nel basket più vicina al capoluogo regionale è proprio Pistoia, dove tra l'altro è transitato un giovanissimo Kobe Bryant al quale è dedicata una poltroncina in tribuna centrale.
Nel dettaglio, a essere coinvolti in questo accordo sono la Scuola di Formazione, il Dipartimento di Kinesiologia e Management dello Sport e il Master in Gestione Sportiva di Gonzaga University e le attività riguardano marketing, social media, sponsorizzazioni, team management, sostenibilità, fan engagement, clinic tecnici, camp, partite, fino a progetti di ricerca, scambi culturali e convegni. In definitiva, un connubio importante tra il basket italiano e quello universitario americano all'insegna di sport, economia, formazione e cultura, perché la pallacanestro è ancor più bella quando va oltre il parquet.
Ringrazio Saverio Melegari dell'Area Comunicazione A.S. Pistoia Basket 2000 per la gentile collaborazione. La foto in questo paragrafo è di Elisa Maestripieri / Pistoia Basket 2000.
Il basket di Roberta
Il palazzetto dello sport di Sassari, dove gioca la Dinamo, è intitolato a Roberta Serradimigni. Nativa della città sarda, è stata una delle migliori giocatrici del campionato italiano. Scomparve a soli 32 anni, nel 1996, in un incidente stradale nei pressi di Stintino, dalle sue parti. Roberta militò in varie squadre, iniziando a Milano e Roma e ritirandosi all'età di 28, dopo aver vestito le maglie di Vicenza e Cesena, due ottime squadre dell'epoca, in particolare quella veneta, vera e propria potenza degli anni Ottanta.
La parte più significativa della sua carriera, però, Serradimigni la trascorse a Viterbo. Nella città laziale ha prosperato per una ventina d'anni la SISV, società che vinse due volte la Coppa Italia (1984 e 1988) e nel 1985 raggiunse sia la finale di Coppa Ronchetti (oggi EuroCup Women) sia la finale scudetto, perdendole entrambe rispettivamente di fronte al CSKA Mosca e, di nuovo, a Vicenza. Quell'anno fu proprio Viterbo a ospitare la finale europea, in un palasport stracolmo. Nei primi anni, Serradimigni era il cambio di Linnell Jones, straordinaria playmaker da Flint, Michigan, che se fosse già esistita la WNBA ne sarebbe diventata senza dubbio una star. Dopo il 1986, una volta partita Jones, la sassarese divenne l’indiscussa play titolare.
Viterbo è la città dove sono nato e cresciuto e Roberta Serradimigni è stata la prima cestista che mi ricordi di aver visto giocare. I miei genitori e zii mi portavano al palazzetto quasi ogni domenica, innescando così la mia passione per il basket. Ero troppo piccolo per ricordarmi di Linnell Jones, mentre invece di Roberta ho bene in mente varie partite.
Massimiliano Mascolo, con il quale condivido le origini viterbesi oltre che la professione giornalistica, è oggi il vicedirettore di Rai Sport. In quegli anni si occupava delle relazioni con la stampa per la SISV e mantiene ancora rapporti di amicizia con gran parte delle giocatrici di allora. È molto legato alla sua città, alle cui vicende sportive ha dedicato vari libri e iniziative, tra calcio, basket, rugby, pugilato e altre discipline. Da qualche anno ha allestito l'Archivio dello Sport Viterbese, una straordinaria raccolta di memorabilia, volumi, giornali, riviste, fotografie, video, testimonianze di ogni genere – tuttora in progress – sullo sport dell’intera provincia, nota anche come Tuscia, a ogni livello.
Nei giorni scorsi ha curato presso i locali dell’Archivio una mostra, Il basket di Roberta, dedicata a Serradimigni, in collaborazione con la sorella Nunzia Serradimigni (anche lei ex giocatrice azzurra), che è stata visitata da molte protagoniste e protagonisti dell'epoca e da numerosi appassionati. A Viterbo, infatti, la play sarda si era perfettamente integrata, lasciando tanti ricordi e legami: la sua prematura e tragica scomparsa genera ancora oggi affetto e commozione. E la dedica del palasport della natia Sassari, avvenuta nel 2012, è stata assolutamente doverosa e salutata con estremo piacere anche dall'altra riva del Mar Tirreno.
Colgo l'occasione per ringraziare Massimiliano per questo bel tuffo nel passato e per la sua incessante attività di documentazione e promozione dello sport della sua terra. Credo che il suo Archivio possa costituire un modello per qualsiasi città, paese, provincia – laddove non sia già stato fatto – che voglia valorizzare la propria memoria storica attraverso lo sport, sincera espressione di ogni identità locale.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
La volta scorsa avevo concluso con i libri e da lì riparto: sul mio blog ho recensito Dream Games di Alessandro Mamoli di Sky Sport.
E qui il particolarissimo Chi segna regna di Roberto Cornacchia e Luca Cocchi.
Questo è Un Principe tra due mondi. Il mito di Cesare Rubini (Augh! Edizioni) di Sergio Giuntini, Sergio Meda e Mario Zaninelli, nel centenario della nascita. Acquistalo qui.
Torna anche il collettivo Uncle Crew con Le grandi squadre che hanno fatto la storia dell'NBA, uscito per Newton Compton. In vendita qui.
Chi sono gli italiani in NCAA in questa stagione? Li elenca Riccardo De Angelis su BasketballNcaa.com.
È morto coach Bob Knight e Andrea Beltrama su L'Ultimo Uomo gli rende omaggio così.
5 lezioni del leggendario John Wooden che possono essere ancora utili agli atleti di oggi: le mette in fila Stephen Borelli di USA Today. (in inglese)
Su SLAM un po' di cose da sapere sul museo di LeBron James appena inaugurato ad Akron, Ohio. (in inglese)
Troppo alti, larghi, bassi o strani: Riccardo Pratesi de La Gazzetta dello Sport ha individuato i cinque "intrusi" della NBA.
HoopsHype ha raccolto una serie di travestimenti di Halloween delle star NBA attraverso gli anni: ammirali qui.
E Basketball Forever i top di quest'anno.
Cosa potrebbe succedere in NBA dal 2025 sul fronte dei diritti tv e non solo: Davide Fumagalli di Eurosport fa il punto.
I Miami Heat hanno dedicato la divisa City Edition di quest’anno all'ormai famosa Heat Culture: ne parla Martenzie Johnson su Andscape. (in inglese).
Uscito negli USA un documentario sulla vita di Isaiah Williams, attualmente al SAM Massagno, in Svizzera. Qui l'intervista di Mattia Meier per il Corriere del Ticino.
Sempre per il Corriere del Ticino, il coach italiano Salvatore Cabibbo si racconta a Fernando Lavezzo.
Chi non vuole che Petrucci sia rieletto presidente FIP? Michele Spiezia di Storiesport.it traccia alcuni interessanti scenari.
Sulla pagina Facebook dell’associazione Vale per tutti trovi le info per prenotare la box natalizia, il cui ricavato sarà devoluto al Villaggio Fraternité in Camerun, dove è stato costruito un campo da basket in memoria di Valerio D’Angelo.
Bel podcast, 24Grind di Mirko Sirtori. A novembre sono stati ospiti Peppe Sindoni, Michele Pettene, Raffaella Masciadri, Ivan Belletti e Adriano Vertemati: ascolta qui tutti gli episodi.
Per finire, l’ex giocatore JJ Redick intervista il commissioner NBA Adam Silver sul suo podcast The Old Man & The Three: da non perdere. (in inglese)
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 35 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter. Mi raccomando, spargi la voce!
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È tutto, ci vediamo il 31 dicembre. Perché il basket non si ferma mai. Ciao e buon Natale!