Una newsletter di nome Galis
#1 - Basket, cultura, lifestyle: cominciamo con le presentazioni. Poi Seattle, Kobe, Jamel Thomas e un po' di suggerimenti.
Ciao, se il basket è il tuo stile di vita, sei nel posto giusto. O almeno spero.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il primo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season.
Potresti pensare che di newsletter, ormai, ce ne siano tantissime. È vero, ma non preoccuparti: non sarò una presenza molesta nella tua e-mail.
Sono un giornalista che crede profondamente nell'informazione di qualità e qui voglio condividere, ad ogni uscita, temi, storie e curiosità sulla passione che ci accomuna.
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Cosa contiene Galis? E perché ho scelto questo nome? Ti spiego tutto.
I temi sono quelli di Never Ending Season, il blog che ho creato oltre cinque anni fa. Dura da tanto, vero? Sono onesto: in realtà, lo sto “spingendo” seriamente da meno di due anni. Prima, il mio impegno era un po' così, diciamo saltuario. In ogni caso, qui e lì scrivo di tutto ciò che ruota attorno alla pallacanestro, soprattutto dal punto di vista socio-culturale e del lifestyle. Esploro, descrivo, racconto le connessioni tra basket e cinema, libri, musica, media, design, luoghi, cultura pop, arte. Insomma, qualsiasi ambito che abbia legami con questo sport.
Non troverai, quindi, analisi tecnico-tattiche, breaking news o eccessivo storytelling, perché ne abbiamo già in abbondanza in giro (e in certi casi molto validi).
Il motivo per cui ho chiamato il mio blog Never Ending Season te lo racconterò un'altra volta. Questa è Galis e, visto che siamo al numero 1, intendo spiegarti perché ho scelto un nome che, se ami il basket, credo avrai già sentito.
Galis. Come lui
Esatto. Galis come Nikos Galis. Il grande giocatore greco degli anni Ottanta e un po' Novanta. L'uomo, oggi nella Hall of Fame, che guidò la nazionale ellenica a uno storico titolo continentale nel 1987.
È probabile, se sei molto giovane e magari non sei nemmeno un particolare seguace del basket europeo, che tu non sappia chi sia Galis. O che ne abbia una conoscenza superficiale. Io stesso, non più giovincello ma neppure “generazione X”, fino a non molto tempo fa ne avevo una cognizione piuttosto sfumata, derivante da racconti altrui appena captati da bambino, e poco altro.
Galis è stato un giocatore pazzesco, per talento, vena realizzativa, carattere, spirito con cui affrontava il gioco. Non è questa la sede per un profilo su di lui, anche perché devierei dalla linea che mi sono posto. Ma se non lo conosci o lo hai scoperto poco, ti do un bel consiglio: leggi qualcosa e guarda i video su YouTube. Fallo.
Attenzione, però: seppur intitolata in onore di Galis, questa non è una newsletter nostalgica. Gli argomenti te li ho già detti e i motivi del nome, be', non pensare che siano poi così profondi e complessi.
Cercavo un nome facile da pronunciare e da ricordare, ma un po' particolare. E sì, anche un minimo vintage, che non guasta. Galis: perfetto. E poi, chi meglio di lui viveva il basket con quel trasporto totale, quella fedeltà e quel rispetto che il nostro sport merita? Galis giocava con un'intensità e una presenza mentale tali da realizzare canestri incredibili e vincere partite straordinarie senza mai perdere il controllo.
C'è anche un altro aspetto: Galis, che oggi ha quasi 64 anni, è greco ma nato e cresciuto negli Stati Uniti, figlio di immigrati. Li ha lasciati dopo i vent'anni, svanita la possibilità di entrare in NBA, per giocare nella patria dei genitori, che fece sua. In qualche modo, mi fa pensare a una sorta di ponte tra Europa e America. E gli argomenti di cui parlo qui riguardano il basket a 360 gradi, indipendentemente da dove si gioca. Se poi capita che NBA e USA in genere siano in maggioranza, prendila così: è perché fanno un marketing migliore.
Infine, c'è un'ultima motivazione, più personale, alla base della scelta di Galis come nome di questa newsletter. Circa sei anni fa, su un libro, lessi la storia del campionato europeo 1987. E quindi di Galis. Ho tanti giocatori che mi hanno ispirato e mi ispirano tuttora, ma lui è su un piano diverso. È qualcosa di mitico, di epico. Mi innamorai di quell'impresa. È stata la scintilla che mi ha fatto tornare la voglia di scrivere di basket, cosa che in quel periodo avevo abbandonato. Quella di Grecia '87 è stata la prima storia lunga che ho scritto sul blog, nonché il capitolo iniziale del mio libro.
Sì, sono autore di un libro di storie di basket. È uscito ad agosto 2020 in tutta Italia e si intitola Il parquet lucido. Dopo ti dirò come e dove acquistarlo, se sei interessato.
Voglio fare una precisazione: con questa newsletter non ho come scopo principale aumentare le visite al blog, quindi non ci troverai troppi link alle sue pagine. Anzi, alcuni contenuti li pubblicherò soltanto qui.
L'idea è proporti, dal mio punto di vista, temi, storie, curiosità, approfondimenti legati al basket, in modo da vivere la nostra passione in maniera sempre più profonda e completa.
Oggi una newsletter è un prodotto editoriale di qualità, con cui stabilire un rapporto trasparente, diretto, colloquiale con te che la ricevi. Così cercherò di fare, senza dover sottostare alle esigenze della SEO o dei social, che seppur centrali nel web di oggi, non possono sostituire il piacere della scrittura. Per le cose da blog, c'è il blog: questa è una newsletter. Ed è senza fretta: è lunga, ma hai un mese di tempo per leggerla prima della prossima uscita, e puoi sempre conservarla tra le tue mail preferite.
In fondo troverai altri accorgimenti utili per un'ottimale fruizione di Galis. Ora parliamo di un po' di cose che hanno a che fare con la pallacanestro.
Sognando Seattle
Vorresti il ritorno della NBA a Seattle? Io, assolutamente sì! E come fai a dire di no, con una squadra e una città così iconiche?
Ok, Seattle vuol dire musica, grunge e tutto il resto. Ma in seconda battuta vuol dire basket, punto. Tanto che i diritti sul nome SuperSonics sono ufficialmente patrimonio della città e nessun’altra franchigia potrà mai chiamarsi così. Bello, no? La mancanza dei SuperSonics, che dura ormai dal 2008, anno del sofferto trasferimento a Oklahoma City come Thunder, è una delle ferite più profonde nel basket dei nostri tempi: praticamente, non si è mai smesso di parlare, con un mix di nostalgia e speranza, del giorno in cui i Sonics sarebbero tornati. La realtà, però, è che in tredici anni non ci sono state occasioni concrete. E l'espansione di una lega professionistica non è cosa da poco, soprattutto se già affollata da 30 franchigie.
Quel giorno, oggi, potrebbe essere un po’ più vicino. Forse. E chi dobbiamo “ringraziare”? Il Covid, proprio lui. O meglio, le pesanti conseguenze economiche della pandemia, che non stanno risparmiando neppure una potenza come la NBA e potrebbero indurre Adam Silver a prendere in considerazione l'aggiunta di due squadre. Che vuol dire due ulteriori città e mercati. 32 sono troppe? Probabilmente sì. Ma c'è già la fiorente NFL che ne ha altrettante e fare “cifra tonda” non sarebbe così insensato, anche per mettere mano a una revisione delle Division, che fosse per me le cancellerei del tutto, data la loro inutilità. Intanto sull’espansione Silver, da buon commissioner, smentisce e non smentisce.
Le città favorite sono Seattle e Las Vegas. La prima a furor di popolo, anche se Seattle ha comunque i crismi di un mercato notevole; la seconda per mere ragioni economiche.
Sai a cosa mi fanno pensare, di getto, Seattle e Las Vegas insieme? A un film del 1983: Wargames – Giochi di guerra, con Matthew Broderick e Ally Sheedy. Lo hai mai visto? Io lo considero uno dei manifesti degli anni Ottanta, che ironizza ma non troppo sul clima della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il mio periodo storico preferito.
Un ragazzo patito di informatica, che oggi chiameremmo hacker, dal pc della sua cameretta, con una connessione telefonica – «ah ma perché due computer si possono collegare via telefono?» – accede a quello che sembra solo un videogame di guerra. Ma in realtà è molto di più: si intrufola involontariamente nel sistema del NORAD e rischia di far scoppiare una guerra nucleare tra le due superpotenze. Credendo di giocare, David Lightman – il personaggio interpretato da Broderick – immagina di lanciare missili contro l'America. Indovina un po' su quali città? Seattle, la sua, e Las Vegas!
Se hai interesse verso la storia recente e sei attratto dai primordi dell'informatica e di internet, Wargames è un film che devi assolutamente vedere o riscoprire.
A proposito, nel cast c'è Barry Corbin, nella parte del generale Beringer: lo ritroverai molti anni dopo nella serie tv One Tree Hill, che è piena di basket e in cui lui, oggi ultraottantenne, recita nel ruolo del coach Brian “Whitey” Durham.
Passaggio veloce su Las Vegas: con la progressiva legalizzazione delle scommesse sportive, il professionismo ha cominciato a piantare le tende nella Sin City. Il basket femminile è arrivato nel 2018 con le Las Vegas Aces di WNBA, nel 2020 vi si sono trasferiti i Raiders di NFL da Oakland e c'è pure la NHL con i Golden Knights, impiantati nel 2017 nel deserto del Nevada. La NBA, finora, ha svolto a Las Vegas la Summer League e una grande edizione dell'All-Star Game, quella del 2017, con Kobe Bryant MVP e autore di 31 punti.
Torniamo a Seattle. Non ti parlo della favolosa scena musicale di questa città, anche perché è molto probabile che tu ne sia più esperto di me. Né di un tessuto imprenditoriale che ha visto nascere in zona roba come Microsoft, Boeing – cioè il motivo del nome SuperSonics – e Starbucks – ma non lo ricordate troppo ai tifosi, visto che mister Howard Schultz è additato come uno dei maggiori responsabili del declino della vecchia, gloriosa squadra.
Seattle è basket a pioggia, e non solo perché il meteo della zona è tale che Rain City ed Emerald City sono i nickname più noti della città. Dai licei ai college, dai playground ai tornei giovanili, la tradizione è fortissima. Seattle non potrà essere per sempre fuori dalla NBA. Le pur meravigliose Storm, vincitrici di quattro titoli WNBA tra cui quello del 2020 con Breanna Stewart e l'eterna Sue Bird, non bastano più. Qui la pallacanestro è identità, fa parte del tessuto sociale.
Ti piace leggere libri di sport in inglese? Te ne consiglio uno, uscito di recente: Hoops Heist di Jon Finkel. Lo puoi acquistare qui. Sai chi è l'editore? Isaiah Thomas. Esattamente: il piccoletto ex Boston Celtics è nato a Tacoma, a due passi da Seattle. E ha messo su una personale media company, la Slow Grind. Sul suo sito, oltre al libro, ci trovi uno store di abbigliamento brandizzato e alcuni documentari, integrali o in trailer, molto interessanti, che parlano di Isaiah e non solo. Ecco, il libro racconta di come la “rapina” – heist – dei Sonics, portati via nel 2008, abbia in realtà sortito l'effetto di fortificare una già radicata hoop culture che unisce una lunga di serie di giocatori, NBA e non, estremamente legati a Seattle.
Parlando di verde e pioggia, sai come si chiamerà l'ex KeyArena dopo i lavori di rinnovamento in corso? Climate Pledge Arena, cioè Arena dell'Impegno per il Clima. Un nome voluto nientemeno che da Jeff Bezos di Amazon, titolare dei naming rights dell'impianto. Aprirà nella stagione 2021-22 per ospitare i nuovi Seattle Kraken di NHL, ma ci sarà spazio per i futuri, eventuali, bramati Sonics. Che furono trasferiti perché nel 2008 non c'erano le condizioni per ristrutturare il palazzo, di proprietà pubblica.
Se/quando torneranno, spero che sia riproposto il logo utilizzato dal 1995 al 2001, con lo Space Needle, la torre simbolo di Seattle. Anche per quanto riguarda le divise, mi piacevano quelle del periodo Payton-Kemp, e in particolare la versione in rosso che comparve dal 1997. Gusti personali, eh!
Kobe Bryant vive sui muri del mondo
Cosa stavi facendo la sera del 26 gennaio 2020?
Inutile girarci intorno: rimarrà uno di quei momenti di cui ti ricorderai ogni particolare. Il momento in cui hai saputo della morte di Kobe Bryant. Un po' come quando sei venuto a conoscenza degli attentati dell'11 settembre. O sei stato informato della perdita di una persona cara.
Lascia un po' interdetti il fatto che ci ritroviamo ad accostare, vivendo emozioni simili, la presa di coscienza di tragedie mondiali che hanno spezzato migliaia di vite, o di lutti familiari, con quella della scomparsa di un campione sportivo.
Però, questo offre la misura di quanto tali personaggi, soprattutto per chi è cresciuto con lo sport, siano entrati, grazie alla crescente potenza dei media, nella nostra quotidianità. Come se ci fossero sempre stati, come se fossero di casa.
Per quanto riguarda me, quella sera non stavo facendo nulla di speciale. Ero da poco tornato a casa per cenare. A un certo punto mi accorgo di un messaggio non letto su WhatsApp. È mia madre: cosa vorrà? Lei segue abbastanza lo sport, ma non molto il basket, ed era probabilmente l'ultima persona da cui mi sarei aspettato di ricevere una notizia del genere. Invece leggo: “Kobe Bryant è morto in un incidente aereo”. Vacillo. Accendo il televisore su Sky Sport e vedo passare la notizia. La fonte è TMZ, un sito di gossip. Ma è tutto vero. Elicottero e non aereo, la sostanza non cambia. Surreale.
È passato un anno, forse non a caso il più assurdo di tutti: te lo sei risparmiato, caro Kobe. Il basket e il mondo non sarebbero più stati gli stessi. Tra ciò che non c’era e adesso c’è, voglio parlarti di un fenomeno artistico di proporzioni planetarie che la scomparsa di Kobe ha innescato.
Sui muri di tutto il mondo, come d'altronde era prevedibile, gli street artist hanno fatto sbocciare murales in omaggio a Kobe e a Gianna, la figlia tredicenne promessa del basket, deceduta insieme a lui nell'incidente di Calabasas. Un tragico destino condiviso con le altre sette persone sull’elicottero: Alyssa Altobelli, John Altobelli, Keri Altobelli, Payton Chester, Sarah Chester, Christina Mauser, Ara Zobayan.
Ci sono murales più o meno grandi, più o meno elaborati, più o meno belli, ma sono tanti. Ovunque. Mike Asner, consulente di marketing digitale di Los Angeles, di fronte a questa fioritura ha realizzato il sito www.kobemural.com, con una mappa Google che geolocalizza la presenza di opere a tema Mamba in California, negli Stati Uniti e in tutti i continenti. Se ne manca qualcuno, puoi segnalarlo. E ne ho parlato in questo post.
Un segno tangibile dell'enorme influenza che Kobe ha avuto su milioni e milioni di persone. È stato un uomo in grado di travalicare i confini del basket e dello sport, diventando un esempio globale. Non è azzardato affermare che il suo status di icona arriverà ad affiancare, nell'immaginario collettivo, quello di altre “leggende” che ci hanno prematuramente lasciato: Bob Marley, JFK, John Lennon, Ayrton Senna. Anche Drazen Petrovic, certo, enorme, ma è più di nicchia.
Tra gli omaggi più recenti, il rapper senese-marsigliese Zatarra ha dedicato un pezzo a Kobe, intitolato 9.45 am. L’ora dello schianto.
Il riscatto di Jamel Thomas
Se segui il campionato italiano, alcuni anni fa potresti esserti imbattuto in Jamel Thomas. Ha lasciato discreti ricordi a Biella, dove arrivò nel 2002 direttamente dalle leghe minori statunitensi. Ha giocato, mai per più di una stagione, anche a Teramo, Siena e Napoli.
Jamel Thomas è nato nel 1976 – quello che io chiamo “l'anno di Ronaldo”, Ronaldo il brasiliano per intenderci, nel calcio ho un brutto difetto: sono interista – e oggi, come il Fenomeno appunto, ha quasi quarantacinque anni. È un ex giocatore, uno dei tanti americani che, privo di sbocchi in NBA (7 presenze in tutto tra Boston e Golden State nel 1999), ha varcato l'oceano, senza peraltro ottenere grossi risultati.
Ha lanciato, da qualche mese, una linea di abbigliamento. Fin qui, niente di eccezionale: non è il primo, non sarà l'ultimo. Il nome del brand non fa volare con la fantasia: Jamel. Il sito corporate è questo: www.jamelny.com, se vuoi iniziare a dare un'occhiata alle collezioni.
Occhio a quelle due lettere dopo “Jamel”, però: NY. New York. Perché se vuoi parlare di Jamel Thomas, non puoi prescindere dalla sua provenienza. Da New York vai di zoom verso Brooklyn e ancora di zoom verso una penisoletta a sud: Coney Island.
Ti piace il cinema? Sono sicuro che hai pensato a I guerrieri della notte. Ti piacciono il cinema e il basket? Allora non c'è ombra di dubbio che la tua mente sia subito andata a He got game e ai suoi infiniti tributi al nostro amato sport, di cui ho scritto qui. Jamel Thomas è cresciuto all'ombra del Cyclone e della Wonder Wheel, consumando scarpe e palloni sui playground tra i projects. Dove il basket è centrale nella costruzione di una credibilità di strada.
Sono stato a New York due volte, ma Coney manca all'appello: me la segno per quando ci tornerò. Zona difficile? Ha questa fama. Zona oggi più turistica? Dicono. Lo scoprirò di persona. Di sicuro ha sofferto, e di brutto, la pandemia: durante il primo lockdown, da queste parti il tasso di mortalità è stato tra i più alti della metropoli. Tra i tanti, troppi decessi, due hanno colpito al cuore Jamel Thomas: Dan Turner, di anni 49, e la di lui madre Erica Telfair, 64.
Jamel è cresciuto in una famiglia afroamericana allargata, una storia il cui cliché è purtroppo molto comune in quei contesti: padre non pervenuto, mamma giovanissima che entra ed esce di galera per droga, e finisce uccisa dal compagno quando il piccolo ha solo tre anni. È zia Erica a crescere Jamel nell'appartamentino delle case popolari di Surfside Gardens. Ha appena 23 anni, ma è una tosta. Ha già un figlio di 8, Dan, e in seguito arriveranno Sebastian ed Ethan Telfair. Sebastian è proprio lui, una delle tante promesse non mantenute della NBA e dalla vita fuori dal campo non esattamente irreprensibile. Si fa vedere spesso un cugino bravino a basket: Stephon Marbury. Jamel sperimenta i pericoli della vita di strada e dello spaccio, ma presto trova il suo rifugio nella palla a spicchi. Con applicazione costante, e con la guida dei Braverman, una coppia di insegnanti ebrei che hanno un ruolo chiave nella sua formazione, Jamel emerge nella Abraham Lincoln High School, un'istituzione per chi gioca a basket a Coney Island. Riesce ad andare all'università a Providence e a costruirsi una carriera da professionista in Europa.
A far scattare il clic della linea di abbigliamento nella testa di Jamel Thomas, che oggi è tornato a Brooklyn, è sposato e tiene camp per ragazzi, è stata la morte della zia/madre adottiva e del fratellastro Dan. La tragedia familiare gli ha riportato alla mente gli incoraggiamenti di Erica. Quando lo esortava a dare il meglio di sé e a non mollare, soprattutto in seguito alla delusione di non essere stato scelto al Draft NBA.
Il messaggio che Jamel vuole restituire è chiaro: dalle difficoltà può nascere il successo, puoi emergere e arrivare in alto con fiducia e determinazione, indipendentemente dalle circostanze, soprattutto se sai seguire l’esempio delle persone giuste. In questo progetto, Thomas ha unito le sue origini, la passione per la moda e la propria vicenda umana e sportiva. Parte del ricavato viene devoluto a bambini orfani e svantaggiati.
Il logo richiama la copertina del suo libro, uscito quando ancora giocava in Italia, The Beautiful Struggle: il Jamel adulto tende un braccio al Jamel bambino, rassicurandolo. Come per dirgli: so cosa stai passando, ma ce la farai. Puoi raggiungere il tuo massimo, realizzare i tuoi sogni, sono con te.
La linea Jamel si inquadra nell'athleisure urban di qualità e propone tre design caratterizzati da colori pastello e locandine vintage. Uno è The Mecca, omaggio al Madison Square Garden, l'arena per eccellenza, dove gli è capitato di giocare in alcune occasioni ai tempi del college. Un altro è The Blueprint, tributo a tutte le tappe e livelli che ha attraversato durante la carriera. Il terzo, infine, è The Pallacanestro e vuole dare il giusto riconoscimento al basket come sport globale. E pure un po' alla nostra Italia.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Hai visto Soul della Pixar su Disney+? A me è rimasto dentro. La storia ha contenuti profondi, è un invito a riflettere su tutto. Poi, l'ambientazione a New York è favolosa e altamente valorizzata dalla qualità delle animazioni. Se stai attento, a un certo punto troverai un accenno ai Knicks che perdono sempre... lascio a te scoprirlo!
John Grisham, noto come il re del legal thriller, è il mio scrittore preferito. Al di là di questo, è un grande appassionato di sport e ha scritto un romanzo di basket che uscirà negli Stati Uniti il 27 aprile. In Italia, dove i suoi libri sono editi da Mondadori, dovrebbe arrivare in estate. Il titolo originale è Sooley e il protagonista è un talentuoso ragazzo africano che deve affrontare grandi sfide dentro e fuori dal campo, per affermarsi in America e aiutare la sua famiglia. Lo ammetto: appena ho saputo che il mio favorite author ha scritto un romanzo sulla pallacanestro, sono entrato in eccitazione.
Ora, ho un po' di contenuti da consigliarti. Sia dal mio blog sia dalla rete.
Per iniziare, ho intervistato Idan Ravin, personal trainer che lavora con le più grandi star NBA. Lo ringrazio ancora per la disponibilità, e qui puoi leggere il pezzo.
Poi, questa cosa della March Madness tutta in Indiana, in una “bolla diffusa”, non è niente male. Certo, sarebbe stato meglio se non ce ne fosse stato bisogno. A questo punto, però, approfittane per scoprire le arene che ospiteranno il Torneo NCAA 2021.
Sarai al corrente del fatto che lo scorso 30 dicembre Becky Hammon, complice l'espulsione di Gregg Popovich, ha guidato per una sera i San Antonio Spurs come head coach. È stata la prima donna di sempre a fare questo in NBA. Sono in molti a sostenere che sarà la prima donna a ottenere definitivamente una panchina nella lega.
Gli Elefanti di Dario Costa e Dario Ronzulli ha dedicato a Becky un intero podcast di quattro puntate e l'Ultimo Uomo un lungo articolo. In entrambi c'è la firma di Giorgia Bernardini, ex cestista, fondatrice della newsletter di sport femminile Zarina.
Mi limito ad aggiungere che a San Antonio, città dove Hammon vive dal 2007, le è stato dedicato un murale: puoi vederlo qui.
Forse nessuno aveva mai raccontato l'esperienza nel baseball di Michael Jordan come ha fatto invece Giorgio Barbareschi per Overtime – Storie a spicchi. La storia la trovi qui e ne approfitto per ricordarti che l'affiatato team di Overtime, dopo il recente libro collettivo The Dream League, ha lanciato un proprio podcast.
Il basket in Italia deve fare i conti con il doloroso ritiro dal campionato della Virtus Roma. È una ferita profonda, perché la squadra della capitale, per molti, è stata la passione di una vita. Come per Luigi Ippoliti, che su Esquire fa ordine tra i ricordi.
Non potrei parlare di basket e lifestyle senza almeno un accenno alle scarpe: ti segnalo questo pezzo di Cecilia Caruso su NSS Mag, in cui analizza il crescente fenomeno del resell, che nel mercato delle sneaker è sempre più un fattore.
Intanto, Big Sean è diventato il “direttore creativo dell'innovazione” dei Detroit Pistons: ha rilasciato un'intervista a The Undefeated in cui parla del nuovo ruolo e del suo legame con la città.
C'è un'altra intervista da leggere, che BasketballNcaa.com ha regalato ai lettori nel giorno di Natale: Batouly Camara, la giocatrice di Connecticut inserita da Forbes tra gli atleti under 30 più influenti della sua generazione, racconta il suo impegno sociale a Isabella Agostinelli. Leggila qui.
Luca Ngoi su Outpump spiega quanto Slam Dunk abbia contribuito creare una generazione di appassionati, in Giappone e non solo. E ti ricordo che Panini Comics sta ripubblicando tutto il manga in italiano: 20 volumi in totale, sono arrivati al numero 17, e costano 7 euro l'uno.
Se infine hai un po' di tempo, vai su Instagram e ammira un po' di canestri “rurali” sul profilo @roundball_religion. Oppure, qui. Joe Cornett è un fotografo dell'Arizona e Roundball Religion è il suo progetto dedicato al basket.
Conclusioni
E così sei arrivato quasi alla fine di questo primo numero di Galis. Spero che tu sia rimasto soddisfatto dei contenuti, e che vorrai continuare a ricevere la newsletter. E aiutarmi a diffonderla, se ti va. Ovviamente, posso sempre fare meglio e il mio impegno è quello di migliorarla ogni volta.
Ti chiedo una piccola accortezza. Giustamente al giorno d'oggi ci sono i filtri anti-spam, per evitare o ridurre un triste fenomeno che, diversi anni fa, finì per annientare il primo successo delle newsletter.
Quindi, quando riceverai questa mail, potrebbe finire nella tua cartella spam. In tal caso, devi fare due cose: contrassegnare il messaggio come “non spam” e salvare il mittente galis.newsletter@gmail.com nella tua rubrica. In tal modo, dovresti riceverla regolarmente. Se non fosse neppure nella cartella spam, dai un'occhiata alla tab Promozioni (se usi Gmail sai di cosa parlo).
Al di fuori di Galis, mi trovi su www.neverendingseason.com, di cui ti invito a seguire anche la pagina Facebook e il profilo Instagram. Puoi scrivermi quando vuoi al mittente di questa newsletter, dal modulo che trovi sul blog oppure sui miei profili personali Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn, aggiungimi o seguimi tranquillamente.
Prima di lasciarti, ti ricordo il mio libro Il parquet lucido. Storie di basket. È uscito lo scorso agosto, a livello nazionale, per Ultra Edizioni, marchio del gruppo Lit con sede a Roma, che ringrazio per aver creduto nella mia proposta. Nel volume raccolgo i migliori pezzi che ho scritto negli ultimi anni sia per il mio blog sia per alcuni siti specializzati con cui ho collaborato, più alcuni inediti. Una galleria di personaggi, squadre e vicende che hanno lasciato un segno indelebile sul gioco. Con due particolari appendici, di cui non ti anticipo nulla.
Puoi acquistarlo in libreria in tutta Italia, e se non lo trovi puoi ordinarlo sempre in libreria: aiutiamo questi posti magnifici, che non meritano l’estinzione. Se hai possibilità, quindi, ti invito ad acquistarlo di persona. Altrimenti, se hai difficoltà a spostarti, è possibile ordinarlo sui principali store online – qui su Amazon – e arriverà direttamente a casa tua in pochi giorni.
Visto che questa newsletter si chiama Galis e che ho parlato di lui, ti saluto con un brano del libro in cui descrivo così il grande giocatore greco:
Nel concerto del Pireo emerge però l'assolo di un violinista d'eccezione: Nikos Galis, ancora lui. I movimenti, lenti ma precisi e inarrestabili, rasentano la perfezione; le siderali parabole di tiro eludono la difesa di avversari molto più alti e grossi; i giri in palleggio, la capacità di proteggere la palla con il corpo anche quando sembra che l'avversario gliela abbia ormai soffiata, l'abilità a incunearsi nella giungla difensiva con i suoi imprevedibili giochi di braccia e i fluttuanti stacchi da terra: tutto questo rende le azioni di Galis l'oggetto preferito degli sporadici replay televisivi di allora, quando per guadagnarti il “ralenti” dovevi aver fatto qualcosa di davvero meritevole. E il pugno alzato, il gesto silenzioso con cui Nikos celebra ogni suo canestro “impossibile”, sta a significare che lui ogni attimo di quel successo se lo è guadagnato con la fatica e il lavoro.
Ci vediamo il 28 febbraio. Ciao!