Se vivi di basket
#45 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi le novità di questo progetto, un grande attore e una città inusuale
Ciao, mi piace affrontare ogni nuova stagione come se fosse la più difficile, ma anche la più bella. E ripartire è sempre un'emozione.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 45 di Galis, la newsletter di Never Ending Season, il mio progetto editoriale con cui ti racconto il basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – se l'hai “skippata” recuperala qui – ho scritto del Sud Sudan, di Joel Embiid, del canestro da quattro punti e di Jaylen Brown. In coda, il consueto Shootaround, la rubrica-contenitore di tutto ciò che è apparso di interessante su web e social a tema pallacanestro.
Oggi, invece, sarò abbastanza autoreferenziale, perdonami. Parlerò ampiamente delle novità che sto introducendo in Never Ending Season.
Ti ringrazio per essere parte del mio pubblico e spero di fare in modo che tu possa esserne sempre felice, in nome della passione che ci accomuna.
Seguimi!
Stagione infinita
Pochi giorni fa ho lanciato una campagna su Instagram (e anche su Threads) che si chiama Se vivi di basket. Andrà avanti qualche mese e posso tranquillamente rivelarti che non è niente di speciale. Almeno per ora, sono semplici post con cui, ogni una o due settimane, voglio solo fare un po' leva sulle emozioni più semplici e genuine di chi “vive di basket” (come te, vero?). E che costituisce il target di Never Ending Season.
“Vivere di basket” non nel senso di “camparci”, guadagnarci soldi. Mi riferisco, invece, al concetto di amare talmente la pallacanestro da non accontentarsi di partite, risultati, breaking news, highlights, aspetti tecnici, ma di lasciarsi ispirare da essa in ogni momento della nostra vita, cercare ovunque agganci con la palla a spicchi. Tra le strade di città o davanti a uno schermo, nelle pagine di un libro o al playground.
Se magari non sei un vero esperto di basket, ma ti ci sei avvicinato da poco, un approccio partendo dal lifestyle e dalle innumerevoli connessioni che ha con la società contemporanea, è proprio la soluzione migliore! Perché è dai legami della pallacanestro con musica, cinema, libri, design, media, arte, moda, cultura pop, viaggi e così via, che puoi apprendere tante storie e curiosità. E poi, perché no, arrivare ad approfondire anche la conoscenza più propriamente sportiva del basket.
Ciò avviene perché, come ti ho detto, gli spunti di riflessione che ci offre fuori dal campo sono continui. È uno sport diffuso su scala globale, un fattore importante per milioni di persone. Il basket non si ferma mai, è una stagione continua, va ben oltre la partenza e la conclusione dei campionati. Una stagione senza fine: Never Ending Season, ecco il perché del nome, se mai te lo fossi chiesto.
Ha anche a che fare con la filosofia con cui, fin da adolescente, imposto la mia vita, traendo motivazione dai valori e dalle dinamiche dello sport per perseguire i miei obiettivi e sogni, organizzare il mio lavoro e le mie aspirazioni.
Never Ending Season è nato come blog nel 2015 e lo porto avanti con regolarità dal 2019. Dal 2021 è affiancato da questa newsletter, Galis, che ha un nome diverso perché appunto ne cercavo uno "da newsletter", un po' sofisticato sì, ma che fosse facile da ricordare, leggere, scrivere, pronunciare. In tutto questo tempo ho costruito un piccolo ma affezionato pubblico e stabilito tanti contatti. Ora è il momento di sistematizzare e far crescere il progetto.
Non aspettarti rivoluzioni: voglio intraprendere una crescita decisa, ma graduale. Alcune cose saranno mantenute più o meno come le conosci già - Galis è una di queste - altre saranno potenziate o introdotte ex novo, altre ancora saranno eliminate perché sottraggono inutilmente tempo ed energie. Ma puoi star certo che una non cambierà mai, anzi cercherò sempre di migliorarla: la qualità. Non mi interessa inseguire numeri, follower e click, intendo solo continuare a costruire un audience interessata e consapevole.
La prima novità è dunque il lancio della campagna Se vivi di basket, con cui torno un po’ alla nascita di Never Ending Season, per ricominciare a raccontare la mission che ne è alla base: il basket come cultura e stile di vita, oltre ogni discorso tecnico. Che pur rimane rilevante, sia chiaro: le partite le guardo anche io, e non poche.
Quindi, ho riorganizzato e consolidato gli “asset” esistenti, cercando di capire come incrementarli. Oggi Never Ending Season è costituito da questi elementi:
Il blog: è dedicato alla lettura e all'approfondimento, oltre che a "fare massa" con i contenuti di archivio. Non è un sito di notizie, non ho la struttura per farlo: non c'è un calendario fisso di aggiornamenti e la funzione principale è fungere da “database” di articoli e informazioni.
La newsletter: be', la conosci già, ci stai dentro in questo momento! Serve a creare un filo diretto con te che leggi, oltre i limiti imposti dalle esigenze SEO del blog e dalle dinamiche dei social. Esce ogni ultimo giorno del mese, sempre gratis.
I social: la piattaforma principale è Instagram (Stories e Feed), a cui ho aggiunto Threads. Su quest'ultimo, visto che è un simil-Twitter, posto news più o meno quotidiane sui temi del progetto, mentre su Instagram nel corso di ottobre tornerà, potenziata, la rubrica settimanale Never Ending Week con una selezione delle migliori notizie dei giorni precedenti.
Nota di servizio: la pagina Facebook non c'è più, era diventata inutile. Ho attivato quella LinkedIn, dove terrò una linea diversa, più professionale e per addetti ai lavori. Al momento c'è poco o nulla: abbi pazienza, sono uno solo.
In sintesi: seguendo Never Ending Season ricevi informazioni sul basket come cultura e stile di vita con cadenza quotidiana/settimanale sui social, mensile sulla newsletter e in più in ogni momento puoi leggere tanti approfondimenti sul blog.
Per quanto riguarda le novità future, ne sto studiando diverse. La campagna Se vivi di basket sarà progressivamente accompagnata da una serie di contenuti incentrati sui “pilastri” del basket come lifestyle, ad esempio servizi specifici sulle icone del cinema, dei libri, della musica, della moda, dell’arte legate alla pallacanestro. Poi, sto mettendo a punto una rubrica semplice e leggera per le Instagram Stories. Continua a seguirmi e man mano le novità arriveranno!
Infine, e poi passiamo oltre, tengo a precisarti che non mi occuperò soltanto di creazione di contenuti. Anzi, la definizione di content creator la sento abbastanza lontana da me. Io sono un giornalista e un esperto di comunicazione, lavoro come libero professionista e comunque ho 42 anni. Insomma, né per età né per carattere, non sono il tipo da “balletti su TikTok” (no, al momento Never Ending Season su TikTok non è previsto). E non sono un graphic designer o un videomaker, né me lo posso permettere uno.
Faccio del mio meglio, what you see is what you get. Con questo voglio dirti che, oltre a ciò che vedi pubblicato qui, sul blog e sui social, e che saranno sempre robe di qualità, lavorerò molto dietro le quinte, cercherò di viaggiare e partecipare a eventi e farò networking per mettere su intorno a questo progetto un pubblico sempre più solido e partecipe. Intanto, grazie per esserci.
Goodbye Dr. McDuffie
Per cercare Arkabutla, Mississippi, devi muovere parecchio il mouse su Google Maps. È quella che da noi definiremmo una "frazioncina" di campagna, dove vivono sì e no trecento anime, appena a sud di Memphis. Secondo Wikipedia, gli unici fatti degni di nota accaduti qui sono una sparatoria del solito squilibrato, giusto l'anno scorso, che ne ha fatti fuori sei; e, nel remoto 1931, la nascita di James Earl Jones, lo straordinario attore e doppiatore, premio Oscar alla carriera, che se n'è andato il 9 settembre all’età di 93 anni. Allora:
Gli appassionati di cinema e basta lo ricordano come voce profonda di Darth Vader in Star Wars e di Mufasa ne Il re leone, così come per i suoi ruoli in Conan il barbaro, Il dottor Stranamore, Il principe cerca moglie, Caccia a Ottobre Rosso, Giochi di potere e tanti altri. E a teatro è stato anche una star di Broadway.
Gli appassionati di cinema e sport lo ricordano nella parte di Terence Mann ne L'uomo dei sogni - meglio Field of Dreams, il titolo in lingua originale - un ex acclamato scrittore ritiratosi a vita privata, solitario e schivo, che il protagonista Ray Kinsella, Kevin Costner of course, in nome del baseball convince a mettere di nuovo il naso fuori.
Gli appassionati di cinema, sport e basket non si sono fatti sfuggire la sua presenza in un film spesso passato inosservato: Rebound (e anche qui, come al solito, meglio il titolo originale che la versione italiana Più in alto di tutti).
Diretto da Eriq La Salle (il dottor Peter Benton della serie E.R.), Rebound è un film prodotto da HBO nel 1996 e il fatto di essere uscito solo per la tv - trent'anni fa non avevamo esattamente le piattaforme streaming - lo ha reso noto soprattutto negli USA. Non è nemmeno considerato un capolavoro, ma l'ho sempre trovato struggente per la storia di ascesa e caduta che narra, tanto che ha un posto fisso tra i miei film di basket preferiti. E l’ho pure recensito qui.
La storia è quella di Earl "Goat" Manigault, il leggendario giocatore dei playground di New York dalla travagliata e inesorabile esistenza. Una vicenda che però, anche nei momenti più bui, lascia trasparire un barlume di speranza, accompagnata dalle note di There’s a place in the sun di Stevie Wonder. Rebound vuol dire rimbalzo, ma ha anche un senso più profondo: recupero, ripresa, riscatto, ritorno alla serenità. Una costante che attraversa la vita del giovane afroamericano di Harlem, diventato un simbolo del talento associato alla perdizione.
Nel film, James Earl Jones interpreta un personaggio secondario, ma ben presente: il Dr. McDuffie, preside del liceo privato dove Holcombe Rucker (attore Forest Whitaker), il custode del campetto che avrebbe preso il suo nome e che organizzava tornei per togliere i ragazzi dalla strada, invia il problematico Manigault (Don Cheadle) per tentare di non farlo finire ancora nei guai per non bruciare il suo pazzesco talento che lo aveva reso una leggenda in scuole e campetti della Grande Mela. Ah, c’è anche un cameo di Kevin Garnett nella parte di Wilt Chamberlain.
Fun fact: questo è uno dei due film di basket con Don Cheadle nel cast, l’altro è Space Jam. A New Legacy con LeBron James, venticinque anni dopo (qui nel titolo dell’edizione italiana hanno addirittura usato l’inglese, riuscendo ugualmente a fare peggio: Space Jam. New Legends).
Earl Manigault era nato nel profondo sud degli Stati Uniti, in South Carolina, ultimo di nove figli in una famiglia indigente ed era stato abbandonato dai genitori, venendo poi adottato da una donna sola di New York, Mary Manigault. Earl cresce per strada, nella durissima realtà di Harlem degli anni Sessanta e Settanta, trovando rifugio nel basket ma finendo nella trappola della tossicodipendenza. “Goat” non seppe mai capitalizzare nel modo giusto il suo grande dono, mostrando una pericolosa tendenza a smarrirsi e un’innata insofferenza al rispetto delle regole.
Anche James Earl Jones era venuto al mondo nel Deep South, in Mississippi, ed era stato in qualche modo abbandonato dai genitori. Ma, a differenza di Manigault, riuscì a mettere a frutto le sue potenzialità. Nel percorso dell’attore è racchiuso davvero un pezzo di storia americana. Quando aveva cinque anni, sua madre, lasciata dal marito poco dopo la nascita del figlio, rinunciò a lui affidandolo ai nonni che avevano una fattoria nel Michigan. Si erano trasferiti lì durante la Great Migration, il grande esodo, che durò all'incirca dal 1910 al 1970, in cui milioni di afroamericani raggiunsero gli stati del nord, più ricchi, industrializzati e tolleranti, per sfuggire alla povertà e alla segregazione razziale del sud.
Ma per il piccolo James il passaggio fu traumatico: si chiuse in se stesso, iniziando a balbettare di brutto, tanto che a scuola non riusciva a parlare con nessuno. Ad aiutarlo fu il suo insegnante di inglese, che aveva intuito la profondità d'animo del bambino, capace di scrivere poesie in precoce età. E così il professore lo sfidò a superare i suoi limiti, facendogliele leggere a voce alta di fronte ai compagni di classe. Funzionò: James si innamorò così tanto della sua abilità di parola da dedicare tutto se stesso alla recitazione, prima in corsi scolastici e poi in compagnie teatrali.
Dopo una lunga gavetta, la celebrità arrivò a quasi quarant’anni, nel 1970, con il successo di The Great White Hope di Howard Sackler, spettacolo incentrato sulle lotte del pugile Jack Johnson, il primo campione dei pesi massimi di colore, nel razzismo degli Stati Uniti di inizio Novecento. Due anni più tardi, Jones interpretò lo stesso ruolo nella versione cinematografica, ricevendo una nomination all'Oscar come miglior attore. E il resto, come si suol dire, è storia.
Ciao “Terence Mann”, magari un giorno ci dirai cosa c'è oltre le pannocchie...
Genova?
Genova è una di quelle grandi città italiane che, nonostante l'ampiezza del bacino d'utenza e la disponibilità di impianti particolarmente capienti, sono lontanissime dal basket di alto livello. E se talvolta sono riuscite ad arrivare ai piani alti, lo hanno fatto per un breve periodo e spesso in epoche "preistoriche". Medesimo discorso, restando tra i comuni più popolosi, per Bari, Catania, Palermo, Firenze, Messina, Padova. Tra l'altro, nelle stesse Roma, Napoli, Torino, Verona non è che la pallacanestro "che conta" abbia sempre prosperato, anzi. Insomma, al di fuori di Milano o Bologna, o al massimo Venezia e Trieste, spesso le grandi città non sono presenti con continuità nella palla a spicchi.
Non è questa la sede per una discussione sulla vera o presunta assenza del basket di vertice nelle maggiori aree urbane del paese, ma mi è venuto in mente tale aspetto perché il capoluogo della Liguria, nell'ultimo fine settimana di settembre, ha ospitato l'Opening Day della Serie A1 femminile, pur non annoverando squadre ai livelli top. Per quanto sia una lega abbastanza disastrata (in questa stagione è rimasta con sole 11 squadre, dalle 14 che erano), l'evento di inizio stagione, che riunisce in un'unica sede tutte le partite della prima giornata, è pur sempre un happening che va avanti con discreto successo fin dal 2003.
Non solo: sempre Genova, il 7 novembre, accoglierà la partita della Nazionale femminile contro la Repubblica Ceca, valida per le qualificazioni agli Europei 2025. Genova, addirittura, può tenere questi due eventi in due diversi palasport: l'Opening Day si è svolto allo RDS Stadium, struttura polivalente da 5500 posti nella zona di Sampierdarena edificata ventuno anni fa e finora utilizzata soprattutto per concerti e spettacoli; Italia-Repubblica Ceca si disputerà nel palazzetto dell'ex Fiera, impianto da 5000 posti costruito nel 1962 e appena ristrutturato nell'ambito della riqualificazione urbanistica del Waterfront di Levante coordinata da Renzo Piano.
In definitiva, quindi, Genova ha due arene potenzialmente buone per la Serie A. Se non fosse che non è che possa esattamente definirsi città di basket. Al momento la principale portacolori è l’ex Pallacanestro Sestri, giovane club arrivato in B interregionale, che da quest’anno ha preso il nome di Seagulls Genova. E dire che la pallacanestro di livello a Genova secondo me ci starebbe benissimo, in una città da sempre aperta agli scambi, in virtù della sua secolare potenza marittima, e animata da una mentalità borghese, industriale e mercantile che si sposerebbe a meraviglia con l'ambiente del basket. Almeno da fuori la vedo così, non sono del posto.
In campo maschile il club più blasonato è stato l'Athletic Genova, società giallo-verde fondata nel 1968 in un oratorio e che nel 1976 riuscì ad arrivare in A1, dove rimase un solo anno, per poi chiudere i battenti. L'Athletic, dove si distinse il brasiliano Marquinhos, giocava proprio alla Fiera e negli anni migliori era sponsorizzato Emerson, marchio di elettronica toscano non più esistente. Andando indietro nella notte dei tempi, emergono senza particolari fortune un GUF Genova in massima divisione nel solo 1935 (senza neppure una vittoria) e nel dopoguerra l'Ansaldo-SIAC e il Genoa, espressione del ben più celebre sodalizio calcistico.
Tra le donne, gli almanacchi riferiscono di una Giordana Genova ai massimi livelli dal 1938 al 1943, anche con una controparte maschile, e l'Ardita Juventus, presente tra il 1948 e il 1950 e tuttora attiva nel sobborgo di Nervi. Tra l'altro si fregia di essere la "terza società più antica d'Italia", anno di fondazione 1906.
In tempi decisamente più recenti, c'è stato un altro piccolo momento di notorietà cestistica per Genova: il 13 dicembre 2003 sul parquet del Mazda Palace (oggi RDS Stadium, quello dell'Opening Day dei giorni scorsi), appena inaugurato, andò in scena l'All-Star Game italiano, con vittoria in overtime 106-99 della selezione degli stranieri del campionato sulla Nazionale di coach Carlo Recalcati, fresca di uno storico bronzo europeo. MVP Maurice Evans della Benetton Treviso, poi visto a lungo in NBA. Per gli azzurri migliore in campo il "filosofo" Michele Mian.
Se te lo stessi chiedendo, l’All-Star Game in Italia è esistito dal 1982 al 2016 e sicuramente si giocava meglio di quello dell’NBA di oggi.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Qui ho selezionato i 10 playground più iconici del mondo.
Si è ritirato Kyle Hines: una carriera da professionista tutta europea partita da Veroli, in Ciociaria, dove arrivò appena uscito dal college di UNC Greensboro. Lo ricorda Bernardo Cianfrocca su Il Foglio.
Ritiro anche per Adrian Wojnarowski, che lascia il giornalismo e va a fare il GM nella sua università, St. Bonaventure, stato di New York. Dario Vismara su L'Ultimo Uomo spiega come ha cambiato il modo di seguire la NBA.
Chi è davvero Kyrie Irving? Prova a raccontarlo, oltre ogni stereotipo, Michele Pettene su Esquire: leggi l’articolo qui.
Riccardo Pratesi su La Gazzetta dello Sport fa il punto sull'espansione NBA: sembra proprio che sarà a Seattle e Las Vegas.
Sullo stesso tema, tutte le FAQ possibili: rispondono le firme di ESPN. (in inglese)
Sempre su L’Ultimo Uomo, ecco l'intervista di Giorgia Bernardini a Cecilia Zandalasini, tra carriera e cose che non vanno nel basket femminile italiano.
Lo spettacolo dei 42.000 spettatori allo stadio Panathinaiko di Atene per il torneo Giannakopoulos, negli scatti di Kevin Couliau per Overseas Magazine.
Awudu Abass si è trasferito dalla Virtus Bologna al nuovo club di Dubai: qui fa un vlog sull'inizio dell'avventura araba.
Restando negli Emirati: da quelle parti si compreranno tutto il basket, come stanno provando a fare con il calcio? Questo è lo scenario, secondo Roberto Gennari su The SportLight.
Claudio Limardi ripercorre il connubio tra Milano e Trieste, da Rubini a Tonut: così sul sito ufficiale dell'Olimpia.
Leggi qui l’intervista a tutto tondo a Pippo Ricci di Cesare Milanti per il sito FIP.
Lorenzo Pinciroli dei DaMove si racconta a Mirko Sirtori su 24Grind Podcast: ascolta l’episodio.
La capsule collection di Erreà per la preseason di Cremona, Derthona, Treviso, Venezia e Varese: guardala qui.
Il Latina Basket ha annunciato il progetto del nuovo centro sportivo.
Jvan Sica su Letteratura Sportiva ha intervistato Marco Gaetani, autore del libro Argento vivo sull'Italia argento olimpico ad Atene 2004.
Su Il Post la storia dei 70 anni di Sports Illustrated, tra cover iconiche (molte di basket) e recenti crisi.
Il 24 ottobre esce lo straordinario volume Courtside. 40 years of NBA photography di Nathaniel S. Butler, uno dei più importanti fotografi NBA. Pre-ordinalo qui.
Basket & intrattenimento: le Washington Mystics in WNBA si sono inventate l'evento Brunch & Basketball. E sta avendo un gran successo. Così Martenzie Johnson su Andscape. (in inglese)
Il trailer ufficiale di Starting 5, la serie Netflix che racconta la vita dentro e fuori dal campo di Jimmy Butler, Anthony Edwards, LeBron James, Domantas Sabonis e Jayson Tatum (dal 9 ottobre).
Come e dove investono le star NBA? Ecco un riassunto di Matteo Bettoni su Dunkest
La differenza tra Evolution ed EVO NXT, due tra i palloni Wilson più diffusi, spiegata dall'azienda stessa. (in inglese)
Compie 30 anni il documentario Hoop Dreams: su SLAM Ben Osborne dice perché ancora oggi non ha perso la sua potenza. (in inglese)
Il NIL è qualcosa di rivoluzionario nello sport universitario americano e non solo. A che punto è? Ne scrive Manuel Follis di BasketballNcaa.com.
Dove e come vedere la NBA 2024-25? Trovi tutto nella guida di Michele Gibin di NBA Passion.
E gran finale con la playlist Spotify di Never Ending Season!
Un attimo, prima di andare
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