Sempre diritti
#32 – Basket, cultura, lifestyle: qui trovi storie di pallacanestro, uguaglianza e libertà, Afternoon e lo Shootaround
Ciao, in questa estate Twitter è diventato X, Mancini allena ora l’Arabia Saudita, Bianca Berlinguer è passata a Rete 4 e Andrea Bargnani si fa vedere in pubblico: tutto è possibile.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 32 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti racconto il basket come cultura e stile di vita.
La scorsa uscita – eccola, se ti fosse sfuggita – era il numero agostano, con una serie di “pillole” da leggere in vacanza su varie cose di pallacanestro e lifestyle, tra cui i college in tour in Italia e altre notizie carine.
Oggi, nella storia principale, ti offro una serie di spunti su un tema delicato, senza alcuna pretesa di essere esaustivo: il rapporto tra basket, uguaglianza e diritti.
Prima di cominciare, però, voglio ringraziare tutti i nuovi iscritti a Galis, e quindi anche te, se sei tra questi. Siete davvero tanti ed è emozionante veder crescere la mia piccola newsletter!
Basket, politica e società
Fin da tempi lontani la pallacanestro ha saputo essere inclusiva e abbattere barriere etniche e culturali. Soprattutto in America, già dagli anni Cinquanta e Sessanta, ha rivestito un ruolo fondamentale per l'uguaglianza dei diritti e il contrasto al razzismo. Questo grazie soprattutto a una forte componente afroamericana, tanto che personaggi come Bill Russell e Kareem Abdul-Jabbar sono veri e propri totem in materia. In seguito, l'ascesa di Michael Jordan a icona globale ha ulteriormente contribuito, mentre al contempo in Europa l'arrivo di un numero sempre maggiore di giocatori di colore ha favorito l'affermarsi del basket come sport in cui ogni persona è davvero accettata.
L'integrazione via via sempre più diffusa e, nella percezione comune, la natura in sostanza easy e pop del basket ha fatto tuttavia passare in secondo piano certe spinose questioni, tuttora esistenti, privilegiandone l'aspetto sportivo, spettacolare e “leggero”, quando in realtà nel suo passato così come nel presente (e anche in futuro) questo sport ha a che fare con vicende e situazioni profondamente legate a diritti, libertà, uguaglianza. La stessa NBA si pone come una delle leghe più votate al rispetto e all'inclusione di ogni minoranza, pur prestando il fianco in maniera eccessiva ai rischi del politically correct e della cancel culture.
Quello che voglio sottolineare è che il basket non è soltanto highlights, ma è radicato nei vari contesti socio-politici: qui di seguito ti propongo e sintetizzo cinque significative storie degli ultimi anni. Tieni ben presente che quanto stai per leggere va preso come spunto per necessari approfondimenti, perché si tratta di temi piuttosto complessi. Il materiale online, e non solo, è sconfinato. Sia chiaro, infine, che qui respingo ogni presa di posizione strumentale o “populista” su tali argomenti, che andrebbe contro lo spirito di questa newsletter, dello sport e – soprattutto – mio.
Enes Kanter, il “terrorista”
Enes Kanter – che dal 2021, dopo essere diventato cittadino statunitense, si chiama ufficialmente Enes Kanter Freedom – ha giocato la sua ultima partita l'8 febbraio 2022, a Brooklyn con i Boston Celtics. Pochi giorni dopo, viene scambiato agli Houston Rockets, che lo tagliano. Da allora – oggi ha 31 anni – non ha più avuto un contratto. Come Colin Kaepernick, il giocatore di football che “osò” inginocchiarsi durante l'inno nazionale in segno di protesta contro il razzismo sistemico e le violenze della polizia. La storia di Kanter, seppur dal medesimo epilogo, è però molto diversa.
Il giocatore turco è ricercato dal governo della sua madrepatria in quanto considerato terrorista: su di lui pende una taglia di 500.000 dollari. Motivo? Kanter è oppositore dichiarato del presidente Erdogan e sostenitore di Gülen, l'anziano leader politico rifugiato negli USA e promotore, con il suo influente e chiacchierato movimento Hizmet, di un islam ritenuto più moderato e tollerante. La situazione del cestista si è fatta difficile soprattutto dopo il fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016. Un'azione, probabilmente ordita dai gulenisti, in occasione della quale l'atleta si è espresso contro la repressione di Erdogan, come del resto già faceva da anni. Da quel giorno il governo turco si è scagliato contro di lui e la sua famiglia, costretta praticamente a ripudiare Enes, a cui è stato revocato il passaporto.
Oggi lui si ritiene al sicuro solo negli Stati Uniti. Può viaggiare all'estero, ma rimane pochissimo in questo o quel paese, dato che è già sfuggito a tentativi di rapimento. Quest'anno ha fatto visita ben due volte in Italia, a Roma e a Pordenone. Da quando non gioca, ha moltiplicato i suoi camp per ragazzi e i suoi interventi pubblici, prendendo posizioni nette – e anche piuttosto candide, a dire il vero – contro ogni forma di limitazione della libertà individuale, non solo riguardo alle vicende turche ma ad esempio contro la Cina, accusata di reprimere le minoranze uiguri e tibetana. Insomma, Enes Kanter Freedom si sta ponendo come paladino globale dei diritti e si inizia persino a vociferare su un suo impegno in politica negli States.
Per saperne di più, ti consiglio questo articolo di Michele Pettene su L'Ultimo Uomo che narra tutta la storia fino al 2019, questa intervista di Luca Bocci su Il Giornale, un articolo de Il Post e le parole di Enes affidate a The Players' Tribune.
Nessuno tocchi Pechino
Il 1° luglio 1997 Hong Kong passò da colonia britannica a regione amministrativa speciale della Cina. Non certo un passo avanti in fatto di democrazia: infatti gli ultimi anni sono stati caratterizzati da proteste e rivolte dei suoi cittadini per chiedere maggior libertà e autonomia, e da conseguenti arresti e incarcerazioni. Durante uno dei momenti più tumultuosi, a ottobre 2019, Daryl Morey, allora general manager degli Houston Rockets e uno dei dirigenti meglio noti della NBA – è considerato colui che vi ha introdotto l'approccio statistico-analitico, che nel baseball è chiamato Moneyball e nel basket... Moreyball – è colto da quello strano impeto che ci spinge a voler dire la nostra sui social su qualsiasi argomento, mossi da entusiasmo o indignazione, senza curarci se sia opportuno o meno né domandarci se ne sappiamo davvero abbastanza. Morey posta un tweet a favore delle proteste di Hong Kong, e quindi indirettamente offensivo per il governo cinese, che con la NBA intrattiene enormi interessi economici.
Piaccia o meno, la NBA, per quanto seguita, imitata e idolatrata in tutto il pianeta, resta un business multimiliardario. Piaccia o meno, la Cina è un regime autoritario che non rispetta diritti umani e diversità, quelli che invece la NBA dice di difendere a spada tratta: con l'episodio di Morey, la contraddizione deflagra, smascherando un progressismo che a quanto pare sarebbe solo di facciata. In nome del “dio denaro”, la lega, i Rockets e persino LeBron James, che in patria è un super attivista per i diritti degli afroamericani ma è legato a Nike e Nike fa grossi affari con Pechino, prendono le distanze da quel tweet di sostegno a chi protestava per avere più libertà. Morey è costretto più o meno a scusarsi, ma l'incidente diplomatico raffredda a lungo i rapporti tra NBA e Cina, ripresi da poco, tra l’altro dopo l’impasse della pandemia.
Insomma, se ci sono soldi di mezzo, guai a criticare la Cina, nonostante sia un paese che nega diritti fondamentali ai suoi cittadini. La vicenda non è rimasta circoscritta al basket, ma è diventata esemplificativa della situazione geopolitica ed economica attuale: di essa hanno parlato anche Francesco Costa e Giada Messetti nel format CinAmerica andato in onda su Rai 3 e disponibile su RaiPlay (te lo consiglio, se ti interessa il tema).
Scambio di prigionieri
Hai mai visto il film Il ponte delle spie di Steven Spielberg, con Tom Hanks, ambientato all'epoca della guerra fredda e del Muro di Berlino? È costruito intorno alla pratica dello scambio di prigionieri, compromesso spesso utilizzato da stati in guerra o in aperto contrasto, con il fine di proteggere informazioni riservate o gestire il consenso interno. Il ponte delle spie fa riferimento al ponte Glienicke di Berlino, luogo dove nel periodo dei blocchi contrapposti – occidentale filoamericano e orientale filosovietico – avvennero diversi scambi di prigionieri.
Ebbene, nel 2022 è avvenuto – non a Berlino ma all’aeroporto di Abu Dhabi – uno di questi scambi tra i due storici rivali, Stati Uniti e Russia, che ha coinvolto una famosa giocatrice WNBA: Brittney Griner. Una vicenda con forti ripercussioni sull'opinione pubblica, di ogni tipo, visto anche il passato dell'atleta, dichiaratamente omosessuale e attivista piuttosto radicale che sostenne, in seguito alla morte di George Floyd, la proposta di non suonare più l'inno nazionale statunitense prima delle partite.
A febbraio 2022 Griner è stata arrestata all'aeroporto di Mosca (la WNBA è attiva d’estate e lei nella stagione invernale giocava a Ekaterinburg) per detenzione e contrabbando di sostanze stupefacenti, in quanto nel suo bagaglio, durante una perquisizione, erano state trovate delle cartucce per vaporizzatore contenenti olio di hashish, prescritto a scopi medici in Arizona ma vietato in Russia. Processata e condannata a nove anni di carcere e lavori forzati, Griner si è ritrovata al centro di una fase di altissima tensione tra USA e Russia, anche a causa della guerra in Ucraina. Lo scambio di prigionieri, effettuato a dicembre, è sembrato inoltre sbilanciato a favore di Mosca, che ha ottenuto come contropartita Viktor Bout, un potente e pericoloso trafficante di armi da anni detenuto in America.
Black Lives Matter
Il 13 luglio sono trascorsi dieci anni dalla fondazione di Black Lives Matter, il movimento attivista contro le discriminazioni razziali e le brutalità della polizia ai danni della comunità afroamericana, sviluppatosi al suo interno, in particolare in seguito alle morti di Treyvon Martin, Eric Garner, Michael Brown e, nel 2020, di Breonna Taylor e George Floyd. Black Lives Matter – letteralmente “Le vite (delle persone) nere contano” – non avrebbe forse mai avuto una simile cassa di risonanza, diventando una rete internazionale per il contrasto a ogni discriminazione, senza l'appoggio pubblico dei più importanti giocatori NBA, da LeBron James in giù.
Ricordi la maglia nera, indossata durante il riscaldamento, con scritto in carattere Comic Sans I can't breathe, le ultime parole pronunciate da Eric Garner bloccato a terra dagli agenti? O le prese di posizione di allenatori bianchi come Gregg Popovich e Steve Kerr? Negli ultimi anni molti personaggi NBA hanno fatto sentire la propria voce per produrre un cambiamento, diversi di loro impegnandosi in prima persona a favore delle persone discriminate. Ma è in seguito alla morte di George Floyd, il 25 maggio 2020, in piena pandemia e durante la campagna elettorale che porterà all'elezione di Joe Biden e alla sconfitta di Donald Trump (inviso alle minoranze e persino boicottato nella tradizionale visita alla Casa Bianca della squadra campione in carica), che il BLM conosce una straordinaria ribalta mondiale, ulteriormente accresciuta, dopo la successiva morte di Jacob Blake in Wisconsin, dalle proteste arrivate dalla “bolla” di Orlando, dove la NBA riesce a finire la stagione interrotta dal Covid.
Al netto delle ipocrisie che purtroppo accompagnano una lega amatissima ma ampiamente votata al business, il progresso più importante concretizzatosi è stato forse l'aumento della base elettorale e dell'esercizio del diritto di voto, con l’introduzione di un Election Day (primo martedì di novembre) senza partite e l'attivismo della stessa NBA e di associazioni come More Than A Vote che hanno portato alle urne, alle ultime presidenziali, un numero più alto di afroamericani, di solito tagliati fuori anche da ostacoli di carattere amministrativo e burocratico.
Un Tam Tam dal Sud Italia
Non ci sono solo gli Stati Uniti e la geopolitica mondiale nel rapporto tra basket e diritti. Storie interessanti emergono in tutto il pianeta, e ovviamente anche in Italia. Una di queste è rappresentata dalla vicenda e dalla crescente popolarità del Tam Tam Basketball, la società fondata dall'ex giocatore e allenatore Massimo Antonelli e composta da figli di immigrati prevalentemente africani, in una città problematica come Castel Volturno, in provincia di Caserta, dove oltre metà della popolazione è di origine straniera e con seri problemi di inserimento tra povertà, disagio sociale e criminalità organizzata.
Raccontata anche da un documentario di Al Jazeera diretto da Mohamed Kenawi, Tam Tam ha portato avanti e conduce tuttora una battaglia per veder riconosciuto a questi ragazzi – nati, cresciuti e scolarizzati in Italia, ma che in quanto figli di genitori stranieri possono acquisire la cittadinanza solo a 18 anni – il diritto di praticare sport agonistico come tutti i loro coetanei, spesso ostacolato da norme che limitano il numero di stranieri nei campionati giovanili federali. Senza dimenticare chi, per un motivo o per l'altro, è privo di permesso di soggiorno.
Il club è nato nel 2016 e ha permesso a centinaia di adolescenti di condurre una vita sana (sono attivi anche programmi di assistenza scolastica e psicologica individuale e di gruppo). Tra i principali successi, la realizzazione di un impianto coperto, prestigiose collaborazioni e partecipazioni in tutta Italia e all’estero e soprattutto la legge del 2017 in base a cui, nei campionati regionali, 800.000 ragazzi figli di immigrati possono essere tesserati senza limitazioni. E la successiva deroga nel 2021 per partecipare ai campionati giovanili Eccellenza (nazionali), per la quale è servita un’altra intensa lotta. Traguardi raggiunti grazie alla perseveranza di Antonelli e del Tam Tam per dare un'opportunità a questi giovani in una realtà difficile come Castel Volturno.
Afternoon: il successo
Questo è Afternoon, cominciamo.
Come presenteresti in poche righe Afternoon a un pubblico non avvezzo alla palla a spicchi? Io così: «Il capitano della Nazionale italiana di basket prossimo al ritiro, Luigi Datome, e il suo immediato successore, Nicolò Melli, hanno condotto un podcast semiserio di grande successo. In esso hanno raccontato la vita quotidiana degli Azzurri durante la preparazione per i Mondiali in corso in Asia, parlando un po' di tutto e ospitando in ogni puntata i compagni di squadra. Il nome, Afternoon, è ispirato a Morning, il noto podcast di attualità di Francesco Costa de Il Post, quotidiano online stimato per la qualità e l'affidabilità della sua informazione».
Bene, questo mio esercizio giornalistico non richiesto lascia il tempo che trova, ma ciò non toglie un dato di fatto: Afternoon, in grado di bilanciare massicce dosi di ironia con un'immancabile serietà di fondo ben confacente sia ai due host sia all'importanza dell'impegno agonistico che l'Italia sta affrontando, è un'operazione riuscita, che vuole raccontare il dietro le quinte della Nazionale e avvicinare al basket un pubblico sempre più vasto, in maniera scanzonata ma non troppo. Nelle classifiche di ascolto dei podcast italiani, è in compagnia di produzioni di enorme popolarità quali Geopop, Morgana, Alessandro Barbero, Indagini, La Zanzara. Un risultato sorprendente, se si tiene conto che il tempo disponibile è scarso, l'improvvisazione tanta (c’è solo un po’ di supporto del social media team della FIP) e il rischio notevole, perché in caso di flop in campo qualcuno dirà di sicuro che “pensavano più al podcast che ad allenarsi”...
Afternoon è quindi un podcast ben realizzato, con tutte quelle consuetudini che rendono il genere tra i più apprezzati modelli di comunicazione di oggi: le rubriche fisse come i quiz e le “Gigionate”, nonché i tormentoni ricorrenti: «Meglio le Macine o gli Abbracci?», Datome che pubblicizza il suo libro e il ringraziamento ai fantomatici “tendifici sponsor”, dato che da Folgaria a Manila la scenografia è sempre la tenda di una camera di hotel… L'affiatamento tra Gigi & Nik, entrambi fan di Morning e lettori de Il Post, e la loro naturalezza al microfono sono clamorosi, considerando che non abbiamo a che fare con dei professionisti dell’informazione.
Tuttavia la grande cultura e la bella mente di Datome e la dimestichezza di Melli con i podcast, che ne aveva già prodotto uno nella sua breve esperienza in NBA, non le scopriamo certo ora. Nicolò è il “serio” che tiene le redini e abbozza la scaletta di ogni puntata, Gigi il “fantasioso” che aggiunge colore e interventi brillanti. E attualmente il pubblico sembra gradire, più che i contenuti di bassa qualità generati da utenti qualsiasi, quelli tecnicamente ben curati che ci mostrano invece personaggi già noti in una veste meno usuale e senza eccessivi filtri.
Tra le 14 puntate spicca quella con un ospite a sorpresa: Andrea Bargnani, il “Mago”. Ormai lontano dal basket, appare un uomo felice e in pace con il mondo, e si sta facendo rivedere sia in pubblico che sui social. Se vuoi guardarla, eccola. Ma non posso fare a meno di spoilerarti una perla: alla domanda «Perché non hai mai detto a nessuno che smettevi di giocare?», ha risposto esattamente così:
Non ho mai detto che iniziavo!
E niente, alla fine l’ha vinta il Mago.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Visto che questa newsletter si chiama Galis, una notizia d’obbligo: la Grecia ha ritirato il numero 4 della Nazionale in onore, appunto, di Nikos Galis. Foto e video della cerimonia qui su Eurohoops.
Poi, a proposito di Datome: lo ha intervistato Marino Petrelli de Il Messaggero su basket, libri, podcast, mercato, Roma e... futura presidenza FIP.
L’ex azzurro Gianluca Basile, invece, oggi coltiva olive e arance a Capo d'Orlando, in Sicilia, dove si occupa anche di cani e padel: guardalo nel servizio di Massimiliano Di Dio di Studio Aperto.
In occasione dei Mondiali, Davide Barco ha realizzato alcune illustrazioni per i social FIBA. Eccole nel suo post su LinkedIn.
Sempre alla FIBA World Cup, a Manila 40.000 tifosi cantano It’s my life dei Bon Jovi durante un time out: qui il video di Overtime.
Questo è The Courtyard, il nuovo playground nell’area della capitale filippina realizzato con il supporto di Nike.
Marc J. Spears, uno dei maggiori giornalisti USA di basket, ha ricevuto il Curt Gowdy Media Award assegnato dalla Hall of Fame. Martenzie Johnson su Andscape fa un ritratto del collega, con un contributo, tra gli altri, di CJ McCollum. (in inglese)
L'Arabia Saudita vuole prendersi anche il basket? Prova a rispondere Andrea Lamperti su Around The Game.
Alec Cordolcini su Il Fatto Quotidiano ci porta in Rwanda, nuova frontiera dello sportswashing che coinvolge anche il basket: qui l’articolo.
Il 21 dicembre sarà il World Basketball Day, la Giornata Mondiale della Pallacanestro, riconosciuta dall’ONU: ci spiega tutto Michele Pettene su Sky Sport.
Andre Gee di Rolling Stone ha intervistato Shaquille O'Neal per parlare di musica e dj: qui la traduzione.
Branden Peters di SLAM ha selezionato le 10 più iconiche citazioni di basket nei brani rap, in occasione dei 50 anni della nascita dell'hip hop. Scoprile qui. (in inglese)
La docuserie Scugnizzi per sempre sull'epopea della Juvecaserta è andata in onda in prima serata su Rai 2. Qui su RaiPlay puoi rivedere i sei episodi.
E sembra che ci sia un futuro per il PalaMaggiò: così Biagio Salvati su Il Mattino.
Il 28 agosto è iniziata su Sky Atlantic la seconda stagione di Winning Time, la serie sulla dinastia dei Lakers anni Ottanta. Ne parla Davide Chinellato su La Gazzetta dello Sport.
Il più antico campo di basket esistente al mondo, il 14Trévise di Parigi risalente al 1893, sarà restaurato per i Giochi 2024 e aperto ai visitatori. Lo riferisce Peter Robert Casey su SLAM. (in inglese)
Il 16 settembre ci sarà Luka 2 Bled, torneo 3x3 nella spettacolare cornice del lago di Bled, in Slovenia. Organizzano Doncic e Jordan Brand, per promuovere sia il turismo che la sua nuova scarpa. Il campo? Galleggiante!
Davide Torelli, autore e podcaster, ha scritto queste bellissime cose sul campetto. Da leggere qui.
E questo, per salutarti con una tripla, sono io al playground!
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 32 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter. Mi raccomando, spargi la voce!
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È tutto, ci vediamo il 30 settembre. Ciao!