Bibliobasket
#28 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi libri di pallacanestro, cosa penso del film Air e il making of di Galis
Ciao, è vero che pochi anni fa ho scritto un libro di basket, ma in realtà più che scriverli, li leggo e li recensisco.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 28 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di pallacanestro come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – se l'hai saltata, recuperala qui – ho scritto delle scarpe Jordan in occasione dell'arrivo in sala del film Air (più avanti ti racconto come mi è sembrato), dei dieci anni dell'Harlem Shake (caspita come passa il tempo) e del progetto One Team all'Olimpia Milano.
Oggi ti accompagno nella mia libreria personale, selezionando i titoli a tema cestistico che per me, nel corso degli anni, sono stati più significativi e impattanti.
Prima di iniziare, do il benvenuto a tutti i nuovi iscritti, e quindi anche a te, se sei tra questi. Grazie infinite, inoltre, a chi ha scelto di fare una libera donazione a Galis, perché questa è un'attività completamente amatoriale e quindi fa molto piacere.
Allora, oggi si legge: entriamo in biblioteca!
Libri e canestri
L'editoria sportiva in Italia è finalmente cresciuta e in essa il basket gioca un ruolo importante, ma venti-venticinque anni fa la situazione era differente.
Per me, tutto è cominciato da Basket & Zen di Phil Jackson, titolo originale Sacred Hoops. È stato questo il primo libro di sport che abbia mai letto. Il coach che guidò i Chicago Bulls di Michael Jordan a vincere sei titoli NBA racconta il suo percorso e la particolare filosofia con cui costruì quella leggendaria squadra. Uscì in Italia nel 1998 per Libreria dello Sport e La Gazzetta dello Sport Magazine (il precursore di Sportweek), di cui ero fedele lettore, pubblicò in esclusiva il primo capitolo.
Io avevo sedici anni, la cosa mi affascinò e decisi che volevo leggere quel volume. Solo che non mi trovavo esattamente nell'epoca di Amazon e riuscii a reperirlo parecchio tempo dopo a Roma, nel punto vendita fisico della Libreria dello Sport in Piazza Bologna, che non c'è più da anni. Un'edizione dozzinale, su carta comune, che sembra uscita direttamente da Word, ma che per me ha un grande valore.
Infatti, in quegli anni mi stavo appassionando a concetti quali il ciclo vincente e la dinastia sportiva. Mi interessava apprendere, scoprire, analizzare come si costruivano le stagioni, i successi, le realtà destinate a lasciare un segno. E quindi quel libro fu importante per sviluppare la mentalità con cui affronto tuttora la mia vita. Avrei poi approfondito la figura di Phil Jackson con i successivi Più di un gioco (2003, ristampato da Baldini+Castoldi nel 2020) e il definitivo Eleven Rings (Libreria dello Sport, 2013).
Un posto speciale nella mia biblioteca “a spicchi" lo riservo a quei giornalisti e autori italiani che hanno raccontato il basket americano in prima linea, avendo trascorso oltreoceano periodi più o meno lunghi.
Come Claudio Limardi, da oltre dieci anni responsabile della comunicazione dell'Olimpia Milano, ma che in precedenza ha scritto di NBA per American Superbasket, di cui è stato direttore. Con il suo stile chiaro ed equilibrato, era la mia firma preferita, seguito a ruota da Roberto Gotta, che scriveva più di “colore”. Di Limardi sono da leggere NBA Ten Finals: gli anni '90 (Libri di Sport, 1999), per avere un quadro completo su un decennio che nonostante tutto non si esaurisce con Jordan, e New York. Basketball Stories (Libri di Sport, 2004), grande formato, pieno di storie e foto su personaggi e luoghi della Grande Mela.
Di quel periodo voglio citare anche Sulle strade del basketball (Alba Libri, 2006) di Aldo Oberto in cui l'autore, scomparso alcuni anni fa, racconta in maniera semplice e appassionata i suoi numerosi viaggi negli States in qualità di allenatore e accompagnatore di ragazzi a camp estivi presso i college, con tanto di incontri con celebri coach, tra cui Gregg Popovich. A lungo firma di Superbasket, Oberto era conosciuto per i suoi pezzi dedicati all’aspetto tecnico-tattico: del suo libro avevo parlato qui. Credo sia introvabile, ormai.
Per quanto riguarda gli ultimi anni, sicuramente seleziono i due titoli di Riccardo Pratesi – 30 su 30 (Libreria dello Sport, 2017) e NBA Confidential (Diarkos, 2022) – accomunati da un fattore chiave: la testimonianza diretta, dal momento che il giornalista de La Gazzetta dello Sport ha seguito come beat writer alcune squadre e ha viaggiato in lungo e in largo per tutti gli USA. Il primo infatti è un tour attraverso le 30 arene e 28 città della lega, mentre il secondo un ritratto autentico e senza filtri dei “capibranco”, cioè le superstar di oggi e di ieri, con pregi e difetti.
Concludo la rassegna dei libri on the road con Basketball Journey di Alessandro Mamoli e Michele Pettene (Rizzoli, 2019). Un viaggio in cui i due autori visitano i luoghi storici dove è nato il basket, incontrano testimoni e vivono esperienze, riscoprendo vecchie palestre e vicende a lungo dimenticate. Un volume ricco di contenuti, corredati da foto a colori scattate da loro.
Poi ci sono almeno tre libri sul mondo streetball che per me hanno un significato particolare. City Game di Pete Axthelm è una pietra miliare della letteratura cestistica. Anch'esso pubblicato in Italia da Libreria dello Sport nel 2001, è uscito la prima volta nel 1970 e offre una panoramica sulla New York di quegli anni, dai Knicks alle leggende dei playground, quelle che poi avrebbe approfondito Christian Giordano nel suo prezioso Lost Souls (Bradipolibri, 2014). E visto che la storia del basket di strada coincide in buona parte con quella della sua “mecca”, il Rucker Park, considero un titolo fondamentale Gli dei dell'asfalto di Vincent M. Mallozzi, uscito nel 2003 e tradotto in italiano nel 2021 dal suddetto Pettene, insieme a Pietro Scibetta, per Add editore.
A seguire, ti segnalo un “mattone”: La leggenda del basket di Mario Arceri e Valerio Bianchini. Io ho l'edizione del 2004, la prima, dell’allora Baldini Castoldi Dalai. So che ce ne sono state altre, e va detto che non è un capolavoro di stile, ma in ogni caso abbonda di importanti informazioni sulla storia del nostro sport a livello globale.
Molto particolare è Basket (e altre storie) di Shea Serrano (Mondadori, 2018), ottima versione italiana di un testo con numerose storie e riflessioni sulla NBA, anche se chiaramente pensato per un pubblico americano, in cui l'autore risponde in modo brillante ed estremamente articolato a una serie di domande. Ti suggerisco il capitolo In che ordine verrebbero chiamati al Draft i giocatori di fantasia, una splendida rassegna di personaggi cinematografici che hanno a che fare con la pallacanestro. E in generale il libro è pervaso di continui riferimenti alla cultura pop.
Per concludere questa escursione nella mia libreria di basket, ecco alcune monografie a cui mi sento legato.
Tra i libri su Kobe Bryant, per quanto ve ne siano diversi molto belli, scelgo il suo: The Mamba Mentality (Rizzoli, 2018), anche perché lo ricevetti in regalo non molto prima della sua scomparsa ed è un testo veramente ispiratore. Ma se cerchi la sua storia il più completa possibile, allora non puoi esimerti dal leggere Showboat di Roland Lazenby (66thand2nd, 2017).
A me, poi, sono piaciute un sacco anche due autobiografie minori ma molto interessanti: Vincere non basta di Sarunas Jasikevicius (Add, 2015), scritto con Pietro Scibetta, e A canestro di Idan Ravin, l'incredibile storia del personal trainer di tante stelle NBA (Baldini & Castoldi, 2016), anche se l'edizione italiana purtroppo contiene centinaia di refusi ed errori di traduzione e di concetto.
Quella fucina di gioielli di letteratura sportiva che si chiama 66thand2nd ha recentemente sfornato due volumi davvero top: Giannis Antetokounmpo, Odissea di Andrea Cassini e Steph Curry, gioia e rivoluzione di Dario Costa. Credo che abbiano raggiunto vette altissime: del primo avevo scritto tempo fa qui, mentre ho appena recensito il secondo qui.
È chiaro che di libri validi di basket ce ne sono tanti altri, e continuano a uscire, ma questi sono stati quelli che mi sono rimasti dentro. E i tuoi quali sono?
Air: le mie impressioni
Ti è piaciuto Air? A me sì. Come resa complessiva, mi è parso un film ben fatto e in larga parte, eccetto qualche passaggio, comprensibile anche a chi non mastica di pallacanestro.
È un film molto “spot pubblicitario” Nike, non ci piove. Ma è anche una tipica sceneggiatura americana, capace di non annoiarti e, da buon manuale di marketing, di andare oltre il prodotto, narrandoti più il “come” e il “perché” che il “cosa”. Air racconta la storia di una persona a tratti controversa quale Sonny Vaccaro, interpretato da Matt Damon, che, credendo nelle sue capacità, nel suo istinto e nella sua conoscenza, riesce a ottenere un risultato che sembrava impossibile: convincere l'astro nascente Michael Jordan a firmare per Nike, creando una linea di scarpe che porta il suo nome.
Oltre allo spirito che anima Vaccaro, si aggiungono altri valori, tra cui su tutti l'importanza del gioco di squadra, che bilancia l’iniziativa individuale, elemento cardine della mentalità statunitense: infatti, senza il sostegno degli altri manager Nike e soprattutto del CEO Phil Knight (nel cui ruolo recita Ben Affleck, anche regista del film), il pur intraprendente e spregiudicato Sonny non avrebbe potuto far nulla.
Air accenna inoltre a vari momenti della storia dell'azienda, che se hai letto L'arte di vincere, autobiografia di Phil Knight pubblicata in Italia da Mondadori nel 2016 – oggi sì, è giornata di libri! – guardando il film li ritrovi praticamente tutti, insieme a quelli che ci hanno fatto conoscere anni e anni di campagne pubblicitarie. Da Knight che vendeva scarpe dal bagagliaio della sua auto alla creazione dello Swoosh, dal logo Jumpman alla querelle su chi ha inventato il nome Air Jordan (Peter Moore o David Falk?), per finire con la celebrazione del motto Just do it, fallo e basta: se Nike è diventata tale infrangendo regole e senza aver paura di andare contro il famigerato “si è sempre fatto così”, allora anche Vaccaro dovrà credere in se stesso e agire di conseguenza. Ed è qui la chiave di tutta la vicenda che cambierà il destino del marketing sportivo.
Ti dico altre cose al volo sul film, senza spoiler:
ricostruzione ambientale anni '80 perfetta. Musiche, arredi, oggetti, abbigliamento: un tesoro per i nostalgici;
un’ottima occasione per riscoprire il primo The Shot, il canestro con cui Jordan vinse il titolo NCAA con North Carolina nel 1982;
doppiaggio italiano positivo, con poche sbavature. Sono inciampati sul solito “dribblare”: to dribble in gergo tecnico significa palleggiare. Tuttavia alcune espressioni di difficile traduzione sono state lasciate in inglese ed è buona cosa;
resta incomprensibile, però, il sottotitolo La storia del grande salto: è totalmente fuori luogo;
Nike è pronunciata “naik” e non “naiki”, come sarebbe corretto. Ma l'uso comune, almeno in Italia, è “naik”: nessuno cancellerà mai questa abitudine e credo sia accettabile averla trasposta così;
è chiaro che alcuni aspetti siano stati romanzati, ma credere che un film debba essere al 100% fedele alla realtà è da ingenui. Air finirà tra i migliori film di basket, come Tornare a vincere e Hustle (mi sa che dovrò aggiornare questa lista).
Concludo con il personaggio di Michael Jordan, interpretato da una comparsa e inquadrato sempre di spalle. L'intento del film, infatti, è di non farlo mai vedere né parlare, dando l'impressione che la sua imminenza e la sua grandezza aleggino ovunque in ogni momento. Sai cosa mi ha ricordato questa soluzione? Gesù Cristo! In diversi film dei lontani anni Cinquanta, come Ben-Hur o La tunica, che qualche canale tv ripropone ancora nei giorni di Pasqua, il Messia è mostrato solo di spalle, in lontananza o in controluce.
In Air è l'unico aspetto che ho trovato un po' forzato, soprattutto nella scena dell'incontro negli uffici Nike. Non mi è sembrato molto naturale: è come se lui cercasse di sfuggire alla telecamera e al contempo come se il cameraman cercasse di evitare di inquadrarlo.
Poi se vedi Air fammi sapere che te ne pare.
Come nasce Galis
Ti piacciono i making of? Ora ti racconto quello di Galis, visto che spesso mi chiedono: «Come si fa una newsletter? Dove trovi tutte queste cose?».
Guarda, non c'è un modo unico per realizzare una newsletter. Esistono alcune linee guida da rispettare, perché oggi è un vero e proprio prodotto editoriale, ma molto dipende da ciò che hai in testa, dal tema, dal materiale a disposizione e da come ti sai muovere tra le idee e le fonti.
Una newsletter è soggettiva. Forse è proprio per questo che è un modello tornato in auge: perché instaura un dialogo diretto tra me e te, visto che ormai i social parlano a tutti e a nessuno. Una newsletter riuscita ha a che fare con competenza, intuizione, sensibilità e capacità organizzative dell'autore. Sicuramente aiutano costanza, puntualità e precisione, e per fortuna sono tre qualità che non mi sono mai mancate.
Galis è mensile. Al momento mi è impossibile una frequenza maggiore. Uscendo l'ultimo giorno del mese, non riesco a dedicarmi al nuovo numero prima del 15 o del 20, a volte anche più tardi. Non ho un planning predefinito per i temi di ogni uscita, il più delle volte mi vengono in mente strada facendo.
Ciò che faccio ogni giorno è quel che farei anche se non esistesse Galis: seguire il basket, con un occhio particolare all'aspetto culturale. Quando segui uno sport o un argomento per cui nutri passione, è come quando fai circolare la palla, compi i movimenti giusti e il buon tiro arriva. Allo stesso modo, se tieni la mente allenata, cogli meglio spunti e connessioni. Ecco, per una buona newsletter serve questo: saper sintetizzare e individuare i collegamenti tra le notizie, e da lì sviluppare un approfondimento. Quindi per prima cosa tieni d'occhio media, social e qualsiasi cosa che parli di basket: è difficile non farsi sfuggire niente, ma ammetto che da giornalista sono abituato a fare rassegne quotidiane.
Galis è lunga: sono circa 20.000 caratteri a uscita. Però è mensile apposta: per invogliarti a conservarla tra le tue mail o nei preferiti e tornare a leggerla più volte. Se mi segui su Instagram, infatti, hai notato che ogni martedì pubblico un reminder del numero corrente di Galis. Modelli particolari? Non tanti. In generale ti dico: le cose fatte bene. L'idea è nata leggendo Da Costa a Costa, la newsletter sugli Stati Uniti di Francesco Costa de Il Post, che oggi è una sorta di superstar ma che seguo da quando non lo era ancora.
Come faccio, ad esempio, a prepararti ogni mese la rubrica Shootaround, quella succosa selezione di link ad articoli, post, video, podcast meritevoli che leggerai tra poco? Mi avvalgo di qualche tool. Uno dei principali è Feedly, aggregatore di notizie con cui riesco a seguire varie decine di siti, di basket ma anche di altro genere, perché uno sguardo sul resto dello sport e del mondo va mantenuto. Poi capita che alcuni siti non siano supportati da Feedly: allora li tengo salvati in una cartella dei preferiti di Chrome e li consulto “manualmente”.
Quando un articolo mi può essere utile, lo salvo tramite la funzione interna di Feedly oppure con Pocket (altro importante tool per conservare link) o ancora sulle note di Keep di Google (fondamentale da mobile, almeno per me che ho Android dalla notte dei tempi). Su quest'ultimo ci salvo anche porzioni di testo.
Per salvare invece post interessanti sui social, ugualmente, ricorro alla funzione “salva elemento” presente su Instagram, Facebook, Twitter e LinkedIn.
Quando mi accingo a comporre la newsletter, rigorosamente da desktop o laptop, comincio a spulciare tra i salvataggi e, man mano che mi sono servito dei vari articoli e post, li tolgo dagli elementi salvati, a meno che non sia materiale che ho bisogno di mantenere più a lungo. Individuare i contenuti adatti a Galis non è sempre facile, perché il 90% delle notizie sono risultati, breaking news, analisi tecniche, mentre ciò che cerco io, come sai, riguarda il basket fuori dal campo.
La prima bozza di Galis la scrivo di getto su un foglio Word, per tenere d'occhio la lunghezza. Ancora prima possono esserci benissimo appunti buttati giù a penna su un taccuino o digitati rapidamente su un file di Blocco Note. Mentre si avvicina la fine del mese, comincio a trasportare tutto “in bella”, salvando il testo tra le bozze di Substack. Il giorno precedente all'invio faccio una prova generale, simulando una mail di test grazie all’apposita funzione. Quindi, un ulteriore check la mattina dell'ultimo del mese (il giorno di uscita) e l'invio definitivo, di nuovo preceduto da una mail di prova. E poco dopo, go!
Sì, avrai capito che sono un perfezionista totale e cerco di eliminare ogni refuso e imprecisione. Sono un gran rompiscatole, insomma.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Oggi con i libri non mi fermo! Ecco gli estratti di due appena usciti:
Area piccola di Giorgia Bernardini (Marsilio) su l'Ultimo Uomo.
LeBron James è l'America di Simone Marcuzzi (66thand2nd) su Rivista Undici.
Qui invece recensisco Senza filtro di Kevin Garnett, edito da Libreria Pienogiorno.
E qui la serie Netflix Last Chance U: Basketball.
Passiamo ai podcast. Danilo Gallinari e suo fratello Federico (oggi nello staff tecnico dei Motor City Cruise, squadra G League di Detroit) hanno lanciato A cresta alta: ascoltalo su Spotify o guardalo su YouTube.
Raffaele Ferraro, fondatore de La Giornata Tipo, e Tommaso Marino, giocatore, creator digitale e cofondatore di Slums Dunk, si raccontano al podcast Quello che siamo: qui e qui.
Carmen into Basketball è il nuovo podcast di Carmen Apadula di NBA Passion: ospite della prima puntata Paola Ellisse!
Steph Curry passa in rassegna le sue 10 signature shoes Under Armour: qui il pezzo di Nick DePaula per Andscape. (in inglese)
Ma quanto è bello lo spot del film Super Mario Bros. con Klay Thompson?
Tutta la storia del "Light the Beam!" dei Sacramento Kings: così Marc J. Spears su ESPN. (in inglese)
NBA Noir è la rubrica di Massimo Oriani, storica firma de La Gazzetta dello Sport, su storie e personaggi “dubbi”. Qui la puntata sul controverso Gold Club, locale notturno di Atlanta, mentre qui quella su Robert Swift. (solo abbonati)
Sweetwater è il nuovo film su Nat Clifton, uno dei primi tre afroamericani a giocare in NBA nel 1950, appena uscito negli Stati Uniti: ne parla Steve Aschburner su NBA.com. (in inglese)
Sul canale YouTube di BasketUniverso la storia di Shawn Kemp a Montegranaro: nel video c'è anche lui nel paese marchigiano!
Parigi ha un rapporto speciale con la NBA e i Chicago Bulls: Zach Lavine e DeMar DeRozan raccontano le loro sensazioni ad Adam Caparell di SLAM. (in inglese)
Luka Doncic è un appassionato di scacchi: lo riferisce Vincenzo Panarelli su NBA Religion.
Il team di Dunkest riassume la storia dei videogame di basket, già oggetto del numero 26 di Galis.
Un canestro sperduto dalla Mongolia (foto di @tosszz via @protecthomecourt)
Dopo Milano, Jordan World of Flight ha aperto a Tokyo nel quartiere di Shibuya: trovi tutto qui. (in inglese)
Il grande successo sociale e mediatico della Volksbank Reyer School Cup: così sul sito ufficiale della Reyer Venezia.
Tutti gli interventi di Meet The Best 2023, evento svoltosi a Trento, sul canale YouTube di A Better Basketball.
Arriva al cinema The First Slam Dunk: il 10 maggio in lingua originale con sottotitoli in italiano e doppiato dall'11 al 17 maggio. Qui il trailer.
E per finire, Federico Buffa e Ghemon intervistati da Antonio Dikele Distefano al Lavazza Basement Café: da ascoltare ogni parola!
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 28 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter. Mi raccomando, spargi la voce!
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È tutto, ci vediamo il 31 maggio. Ciao!