Insert coin
#26 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi videogame vintage, Kevin Durant e un negozio che è più di un negozio
Ciao, rivoglio l'All-Star Game NBA est contro ovest e ciascuno con la divisa della sua squadra, bianchi contro colorati, come una volta.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 26 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita – se l'hai saltata, recuperala qui: ehi, è stata la più letta di sempre! – ho scritto sullo stato della pallacanestro in Giappone e sullo Utah, che ha da poco ospitato l'All-Star Weekend, appunto.
Oggi, nella prima storia, mi avventuro in quello che, almeno per me, è un campo ostico – i videogame – ma che prima o poi, trattandosi di un tema importante nel basket come lifestyle, andava un minimo trattato.
Insert coin!
It’s in the game
Come ti ho appena accennato, non sono mai stato un esperto né un patito di videogame. Giusto una piccola predilezione per quelli di sport, ma niente di più. Ad esempio, mai avuta la PlayStation, usavo il computer. La mia storia con il joypad in mano è quindi breve e piuttosto insignificante: da ragazzino mi sono divertito con i FIFA e gli NBA Live dal 98 al 2002 circa – quindi sto parlando di preistoria – e con un manageriale che all'epoca andava per la maggiore, PC Calcio.
Più tardi, verso i 23-24 anni, sono andato in fissa con Mario Kart Double Dash!!, tanto che mi comprai il Nintendo Game Cube solo per giocare a quello e sfidare i miei amici che vincevano sempre. Un'adrenalina pazzesca. Quando poi sono diventato imbattibile io, loro hanno smesso di organizzare sfide… Esiste anche un Mario Slam Basketball, ma non ci ho mai giocato. In ogni caso, Mario Kart è stato l'ultimo squillo di tromba: da allora, di videogame so davvero poco o nulla.
L'idea di scriverne qui mi è venuta quando ho letto la notizia dell'uscita di NBA All-World, una nuova frontiera del gaming di basket. Prodotto da Niantic in partnership con NBA e NBPA, è un gioco per smartphone che fa ampio ricorso alla realtà aumentata, tecnologia che tempo fa innescò quella follia collettiva chiamata Pokémon Go. Infatti i creatori sono gli stessi.
Per sommi capi (molto sommi), il player cerca sulla mappa campi, giocatori, bonus e sfida tutti, più o meno. Non è un videogame di basket completo alla NBA 2K, il leader indiscusso, ma più snello e rapido. Dunque una specie di arcade, cioè le versioni dei videogiochi che una volta affollavano sale e bar, e allora tutto torna, anche l'insert coin di cui sopra… Sì, ti ricordo che sono giornalista e qualche “compitino” per capirci qualcosa sull'argomento l'ho fatto!
Comunque, se vuoi leggere un paio di recensioni, ti lascio qui quella di Luca Pierattini su GQ e qui quella di Multiplayer.it. Anche io avrei voluto darti un giudizio su NBA All-World, ma purtroppo il mio smartphone, che ha qualche annetto, non lo supporta, tanto per completare il quadro di perfetto “boomer” della materia. E visto che ho 40 anni, non mi pare il caso di cambiare cellulare solo per un gioco: i tempi del Game Cube sono abbastanza lontani, ormai. Per cui rimedierò raccontandoti un po' di cose sulla storia dei videogame di basket, senza la pretesa di essere esauriente: prendi quanto segue come una sorta di appunti sparsi.
In primis ti consiglio di spendere una mezz'oretta per guardare questo video: l'intera evoluzione dei giochi di pallacanestro dal 1974 a oggi. In quasi cinquant'anni, puoi vedere tutti i progressi nella grafica e nella giocabilità, dalle figure bidimensionali e ultra pixellate dei titoli pionieristici al grande realismo degli attuali.
Sorprendente, vero? Credo che tu abbia presente Pong, uno dei primi videogame della storia, lanciato da Atari nel 1972. Era quello strano tennistavolo in bianco e nero in cui controllavi come “racchetta” una semplice barretta che faceva su e giù e potevi fare sponda con i bordi dello schermo (no, quelli del padel non si sono inventati proprio niente). Ebbene, se hai visto il video converrai con me che il primo gioco gli somiglia tantissimo: è TV Basketball.
In America venne commercializzato con questo nome, mentre in Giappone (dove fu creato dalla Taito) e in Europa era semplicemente – evviva la fantasia, ma parliamo pur sempre del 1974 – Basketball. È stato il primo videogame con personaggi dalle forme umane, seppur abbozzatissime. Si poteva giocare a Basketball/TV Basketball sia nelle sale giochi sia a casa sulla Magnavox Odyssey, la prima console domestica. Negli Stati Uniti era distribuito dalla Midway, come i più famosi Space Invaders, Pac-Man, Mortal Kombat e... NBA Jam.
Il “Pong del basket” è così il capostipite di una lunghissima serie di giochi “a spicchi”, da One on One: Dr. J vs Larry Bird del 1983, sviluppato da Electronic Arts (meglio nota in seguito come EA Sports) a titoli improbabili tra cui Bill Laimbeer's Combat Basketball (se vuoi approfondire quali sono stati i più assurdi, leggi questo pezzo di Valerio Coletta su l'Ultimo Uomo); dal suddetto NBA Jam (che fondeva l'immaginario NBA con lo spirito dei playground, come faranno anche NBA Street, NBA Ballers e altri) ai titoli esclusivamente giapponesi degli anni Novanta ispirati al manga Slam Dunk.
Poi, le due grandi dinastie: NBA Live di EA Sports, fermatasi nel 2019, e NBA 2K. Il loro successo testimonia un fatto inequivocabile: al pari di quanto avvenuto con web e social, anche nei videogame la NBA è stata una delle prime leghe a comprenderne l'importanza per diffondere la propria immagine in tutto il pianeta.
Non conoscendo 2K, ti riferisco giusto alcuni ricordi dell'altro. NBA Live 98 è il videogioco di basket che più mi porto dentro, in un anno fatidico sia per lo sport che sul piano personale, da quindicenne che iniziava a immaginare cosa volesse fare nella vita. La mente mi riporta agli anni liceali quando, dato l'elevato costo (in lire!) degli originali, cercavamo in ogni modo qualcuno che riusciva a procurarti i CD-ROM “pirata” masterizzati, perché allora – non ho idea di come funzioni oggi – per giocare dovevi prima fare l'installazione e poi ogni volta inserire nel lettore il prezioso disco.
Credo che un videogame con cui hai perso ore e ore della tua adolescenza abbia la stessa importanza di un film, un fumetto o un album che ti ha accompagnato nella crescita.
EA Sports lanciò NBA Live 98 nell'autunno 1997. Iniziava la memorabile stagione di The Last Dance, ma Michael Jordan non figurava: troppo costosi i diritti per l'utilizzo del suo nome. Al suo posto ecco allora un fittizio “Roster Player” con il numero 23 dei Chicago Bulls. Sulla copertina c'era Tim Hardaway con la divisa rossa dei Miami Heat.
L'All-Star Game – ora capisci la frase iniziale di questa newsletter! – era affascinante: ogni giocatore vestiva la divisa della propria franchigia. Una squadra in maglia bianca, l'altra in maglia scura: come nella partitella di fine allenamento.
Infine, nella creazione del giocatore personalizzato, potevi inserire i 150 chili di Priest Lauderdale nel metro e 60 di Muggsy Bogues per creare l'uomo-cubo. E magari dargli pure i capelli variopinti di Dennis Rodman.
Mi fermo qui e concludo il capitolo con un altro ricordo, davvero nascosto: sai che è esistito pure un videogame ufficiale del campionato italiano? Molto naïf, a partire dal nome: Fronte del Basket. Prodotto dalla Idoru e lanciato il 16 febbraio 2006 in occasione della Final Eight di Coppa Italia, girava solo su PC Windows e annoverava le 18 squadre di serie A della stagione 2005-06, con 200 giocatori e 8 palazzetti fedelmente riprodotti. Per realizzare le animazioni, furono catturati i movimenti di Gianluca Basile. Durò cinque anni, cambiando in seguito nome in Planet Basket, e rimase lontanissimo dagli standard dei giochi NBA. Tuttavia il fatto che in Italia ci sia stata una cosa del genere resta un fatto positivo. E chissà che non ritorni, prima o poi. Anche se con un mercato così vorticoso e squadre che cambiano volto ogni mese, andrebbero rilasciati aggiornamenti continui.
Al pari di NBA 2K, non ho mai giocato neppure a Fronte del Basket. Del resto, te l'ho detto, di videogame non capisco quasi nulla.
KD the businessman
L’atteso debutto di Kevin Durant con i Phoenix Suns accentra di nuovo l’attenzione su un atleta che, piaccia o meno, rimane un protagonista assoluto della NBA contemporanea.
Se LeBron James è il Re, incarnazione del potere (mediatico e non solo) della NBA, KD è una specie di signore oscuro, molto meno idolatrato e ben più discusso (considerata la sua fama di personaggio conflittuale), ma allo stesso modo influente. Se LeBron è noto per il suo impero economico fuori dal campo, merita un minimo di approfondimento anche il percorso nel business che in questi anni ha compiuto, con ottimi risultati, l'ex Oklahoma City, Golden State e Brooklyn. Perché il traguardo è lo stesso: arrivare al miliardo di dollari guadagnati in carriera, tra parquet e attività imprenditoriali.
Forbes, nel 2022, mette Durant al sesto posto tra gli atleti più pagati del mondo, dietro a Lionel Messi, LeBron James, Cristiano Ronaldo, Neymar Jr. e Steph Curry. Tra contratto per giocare e sponsor ha guadagnato 88 milioni di dollari, rispettivamente 43 e 45, e ha in corso un accordo decennale da 275 milioni con Nike.
Fin dai primi anni di carriera, KD non ha mai voluto fare i conti con il dubbio di cosa farci, con tutti questi soldi. E così ha pensato di investirli e farli fruttare. Sarà pure un tipo rancoroso che non si fida di nessuno, ma come tutti i signori oscuri non difetta in intelligenza. E qui entra il gioco il suo agente e socio in affari: se LeBron ha il fido Maverick Carter, Kevin ha Rich Kleiman.
Nato nel 1976, Kleiman è di New York ed è la figura chiave per il successo imprenditoriale di Durant. Ha un passato nella musica, avendo lavorato per Roc Nation, l’agenzia di Jay-Z che rappresenta artisti e dj. Il suo sogno, però, è operare nel mondo dello sport. Quando la Roc Nation apre la divisione sportiva, per Rich si allinea una congiuntura favorevole, perché può portarvi dentro KD, che conosce da qualche anno e lo rappresenta ufficialmente dal 2012 (prima era assistito da Rob Pelinka, attuale gm dei Lakers).
Il rapporto tra il giocatore e il suo agente diventa sempre più solido e comincia ad andare oltre il basket. KD ha i soldi e vuole investirli, ma cerca un socio competente di cui fidarsi (e come è noto, non è che si fidi del primo che gli passi davanti); Kleiman ha il fiuto per gli affari e vuole stare nello sport: il match è favorevole. Nel 2016 il grande passo, anzi due.
Durant lascia i Thunder per approdare ai Golden State Warriors, uno dei trasferimenti più clamorosi degli ultimi anni. Oltre alla smania di vincere un titolo, aggregandosi ai migliori e diventandone l'elemento decisivo (due volte MVP delle finali), dietro questa operazione c’è un discorso di affari, un po’ come quando LeBron James ha scelto di andare a Los Angeles. La Silicon Valley, a pochi chilometri da San Francisco e Oakland, è infatti terreno fertile per investire in imprese hi-tech e digitali, uno dei settori che più attirano KD, che così ha modo di frequentare vari imprenditori e venture capitalist.
Insieme a Kleiman, fonda la Thirty Five Ventures (35V, dal suo numero di maglia), una società di investimenti che acquisisce quote di oltre 80 imprese, tra cui OpenSea, Coinbase, Postmates (poi comprata da Uber per un sacco di soldi) e molte altre. A ciò aggiunge partecipazioni nei Philadelphia Union di calcio MLS, nella lega femminile NWSL e negli eSport.
Investimenti importanti e diversificati, dai media alla tecnologia, dall’entertainment al fitness, dall’immobiliare alla ristorazione, che sono andati finora a buon fine e allo stato attuale costituiscono un portfolio dal valore di 200 milioni di dollari. 35V ha sede a Manhattan, in lussuosi uffici nel quartiere di Chelsea, dove sono impiegate 30 persone.
Il fiore all’occhiello diventa Boardroom, media company che si muove tra sport, entertainment e cultura. Nel 2021, in qualità di produttore insieme a Mike Conley (proprio lui, il giocatore dei Timberwolves), con Two Distant Strangers KD vince il Premio Oscar per il miglior corto. Lancia anche Boardroom.tv, portale di news di sport business e tecnologia. Produce documentari come A kid from Coney Island (su Stephon Marbury), NYC Point Gods (sulla tradizione dei playmaker di New York) e la recente serie Swagger su Apple TV, ispirata alla sua vicenda biografica.
E non si fa mancare ovviamente la fondazione benefica, Durant Family, che ha costruito The Durant Center per i ragazzi svantaggiati nel suo Maryland e riqualificato vari playground in tutto il mondo.
Insomma, il “signore oscuro” si è dato da fare e ha messo su, con istinto e intelligenza, un impero in costante crescita.
More than a store
C'è stata una festa niente male il 17 febbraio in quel di Verona: ha compiuto dieci anni Double Clutch, lo store specializzato in articoli da pallacanestro che è molto di più di un semplice negozio.
Grazie anche all'e-commerce, dove puoi trovare e acquistare con facilità una vasta gamma di scarpe, divise, accessori, palloni dei top brand di settore, è diventato infatti un punto di riferimento per gli appassionati, andando ben oltre i confini della città veneta. Nella doppia e curatissima dimensione fisica – Via Sottoriva, nel centro storico veronese – e digitale - Doubleclutch.it – esprime a pieno titolo quel rapporto tra basket e lifestyle che per me, per te, per tantissimi è centrale.
Non sto assolutamente facendo una “marchetta” – tra l'altro non ho avuto ancora occasione di visitarlo – ma in tutta sincerità storie come quella di Double Clutch, che raccontano come la passione per il basket possa trasformarsi in lavoro attraverso passione, competenza, fiducia in se stessi, scoperta, apprendimento, meritano di essere conosciute e valorizzate.
Double Clutch è nato nel 2013 in un paese della provincia, San Giovanni Lupatoto, su iniziativa di Luca Quattrone, allora ventitreenne studente di scienze motorie ed ex giocatore. Il nome è un omaggio a un movimento di Derrick Rose (questo). Uscito fuori per primo da una ricerca su Google sulle mosse del basket, a Luca piaceva la sua sonorità. Lui stesso racconta molte cose in questa intervista.
Il punto vendita diventa subito molto frequentato da giocatori locali e appassionati. Un successo via via maggiore che giustifica, nel 2016, l'apertura del nuovo store a Verona, destinato a diventare un vero e proprio centro propulsore di cultura cestistica. Alla normale attività commerciale si affiancano iniziative e progetti che vedono il coinvolgimento di artisti italiani e internazionali, tra cui Will Bryant, iniziative speciali ed eventi per il drop di prodotti e collezioni. Parallelamente lo shop digitale si perfeziona sempre di più.
Un aspetto fondamentale va evidenziato: a monte di questi risultati c'è una precisa strategia digitale portata avanti attraverso i social, ma anche viaggi per presentarsi di persona a vari protagonisti della pallacanestro (tra cui Gallinari, Melli, Datome, Hackett, Cecilia Zandalasini), condividendo con loro progetti, esperienze, ispirazioni. Attività che fanno crescere la credibilità di Double Clutch.
I contenuti, inizialmente prodotti in proprio da Luca e oggi realizzati da professionisti con un preciso piano editoriale, hanno consentito di raggiungere gli appassionati in nome del legame indissolubile tra basket e sneaker, comunicando l'amore per il racconto, il confronto e la condivisione con la community. Double Clutch si è conquistato giorno dopo giorno la fiducia dei principali brand, Nike e Jordan in primis, ed è questo l'unico modo per poter condurre un'attività del genere mantenendo elevati standard qualitativi.
Alla festa del decennale è stato presentato, inoltre, il numero 2 di Overseas, il magazine in lingua inglese, realizzato da italiani, che racconta luoghi, persone e storie di basket. E che ti consiglio assolutamente di leggere: per acquistarlo entra qui.
Che altro dire, complimenti e auguri a tutti!
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Il 17 febbraio Michael Jordan ha compiuto 60 anni: in questo video ufficiale NBA, un countdown con le 60 migliori giocate della sua carriera.
Sul mio blog avevo scritto di tutti i numeri di maglia che MJ ha indossato, non solo l'iconico 23: leggi il post qui.
E qui avevo raggruppato 10 libri in italiano su di lui.
Ecco il trailer italiano di Air, nelle sale dal 6 aprile. Incrociamo le dita per il doppiaggio. Scelta la pronuncia "Naik" anziché il corretto "Naiki", ma visto l'uso comune ci può stare. Il sottotitolo La storia del grande salto invece non mi convince. Però il film si preannuncia top: ne riparleremo presto.
A proposito di Nike: l'85enne fondatore Phil Knight ha assistito al canestro del record di LeBron James senza smartphone, ma godendosi il momento con i propri occhi, unico tra tutti quelli intorno a lui. Onore a te, Phil. Ne ha parlato Rivista Undici.
Ultima cosa sullo swoosh: questa è la Nike Ja 1, prima signature shoe di Ja Morant (in inglese).
Dalla partnership tra Rich Paul, agente di LeBron James e CEO di Klutch Sports, e New Balance nasce un nuovo brand: Klutch Athletics. Ne riferisce Nick DePaula su Andscape. (in inglese)
E arriva anche una scarpa da basket firmata Puma e Balmain. Testimonial Kyle Kuzma e Skylar Diggins-Smith. Così Marion Deslandes su Fashion Network.
Riccardo Pratesi de La Gazzetta dello Sport ha intervistato l'ex lungo di Nets e altre squadre Jason Collins sull'evoluzione del ruolo di centro. (solo abbonati)
Mattia Tiezzi, invece, spiega su l'Ultimo Uomo le prospettive del prossimo contratto collettivo NBA.
Secondo Mark Cuban, proprietario dei Dallas Mavericks, ci sono due parole che separano chi raggiunge gli obiettivi e chi sogna solo di farlo: quali sono te lo dice Jeff Haden di Inc. Magazine. (in inglese)
Il fenomeno del momento Mac McClung, per vincere la gara delle schiacciate, ha indossato la maglia del suo liceo, la Gate City High School in Virginia. Che l'ha messa in vendita a 50 dollari. Racconta tutto Davide Fumagalli di Eurosport.
Il Budivelnyk Kiev è una squadra di basket ucraina che si è trasferita a Roma: ne parla Alessandro Austini su Il Post.
Su Overtime il punto di vista del giornalista ucraino di basket Oleksandr Proshuta a un anno dall’inizio della guerra, alla vigilia di Italia-Ucraina dello scorso 23 febbraio: leggilo qui.
Le nuove divise della Nazionale italiana sono firmate Macron. Qui sul sito FIP c'è tutto quello che devi sapere. Se invece vuoi acquistarle, le trovi qui.
Visto che ho parlato di videogame, ecco la etalbasket, la nazionale italiana di eBasketball: scopri cosa ha in programma.
È uscita una nuova guida della collana The Passenger di Iperborea sui paesi baltici e c'è un capitolo sulla nazionale lituana di pallacanestro: acquista il libro qui.
Ti ricordi i gemelli Lavrinovic? Li ha intervistati il team di Basketuniverso.it: il pezzo qui.
Storia e gloria di Georgios Printezis secondo Marco A. Munno su La Giornata Tipo.
Leonardo Pini di Around The Game narra quella di Bill Bradley, tra basket e politica.
Il leggendario campione di baseball Jackie Robinson ha giocato anche a basket, a UCLA: lo racconta Josh Casper su SLAM. (in inglese)
Ha già tre episodi (il terzo dei quali su Michael Jordan) il neonato Scarpe.pod, podcast che parla di sneaker con Marco Rizzi, Niccolò Bevilacqua e Andrea Tuzio: ascoltalo qui su YouTube e qui su Spotify.
E per concludere, bella la Mole Antonelliana di Torino illuminata di verde per la Final Eight, vero?
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 26 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter. Mi raccomando, spargi la voce!
Basket Story, il magazine di Baskettiamo.com, ha dedicato due pagine al mio libro Il parquet lucido: mi trovi qui a pagina 6 e 7. Se vuoi acquistare il libro, entra qui.
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È tutto, ci vediamo il 31 marzo. Ciao!