Kaizen
#25 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi la pallacanestro in Giappone, lo Utah e lo Shootaround
Ciao, tutto quello che leggerai qui non sarà mai scritto da un'intelligenza artificiale.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il numero 25 di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita (se te la sei persa, recuperala qui) hai trovato il Jordan World of Flight di Milano, i derby di Livorno e Cremona, le prospettive di Camerun e Città del Messico e un ex giocatrice di nome Linnell Jones.
Anche stavolta viaggeremo un po' nel segno della nostra amata palla a spicchi: ti porto prima in Giappone e poi sulle montagne dello Utah.
Infine, nella rubrica Shootaround, ti propongo i migliori contenuti a tema basket che ho trovato su web e social nell'ultimo mese.
Pronto al decollo?
Japan’s hoops
Se magari un tempo ci si limitava più che altro a manga e cartoon, oggi mi sembra che tutto ciò che riguarda il Giappone e la sua cultura sia diventato trendy, ai limiti del mainstream. Il Giappone infatua un sacco di gente, anche chi non ci ha mai messo piede. Sottoscritto incluso: non ho mai viaggiato fin là, eppure qualche anno fa ho persino pubblicato un libretto di poesie haiku di ambientazione metropolitana (Haiku di città, purtroppo è esaurito, ma se ti interessa fammi un fischio in privato, dovrei avere ancora qualche copia).
Se frequenti le librerie, può capitarti facilmente di trovare intere sezioni dedicate al Sol Levante. In una di queste, facendo tachiyomi – cioè fermarsi a leggere in piedi accanto a uno scaffale di libri, pratica a me consueta ma che non sapevo avesse un nome – ho scoperto per linee generali la famosa filosofia kaizen. Della quale non conoscevo nulla, nonostante ne applicassi inconsciamente alcuni concetti alla mia vita recente. E anche a questa newsletter.
Kaizen significa “cambiare in meglio”. Quindi: lavorare, studiare, impegnarsi costantemente per produrre un miglioramento continuo e quotidiano, in qualsiasi ambito. In tale ottica, l'esperienza passata e le sconfitte sono accolte come base per ripartire verso qualcosa di migliore. È il pensiero che è stato alla base della ripresa economica del Giappone dopo la seconda guerra mondiale: da nazione rasa al suolo a potenza industriale planetaria, nonché modello di efficienza e modernità. Il kaizen va oltre il concetto di “tutto e subito”: invita a costruire un cambiamento graduale, cercando di trarre il massimo da ogni giornata.
Sai, non escludo che i giapponesi stiano applicando questa filosofia anche alla loro pallacanestro, vista la progressiva crescita che sta vivendo, al vertice, nei playground e in fatto di hoop culture. Penso allo sviluppo di un brand streetball come Ballaholic, ad esempio, o al nuovo film di Slam Dunk. Oggi, infatti, il basket nipponico versa in condizioni migliori rispetto a dieci, venti o trent'anni fa. Un movimento ancora lontano dall’essere alla pari dei più sviluppati, ma protagonista di un innegabile incremento e in grado di costruirsi uno spazio di rispettabilità.
Tanto per cominciare, il Giappone ha due giocatori in NBA che fanno da traino. Dando per trascurabile la comparsata di Yuta Tabuse a Phoenix nel 2004, è la prima volta. Non solo: entrambi si trovano nei due mercati più desiderabili che ci siano, Los Angeles e New York. Ai Lakers è appena arrivato Rui Hachimura dagli Washington Wizards, mentre Yuta Watanabe si sta ritagliando minuti importanti ai Brooklyn Nets. In G League c'è da tempo Yudai Baba ai Texas Legends e altri connazionali sono nei college. Fino a non molto tempo fa, per una giovane promessa giapponese era pressoché impensabile andarsene così lontano per giocare a basket, mai considerato nella mentalità locale uno sport professionistico.
Le cose, tuttavia, cambiano. Il Giappone ha ospitato i mondiali 2006 e ospiterà parte di quelli 2023. Gare di preseason NBA sono andate in scena (2019 e 2022) alla Saitama Super Arena, già teatro dell'ultimo torneo olimpico, e altre ne verranno. Gli unici precedenti, e non è un caso, risalivano agli anni Novanta, quando alcune partite di regular season trovarono posto a Tokyo e a Yokohama: era l'epoca di Michael Jordan, che innescò il primo e unico vero boom della palla a spicchi nel Sol Levante, ispirando anche il manga e anime Slam Dunk. E infine Rakuten, big nipponica del commercio online e dello streaming, sponsorizza i Golden State Warriors.
Per fare il punto della situazione sul basket in Giappone, ho chiesto un paio di pareri a Jeremy Renault – che avevo intervistato in passato sul mio blog – fotografo francese specializzato in basket, che vive a Tokyo da oltre cinque anni e collabora con la NBA e con vari marchi e organizzazioni legati alla pallacanestro.
“Da quanto vedo – mi racconta Jeremy – penso che la cultura cestistica stia crescendo. LaNBA è venuta qui per la preseason e il basket ha molta più esposizione per attrarre nuovi appassionati. La B.League, il massimo campionato professionistico, sta attirando alcuni veterani NBA, la nazionale femminile ha ben figurato ai Giochi. I giovani, come negli Stati Uniti e in generale in Asia, crescono tuttora nelle squadre scolastiche, ma negli ultimi anni i club pro hanno costruito il proprio vivaio sul modello europeo”.
Che ne pensi dei giapponesi che vanno a giocare all'estero? E i media come stanno coprendo il basket?
Sempre più giovani locali sono interessati a fare un'esperienza di basket in un altro continente. Dal momento che lo stile di gioco nipponico è differente, vogliono riuscire a competere a livello internazionale. Oggi ci sono vari giapponesi, uomini e donne, nella Division I della NCAA, nelle prep school o in accademie europee: è sicuramente un'ottima cosa per il futuro. Nei media non mancano format emergenti che raccontano la pallacanestro, dai podcast ai vlog dei giocatori su YouTube. Alcune squadre NBA hanno un profilo Twitter in giapponese ed è un grande vantaggio per i fan. Mi auguro poi che sempre più frequentemente i contenuti giapponesi siano diffusi con sottotitoli in inglese, così il resto del mondo potrà imparare molto di più sul basket in Giappone, finora piuttosto limitato all’interno dei suoi confini.
I playground sono la vera cartina di tornasole per la crescita di un movimento: come procede in Giappone?
Il 3x3 sta crescendo a livello giovanile e professionistico. I playground sono pochi, ma in aumento. A Tokyo, a causa dello spazio limitato, puoi trovare un campo intero e a ingresso libero solo a Shinjuku e Yoyogi, rinnovati lo scorso autunno, altrimenti ci sono tante metà campo, talvolta con manto erboso o lastricato. Molti sono privati e disponibili in affitto. Se vuoi giocare indoor, puoi prenotare la palestra di una scuola. Dalla scorsa estate mi sono unito a Go Parkey, associazione creata da miei amici, che riqualifica playground in collaborazione con artisti e comunità locali. Ne sono stati rimessi a nuovo tre e hanno dato il loro supporto Project BackBoard, Kevin Durant, i Golden State Warriors e brand come 2K e Rakuten. Go Parkey è la prima realtà in Giappone a collaborare per lo streetball con giocatori e organizzazioni NBA. Se tutto va bene, ciò porterà nuove opportunità al movimento e aprirà la strada a diverse città giapponesi che vogliono realizzare o rinnovare campi da basket.
Hai fatto del connubio tra fotografia e basket il tuo lavoro e la tua vita: di cosa ti stai occupando e quali sono i prossimi progetti?
Sto realizzando documentari di vario genere, raccontando la riqualificazione dei playground e intervistando artisti. Ho lavorato ad alcuni progetti legati alle NBA Japan Games 2022 e a un episodio di NBA Beat, serie che mostra come la NBA ha influenzato i creativi giapponesi. Nella scorsa estate ho prodotto highlights per la lega professionistica 3x3 e seguito come fotografo e videomaker uno dei team femminili del circuito 3x3 FIBA, dal training camp a Tokyo ai tornei in Francia e Israele. Quindi, sempre a Tokyo ho coperto per Rakuten Sports le prime World University Basketball Series, una grande esperienza in cui ho appreso molto sul basket collegiale in Asia, e sto tuttora collaborando con alcune scuole di basket e leghe locali qui nella capitale. Prossimamente sarò attivo a febbraio per Adidas Nations Tokyo e a marzo per il programma AAU Globallers. Infine, ci sono altri progetti in fase embrionale grazie ai quali spero di riuscire a condividere sempre più storie sul basket giapponese.
Ringrazio Jeremy Renault, che evidentemente conosce bene il concetto di kaizen, per la disponibilità e per le splendide immagini che vedi qui. Seguilo sul suo profilo Instagram.
Stelle di montagna
Se ci hai fatto caso, quest'anno le divise NBA City Edition – le uniformi speciali introdotte da Nike sei anni fa per celebrare il legame tra le franchigie e la loro città o territorio di riferimento – sono 29 e non 30. Chi manca all'appello? Gli Utah Jazz. Il che suona un po' strano, considerando che proprio nella corrente stagione la franchigia di Salt Lake City, in concomitanza la ricostruzione tecnica avviata con le cessioni di Donovan Mitchell, Rudy Gobert e Bojan Bogdanovic, ha proceduto anche a un parziale rebranding.
Pur mantenendo il logo con la nota musicale, dal colore dominante blu corredato da giallo e verde scuro i Jazz sono passati a un design molto minimal e bidimensionale basato su bianco (Association Edition), giallo limone (Icon Edition) e nero (Statement Edition) e caratteri in font “bastoni”, grandi e maiuscoli.
Inoltre, come Classic Edition, proseguono nella riproposizione della divisa da trasferta degli anni Novanta (precisamente dal 1996 al 2004), quella viola con la montagna, indossata da John Stockton, Karl Malone e compagni nel loro straordinario viaggio che li ha portati a due finali consecutive – 1997 e 1998 – perse con i Chicago Bulls di Michael Jordan.
Tra novità e tradizione, però, non c'è stato posto per la City Edition, dopo anni in cui aveva riscontrato un discreto successo l'uniforme dai toni caldi il cui gradiente si ispirava ai tramonti del paesaggio locale. Stando alle anticipazioni, la City Edition tornerà nella stagione 2023-24 e anch'essa, come la Classic, prenderà spunto dalle montagne. Un tema su cui i Jazz, anche per motivi storici su cui torno tra poco, devono giocoforza puntare.
A proposito, se ti diverte tenere traccia di tutte le maglie delle squadre NBA, sia nella loro panoramica generale sia riguardo al loro utilizzo giorno per giorno, ti consiglio di seguire questo sottodominio di NBA.com, LockerVision, che per inciso trovo stupendo, mentre qui sul mio blog faccio una personale selezione delle migliori 10 City Edition.
Ti sto raccontando degli Utah Jazz perché a breve, dal 17 al 19 febbraio, Salt Lake City ospiterà l'All-Star Weekend, che ritorna sulle Montagne Rocciose per la seconda volta e a trent'anni esatti dalla prima, nel 1993, quando il premio di MVP venne assegnato congiuntamente, con un perfetto pick and roll, a Stockton e Malone.
Il livello di nostalgia si fa ancor più alto con la recente notizia dell'arena che, dopo diciassette anni, riprenderà a chiamarsi Delta Center, proprio come nel periodo d'oro della franchigia, grazie all'accordo di sponsorizzazione raggiunto con la compagnia aerea statunitense. Se in passato hai provato sentimenti per lo Stockton-to-Malone, per la canotta con la montagna innevata e vuoi commuoverti un po', c'è questo breve video con cui i Jazz annunciano il cambio di nome della propria casa.
Storicamente lo Utah è una delle mete meno ambite dai giocatori NBA, o almeno da quelli che auspicano, accanto all'aspetto agonistico, anche una vita sociale di un certo livello. Questa fama di posto noioso è ben testimoniata dall'impaziente “fuga” di Dennis Rodman in direzione Las Vegas, distante meno di due ore di volo, nel bel mezzo delle fatidiche finali del 1998, in cerca di notti folli.
Salt Lake City, che conta poco più di duecentomila abitanti e supera non di molto il milione nell'area metropolitana, è in effetti una città tradizionalista e conservatrice, in uno stato a netta maggioranza bianca e che tra l'altro, alle partite dei Jazz, in qualche occasione non ha fatto mancare episodi di razzismo. Pensa che in realtà la squadra sfoggia un nome che più black non si può, esportato qui nel 1979 da New Orleans, precedente sede della franchigia e patria del genere musicale in questione, e tale rimasto. Un po' come i Lakers, nati a Minneapolis, zona di laghi, e in seguito migrati a Los Angeles, in riva all'Oceano Pacifico, pur rimanendo “lacustri”.
SLC, poi, oltre che dello Utah è la capitale dei mormoni, adepti di una particolare religione nata verso la metà dell'Ottocento, parte dei quali fondò la città stessa nel 1847. I mormoni controllano buona parte delle imprese e delle istituzioni locali, su tutte la ricchissima Zions Bank, e il loro tempio è l'edificio più importante, insieme – forse – all'arena dei Jazz, unica squadra delle principali leghe professionistiche presente qui, insieme al Real Salt Lake di calcio MLS.
Insomma, a meno che tu non sia un patito sciatore o escursionista, non è proprio il paradiso dei divertimenti. E l'influenza mormone in passato ha creato problemi per calendarizzare partite in casa la domenica, giorno da dedicare al Signore e in cui i postini non consegnano, come sussurrò Scottie Pippen a un Karl Malone in lunetta, facendogli inopinatamente sbagliare due liberi decisivi durante le Finals 1997.
In ogni caso, va detto che l'attuale proprietario dei Jazz, Ryan Smith, grande amico di Dwyane Wade che detiene pure una quota di minoranza, è tutt'altro che un conservatore e la franchigia è ormai allineata alla linea della NBA sul fronte di uguaglianza, inclusione e diritti civili. E resta pur sempre una squadra di culto, grazie all'epopea di Stockton e Malone (e di coach Jerry Sloan, di Jeff Hornacek, di Greg Ostertag...), ai cui fasti nessuno è più riuscito ad avvicinarsi, non Deron Williams e Carlos Boozer, e neppure la grande incompiuta recente sull'asse Mitchell-Gobert.
In definitiva, se a Salt Lake City poche superstar sono disposte a venire a cuor leggero e se religione e politica possono creare divisioni, a mettere tutti d'accordo c'è pur sempre la bellezza del paesaggio. Così la montagna è protagonista anche nell'identità visiva dell'All-Star Weekend (questa), incastonata con i motivi della stella e della nota musicale, il tutto nei colori adottati dai Jazz da questa stagione.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
C'è una nuova firma su Never Ending Season: Maria Barone. Benvenuta! Nel suo articolo d'esordio ha raccontato la passione per il basket dell'artista Danksy: leggilo qui.
Visto che prima ti ho parlato di Giappone accennando a Slam Dunk, vediamo se ricordi questa location!
La Final Four di Eurolega si disputerà a Kaunas, Lituania. Andiamo alla scoperta della Zalgirio Arena.
Intanto anche la nostra Serie A, come la NBA, ha il suo Instant Replay Center da remoto: ce lo presenta Legabasket.it.
A proposito, c'è stata una dubbia tripla di Ky Bowman con cui Brindisi ha battuto la Virtus Bologna. Al di là di tutto, la squadra pugliese ha compiuto una pazzesca rimonta da -24: guarda gli highlights.
In vista della Final Eight di Coppa Italia a Torino (15-19 febbraio), c'è gran fermento nel basket italiano: qui l'intervista al presidente di LBA Umberto Gandini su Beesness Magazine, riportata sempre da Legabasket.it.
Carino, comunque, questo nuovo magazine di business: qui puoi sfogliare tutto il primo numero. In bocca al lupo!
Tra i giocatori NBA è scoppiata la passione per il brand italiano di moda Marni: lo riferisce Lorenzo Bottini su NSS.
Raffaele Ferraro, fondatore de La Giornata Tipo, ha parlato di basket e comunicazione nel podcast Area 52: guarda il video su Twitch.
Alessandro Austini su Il Post fa il quadro sulla difficile situazione degli impianti sportivi a Roma.
E Francesco Costa, che de Il Post è vice direttore, esperto di Stati Uniti e host del podcast Morning, in modo veloce ma esauriente ha parlato con i Runlovers su Fuorisoglia di come è vissuto lo sport in America: ascoltalo qui.
Dirk Nowitzki è uno dei miei preferiti in assoluto e non potevo esimermi dallo scrivere qualcosa sulla statua in suo onore che hanno tirato su a Dallas: trovi tutto qui.
Dario Vismara su l'Ultimo Uomo ti spiega perché in NBA si sta segnando così tanto.
Che piacciano o meno, i Golden State Warriors sono la squadra che sta rappresentando la NBA dentro e fuori dal campo. Marc J. Spears di Andscape li ha seguiti nel loro incontro con la famiglia di Martin Luther King e nella visita alla Casa Bianca (in inglese).
Scottie Pippen ha lanciato una collezione di scarpe da basket virtuali in NFT che sono andate esaurite in 77 secondi: il sito è questo.
Se mastichi l'inglese e hai tempo, fermati un po' a leggere le storie di Local Hoops, persone che hanno trasformato la passione per il basket nel loro lavoro. Sono tante e belle, le trovi tutte qui.
Letizia Bimbo su Overtime traccia un ritratto completo di Rhyne Howard, la giocatrice in ascesa delle Atlanta Dream e del Famila Schio.
Il logo del prossimo All-Star Game della WNBA a Las Vegas: lo descrive Beyond The W (in inglese).
Gli Harlem Globetrotters raccontati da Fabrizio Zanni su Style, il magazine del Corriere della Sera: l’articolo qui.
Luca Pierattini su GQ ci dice qualcosa sul nuovo videogame mobile NBA All-World.
Ti ricordi il NIL (Name, Image & Likeness), la norma con cui anche gli atleti universitari possono firmare contratti di sponsorizzazione? Isabella Agostinelli su Basketballncaa.com fa il punto della situazione dopo un anno e mezzo.
Se hai un paio d’ore libere, guarda sul canale YouTube dei BIG 3 la speciale live Campus x Campus di Riccardo Pratesi: un viaggio attraverso i college USA con le testimonianze di un giornalista che li ha girati in lungo e in largo.
Le fantastiche illustrazioni di Andrew Archer che saranno parte del secondo numero di Overseas, in lavorazione.
Alcuni libri usciti da poco o in arrivo:
Per 66thand2nd Dove non c'è promessa del domani, il memoir autobiografico di Carmelo Anthony.
Sempre per 66thand2nd Simone Marcuzzi firma LeBron James e l'America, out ad aprile.
Magazzini Salani ha ripubblicato in italiano Bad as I wanna be, l'autobiografia di Dennis Rodman scritta nel 1996 com Tim Keown.
In inglese, No fear in the arena di John Willkom sulla storia di Travis Diener, giocatore che ha anche vestito la maglia azzurra. Entrambi hanno giocato a livello NCAA a Marquette.
Per quanto riguarda i film:
Underrated, il documentario su Steph Curry, ha debuttato al Sundance Film Festival nello Utah (sì, c’è anche qualcos’altro laggiù…).
Il 5 aprile esce in sala, e successivamente su Prime Video, Air, il film sull’accordo tra Nike e Michael Jordan. Matt Damon è Sonny Vaccaro, mentre Ben Affleck ha la parte di Phil Knight, il fondatore Nike.
Per finire, questo è il documentario sul playground romano del Celio intitolato a Davide Ancillotto. È il "playground degli artisti", dove si incontrano rapper e street artist con la passione per il basket di strada. Il video è stato realizzato dal magazine Sportmemory.it, per il progetto Roma Sport Sociale, dedicato a sei luoghi critici della capitale in cui lo sport ha migliorato la vita delle persone.
Conclusioni
Eccoci alla fine di questo numero 25 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter.
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È tutto, ci vediamo il 28 febbraio. Ciao, buon All-Star Game e buona Final Eight!