La partita delle celebrità
#14 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi il Celebrity Game, una nuova serie tv molto showtime e un progetto FIBA
Ciao, se non hai mai desiderato giocare al Celebrity Game della NBA, non sei nessuno.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il quattordicesimo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season, dove ti parlo di basket come cultura e stile di vita.
Nella scorsa uscita (se l'hai saltata, recuperala qui) ho trattato un tema impegnativo come NFT e metaverso, i 1000 numeri di Spicchi d'Arancia e il nuovo film di Slam Dunk.
Oggi invece facciamo un salto indietro di una settimana o poco più, in quel di Cleveland, dove si è svolto l'All-Star Weekend. Un evento aperto ogni anno dalla partita delle celebrità. Che no, non è una canzone di Max Pezzali.
Sentirsi un po’ All-Star
Ti racconto una cosa particolare di me, e già siamo a due, dopo averti rivelato l'ultima volta che non bevo caffè (ma puoi offrirmene uno virtuale qui, a sostegno di Galis). La stranezza è questa: ho il mio All-Star Game personale. Boom!
Sì, esatto. Da ben ventidue anni, verso luglio, intorno al mio compleanno, si gioca il Francesco Mecucci Star Game. Per l'occasione raduno i miei amici di sempre e qualche special guest. Ah, non è una partita di basket – tra le amicizie più strette non ho praticamente nessun cestista – ma di calcetto.
Tutto molto alla buona: affittiamo un campo, offerto dal sottoscritto, e giochiamo, come migliaia di giovani e meno giovani ogni sera. Però lo spirito con cui organizzo questa partita fin dal lontano 2000 è davvero quello di un All-Star Game: è annuale, c'è il trofeo per la squadra vincitrice – da qualche anno usiamo una riproduzione della Coppa del Mondo! – si assegna il titolo di MVP e quello per il miglior gol. E le “stelle” sono loro, i miei amici, rapporti che in gran parte durano da una vita.
L'aspetto divertente è che nel corso degli anni questa tradizione, iniziata più o meno per scherzo, si è incredibilmente mantenuta e consolidata, tanto che ormai quasi ci tengono più loro di me. Così, attorno a una semplice partita di calcetto, si è sviluppata tutta una serie di consuetudini, bonarie rivalità, complessi di superiorità/inferiorità tra le due squadre, ma anche clamorosi ribaltamenti di pronostico, desiderate rivincite, persino cura delle statistiche, che rendono l’appuntamento piuttosto sentito. Già che ci sono, prima di passare (giustamente) ad altro, ti dico gli strani nomi delle contendenti: i miei Pirates, più seriosi e tradizionalmente favoriti, contro l'Atletico Maddeché, più istrionici e meno accreditati, ma sempre combattivi. Quest'anno andrà in scena l'edizione numero 23!
Perché la mia mente deviata ha partorito questa cosa? Semplice: perché da teenager ero talmente entusiasmato dalle dinamiche dell'All-Star Game NBA che, come in un gioco, ho voluto creare la “mia” partita, coniugando la condivisione di momenti di amicizia con la mia naturale passione per lo sport.
Pensaci, infatti: anche se ai fini della stagione agonistica non conta nulla, l'All-Star Game è un happening in cui la NBA celebra se stessa radunando i suoi migliori rappresentanti in quello che, in sostanza, è un evento di pubbliche relazioni. Inoltre, visto che si disputa a metà febbraio, mi piace considerarlo una specie di San Valentino del basket: una festa a cui, nonostante non sia indispensabile, tutti finiscono per prestare attenzione e voler partecipare. In fondo l'All-Star Weekend – nome che indica l'intera manifestazione, di cui l'All-Star Game è l’appuntamento clou e finale – è un po' una festa degli innamorati della palla a spicchi, no?
A proposito, quest'anno Steph Curry non si è regolato: la foto che ti metto qui è un ottimo riassunto della “partita delle stelle” della domenica sera.
Ciò che invece pochi sanno è che, dal 2003, l'evento di apertura dell'All-Star Weekend è l'NBA All-Star Celebrity Game, nel pre-serata del venerdì. Lo reputo una trovata geniale per promuovere il basket: una partita che mette insieme sul parquet celebrità di musica, spettacolo, televisione, giornalismo e altri sport, più vari ex NBA e giocatrici WNBA. Un momento assolutamente frivolo e glamour, il quale però unisce gli ambiti di cui sopra alla pallacanestro, il che si sposa in pieno con la linea di questa newsletter e del mio blog.
Ti riporto una significativa dichiarazione di Gianluca Gazzoli, conduttore radiofonico e televisivo e testimonial delle Final Eight di Coppa Italia, in merito al ruolo del basket nella società contemporanea:
Si tratta dello sport più trasversale in assoluto: ruota attorno alla musica, alla moda, all'underground. Può parlare davvero a tutti.
Il Celebrity Game si gioca di solito in un'arena secondaria e riscuote interesse soprattutto negli Stati Uniti, perché vi partecipano personaggi noti più che altro al pubblico americano, come nel caso di anchorman e opinionisti.
In quest'ultima edizione, però, dal nostro punto di vista è stato tutto diverso. Perché in campo c'era un international, come loro chiamano chiunque provenga da fuori gli USA. E non è mai scontato che, canadesi a parte, gli stranieri siano invitati allo show. E questo international era un italiano, per la precisione. Uno degli sportivi azzurri più genuini e amati. Un campione olimpico. Ma soprattutto una persona che sa riconoscere il valore di un sogno: Gianmarco Tamberi. È grazie a lui che si è parlato del Celebrity Game persino sui tg generalisti.
Allora, della mia fascinazione per l'All-Star Game ti ho già detto: me ne sono creato addirittura uno personale. Non oso quindi neppure immaginare il livello di felicità raggiunto da “Gimbo”, uno che spesso dopo le gare di salto in alto si muove in cerca di campetti e palestre fermandosi a giocare insieme a perfetti sconosciuti, nel partecipare da protagonista al vero All-Star Weekend, condividendo gli stessi posti e scambiando battute con i grandi della NBA e le celebrità dello star system.
Le sue storie su Instagram, nei giorni di Cleveland, sono state un inno alla felicità applicata alla pallacanestro, l'apoteosi dell'entusiasmo di un ragazzo che, dopo essersi preso quell'oro olimpico che un infortunio gli aveva negato cinque anni prima, è riuscito a vivere un ulteriore sogno grazie allo sport di cui è follemente innamorato, gustandosi ogni istante di questa esperienza, come un bambino al parco divertimenti. Uno stato d'animo ben espresso anche nei momenti collaterali, come l'allenamento con Chris Brickley, il preparatore atletico delle star NBA, in una palestra di liceo (la Saint Ignatius High School) che sembrava uscita da un film.
La prestazione, poi, è stata superlativa: sul parquet del Wolstein Center, l'arena da 13.000 posti della Cleveland State University utilizzata anche dai Cleveland Charge di G League, ha segnato una doppia doppia da 15 punti e 10 rimbalzi.
A spopolare sui social le due schiacciate, in particolare la prima, in cui vola sopra il canestro – e chi altro ci arriva, lassù? – correggendo un rimbalzo sulla tripla di un compagno. Un highlight grazie al quale, il giorno dopo, è stato riconosciuto da Ja Morant, e poco importa se LaMelo Ball, per motivi commerciali, in un tweet abbia dato il merito alle scarpe... (i due condividono lo stesso sponsor tecnico, Puma, e “Gimbo” indossava la signature shoe di Ball, la MB.01, nella versione a due colori fluo che si chiama Rick & Morty).
L'MVP non è stato Tamberi, la cui squadra ha perso 65-51, ma il trainer e influencer Alex Toussaint. Quisquilie. In questi casi l'unica cosa che conta è godersi tutto fino in fondo, anche gli aspetti più singolari, come ritrovarsi per compagni di squadra il sindaco di Cleveland, la cantante Anjali Ranadivé figlia del Vivek proprietario dei Sacramento Kings e un giocatore NFL, e per avversari Anderson Varejao, il rapper Quavo e l’attrice e modella Brittney Elena.
Le divise, quella della squadra bianca ispirata agli anni '90 e quella nera alla street art, sono state disegnate da giovanissimi creativi americani coinvolti da Converse. Ah, e l'allenatore di Gianmarco era Dominique Wilkins, quello degli altri Bill Walton. Comprì?
Chiuso il capitolo Tamberi, ne approfitto per raccontarti alcune curiosità che costellano la quasi ventennale storia del Celebrity Game.
Per cominciare, le regole: si deroga un pochino dal basket ordinario. Ad esempio, come se le celebrità avessero altro da fare quella sera, la partita scorre via più veloce: i quattro periodi sono di dieci minuti ciascuno, simili all'area FIBA, ma il tempo è effettivo solo negli ultimi due di ogni quarto. Poi, la più clamorosa: il tiro da quattro punti, che puoi scagliare da oltre l'arco posto a una yard (91 centimetri) da quello del tiro da tre e ha una finalità solidale, perché per ogni 4-pointer messo a segno viene devoluta una somma in beneficenza.
Come ogni All-Star Game che si rispetti, anche il Celebrity Game ha il suo premio di MVP. Con qualche controindicazione, però: dal 2011 è votato dal pubblico in arena e da quello a casa via sms e social. E quindi può capitare che l'idolo dei giovanissimi Justin Bieber, proprio in quell'anno, venga nominato miglior giocatore nonostante statistiche individuali non proprio eccelse e la sua squadra avesse pure perso.
Allo stesso modo, nel 2014 a New Orleans, il popolare attore afroamericano Kevin Hart (visto nei sequel di Scary Movie e di Jumanji) cede il premio di MVP al... segretario all'istruzione degli Stati Uniti d'America, Arne Duncan, che in campo aveva meritato molto più di lui. Hart, comunque, è colui che ha vinto più volte l'MVP, per quattro anni di fila dal 2012 al 2015, incluso quello ceduto. In merito ad Arne Duncan, fai conto che è come se in Italia un ministro prendesse parte a gare di beneficenza insieme a cantanti e attori...
I nomi delle squadre: non c'è mai stata una gran fantasia. Il più delle volte East vs West, o Team Tizio contro Team Caio (spesso leggende NBA o giornalisti di ESPN). I più affascinanti e meglio azzeccati per me restano quelli del 2009 a Phoenix, la città dei Suns: da una parte gli East Sunrisers di coach Julius Erving (con Dominique Wilkins in campo), dall'altra, sconfitti, gli West Sunsetters di coach Magic Johnson (con Clyde Drexler e “Thunder” Dan Majerle ai suoi ordini sul parquet). MVP l'ex NFL Terrell Owens, che bissa il titolo del 2008 quando comparve all'improvviso a gara in corso. Sì, può succedere anche questo, è tutto spettacolo no? Come dimenticare, del resto, l'indimenticabile edizione di Las Vegas nel 2007, quando Jamie Foxx dà buca all'ultimo perché ha un concerto la stessa sera, Donald Faison cambia squadra durante la partita e per alcuni minuti entra anche la mascotte degli Utah Jazz?
Visto che è l’All-Star Game delle celebrità, ti faccio un breve elenco random di quelle più note anche a un pubblico non americano che ne hanno preso parte: Justin Timberlake, Snoop Dogg, Nelly, Ice Cube, Common – non devo certo ricordarti io il legame tra musica rap e basket, vero? - Flea dei Red Hot Chili Peppers, Tim McGraw, Michael Rapaport, Nick Cannon, David Arquette, Jason Sudeikis, Pitbull, Michael B. Jordan. Tra gli sportivi, oltre ai tanti grandi nomi NBA, il pugile Floyd Mayweather, il velocista Usain Bolt, svariati professionisti del football, il mitico cestista brasiliano Oscar Schmidt, ma anche il proprietario dei Dallas Mavericks Mark Cuban. Non mancano alcune delle maggiori giocatrici WNBA di sempre: Becky Hammon, Ticha Penicheiro, Tamika Catchings, Lisa Leslie, Sue Bird, Maya Moore, Candace Parker, Diana Taurasi, Nneka Ogwumike e altre. Infine, per elevare il tasso di spettacolarità sono spesso convocati un paio di elementi degli Harlem Globetrotters. E ora anche Gianmarco Tamberi fa parte di questa storia.
Il primo Celebrity Game si svolge ad Atlanta nel 2003, MVP il cantante soul Brian McKnight. E “musicali” sono i nomi delle squadre: Kenny Smith & The Jets vincitori su Sir Charles & The Court Jesters (Smith e Barkley sono lì in qualità di analisti TNT). La squadra del primo schiera Muggsy Bogues e Manute Bol, 1,60 uno e 2,31 l’altro, mentre dall'altra parte un altro piccoletto terribile come Spud Webb gioca con un grande centro, il compianto Moses Malone.
L'edizione 2015, a New York, è la prima a essere disputata in un'arena NBA: il Madison Square Garden, mai sentito? In campo l'attore Chadwick Boseman, noto per Black Panther ma anche per i film sportivi 42 e Draft Day, scomparso a soli 43 anni nel 2020. Allenatori Mike Golic e Mike Greenberg di ESPN, con assistenti Spike Lee (!), Pete Sampras (!!), Carmelo Anthony e... Isaiah Austin. Chi? La stella di Baylor University con una luminosa carriera NBA davanti a sé, ma a cui deve rinunciare per la sindrome di Marfan, e che poi riesce a costruirsi una carriera in Europa, Asia e America latina. Si è appena ritirato, a ventotto anni, ed è entrato nel front office della NBA.
Significativo il contenuto sociale dell'All-Star Game 2019 a Charlotte, quando sono convocati Jason Weinmann, un marine che utilizzò il proprio veicolo militare per salvare persone da un uragano e James Shaw Jr., un elettricista che disarmò un uomo durante una sparatoria.
Infine, sulle panchine del Celebrity Game si sono susseguiti allenatori e allenatrici un po' speciali: P. Diddy e Ashton Kutcher nel 2004 (assistente del primo Paris Hilton!), Queen Latifah (la protagonista di Rimbalzi d'amore insieme a Common) ed Eva Longoria (la “casalinga disperata” ex compagna di Tony Parker) nel 2006; Gabrielle Union (attuale moglie di Dwyane Wade) e l’attrice Alyssa Milano nel 2008; i volti femminili di ESPN Katie Nolan e Rachel Nichols nel 2018; Drake nella sua Toronto nel 2016.
Però l'edizione che voglio ricordarti di più per i suoi coach è quella del 2013 a Houston. Sulla panchina dell'Est LeBron James, su quella dell'Ovest Kobe Bryant, che prevale nettamente, 58-38. E figurati se non abbia dato il massimo per vincere anche il Celebrity Game... Ci manchi Kobe!
It's Showtime!
Resto in tema di spettacolo perché tra pochi giorni – il 6 marzo su HBO Max, visibile solo negli USA e in 15 paesi europei ma non in Italia – arriva una cosetta interessante: Winning Time, la nuova serie tv di HBO sulla dinastia dei Los Angeles Lakers anni '80. L'aspetto più importante è che non si tratta di un documentario, ma di una serie recitata. Ovvio, mi vien da pensare: siamo o no nella città di Hollywood?
Il cast potrei definirlo abbastanza stellare: Adrien Brody è coach Pat Riley, per esempio. Ma non è lui il protagonista, perché a quanto pare la storia, in dieci episodi, si svilupperebbe attorno all'ascesa di Magic Johnson e del proprietario Jerry Buss, coloro che di fatto costruirono, in campo e fuori, l'epopea dello Showtime. Ed è Buss, fattore non secondario, a introdurre Earvin Johnson Jr. detto Magic nella dolce vita di L.A. Perché questa è una serie tv, giusto? Infatti, oltre al basket, non mancheranno trame amorose, sesso e quant'altro.
Nel ruolo di Buss c'è John C. Reilly, tra l'altro non nuovo a film sportivi, seppur un po' datati: in Gioco d'amore al fianco di Kevin Costner come ricevitore dei Detroit Tigers (baseball, ovviamente), in Giorni di tuono come car chief di Tom Cruise nel mondo dell'automobilismo Nascar. Per interpretare Magic è stato scelto Quincy Isaiah, in pratica un debuttante, proprio come Johnson nel 1979. E, curiosamente, nativo anche lui del Michigan.
E poi: Jason Clarke è Jerry West, Jason Segel è Paul Westhead, Hadley Robinson è Jeanie Buss, Sally Field (la mamma di Forrest Gump) è una madre anche qui, Jessie Buss. Sai chi c'è, pure? Gaby Hoffmann. Magari il nome non ti dice nulla, però sappi che era lei, quando aveva sette anni, Karin Kinsella, figlia di Ray alias Kevin Costner (ancora!) protagonista de L'uomo dei sogni (e ancora baseball). E ne aveva undici quando ha interpretato Jessica, amichetta di Jonah Baldwin, figlio di quel Sam alias Tom Hanks protagonista di Insonnia d'amore (se ti domandi perché abbia nominato un film che nulla a che fare con il basket e lo sport, te lo spiego qui). In Winning Time la Hoffmann, oggi quarantenne, recita nella parte di Claire Rothman, manager del Forum di Inglewood, l'arena di quei Lakers.
Se vuoi conoscere qualcosa di più sul cast, leggi questo mio post. Per ora mi soffermo su un paio di ulteriori attori. Norm Nixon è interpretato da suo figlio DeVaughn, mentre per Kareem Abdul-Jabbar ci si è affidati a un altro esordiente, Solomon Hughes, con alle spalle un passato in NCAA a California Berkeley e da professionista nelle leghe minori USA. D’altronde, trovalo te uno alto minimo 2,10 con esperienza sia di cinema che di basket!
Non si sa ancora nulla sull'uscita italiana, per la quale speriamo, per chi non vuole guardarla in lingua originale, che venga effettuato un doppiaggio di qualità. Al momento, quindi, devi accontentarti del trailer e dei poster, e io già mi sono innamorato di questi font vintage. Pronto a tornare a Los Angeles nel 1979?
Basketball For Good
Ho scambiato due parole con il mio amico Domenico Barbato, uno dei 30 Youth Leader di Basketball For Good, il programma internazionale di FIBA Foundation che promuove la pallacanestro come strumento di cambiamento e inclusione sociale, con particolare attenzione a bambini e ragazzi, mini basket, streetball e 3x3.
Domenico, il cui entusiasmo è qualcosa che consiglio a tutti, è uno dei due italiani selezionati per l'annuale Global Youth Leadership Seminar (l'altra è Paola Giuntini, già Young Leader del CIO), su un totale di 30 giovani (17 donne e 13 uomini) provenienti da 22 paesi di Africa, Americhe, Asia, Oceania e per la prima volta Europa.
Ti spiego in breve come funziona. Attraverso otto webinar su vari temi (gestione pedagogica dei conflitti, fundraising, modelli economico-aziendali, leadership, uguaglianza di genere ecc.), realizzati in collaborazione con la ONG danese Game specializzata nella promozione dello sport di strada, ogni Youth Leader propone un progetto a sfondo sociale, con l'ausilio di un mentor individuale, che preveda l'utilizzo del basket per creare un impatto positivo nella propria comunità.
I webinar sono iniziati lo scorso agosto e quindi si sta passando alla fase operativa. Domenico sta lavorando con grande dinamismo a un progetto per la riqualificazione di un playground a Milano, la sua città, nell'area di Via Padova, caratterizzata da una forte presenza di cittadini immigrati, con l'obiettivo di contribuire all’integrazione di bambini e famiglie attraverso la potenza del basket. Auguro a lui, così come agli altri, di riuscire a realizzare il tutto. La mission di Basketball For Good è proprio quella di incoraggiare i giovani a prendere parte attiva nelle loro comunità, dando loro strumenti concreti per guidare un miglioramento sociale attraverso lo sport, nel rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Dal 2016 a oggi, i programmi di FIBA Foundation hanno coinvolto oltre 35.000 bambini in 157 paesi offrendo loro la speranza di un futuro migliore, e ulteriori 200.000 ne hanno indirettamente beneficiato tramite l'azione degli Youth Leader.
Shootaround – Consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Febbraio non è solo il mese dell'All-Star Game NBA, ma anche quello del Super Bowl con i suoi spot milionari. Ce n'è uno di Crypto.com in cui LeBron James parla con se stesso diciottenne. Guardalo qui.
I vincitori dell'All-Star Weekend hanno sollevato questi trofei, tutti nuovi.
Oggi il logo dell'All-Star Game è un po' standardizzato, ma in passato i designer tiravano fuori robe molto belle: ho selezionato i 7 migliori, secondo me.
Ancora Cleveland. Semmai ti chiedessi che fine abbia fatto il parquet del Richfield Coliseum, l'arena dove i Cavs hanno giocato fino al 1994, ti risponde Antonio Cunazza di Archistadia, e la storia è particolare.
Cesare Milanti di Overtime ti porta a Toronto, raccontando come Vince Carter ha cambiato il volto sportivo della metropoli canadese. Ecco il pezzo.
CJ McCollum ha salutato i Portland Trail Blazers con questa lettera su The Players' Tribune (in inglese). Se vuoi leggerla in italiano, l’ha tradotta Backdoor Podcast.
Damian Lillard, invece, avrebbe intenzione di restare a Portland, come ha spiegato, parlando anche di altro, in questa intervista ad Adam Caparell su Complex (in inglese).
Clamoroso l'inserimento di Enes Kanter Freedom tra i candidati al Premio Nobel per la Pace. Eduardo Accorroni lo ha intervistato per Contrasti.
Sempre sul giocatore turco e sulle sue vicissitudini, Il Post fa - come suo solito - un ottimo punto della situazione.
Su The Shot, Alessandro Petrini passa in rassegna i ritrovi dei tifosi Nets a New York.
Bella la casa di Devin Booker, vero?
Le donne che amano il basket stanno andando matte per il pallone in edizione limitata realizzato da Wilson insieme a Tiffany & Co. e all'artista e direttore creativo dei Cavaliers Daniel Arsham. Puoi vederlo nel pezzo di Fabrizio Giuffrida su Outpump.
Sempre Giuffrida ci informa che Don C è il nuovo consulente per strategia e design dei Chicago Bulls, la squadra della sua città.
La scuola di Earl Monroe a New York, che prepara i ragazzi a carriere nel basket, descritta da David Gardner di SLAM (in inglese).
Nick Fiumi di Backdoor Podcast ti conduce nel meraviglioso mondo del Valencia, qui.
La Virtus Bologna ha aperto le porte a una cinquantina di manager di aziende selezionate e poi li ha portati alla partita di EuroCup. Ecco il teaser.
Parliamo di Coppa Italia. Gianluca Gazzoli racconta a Francesco Gottardi de Il Foglio la sua passione per il basket e la formula vincente della Final Eight. Leggi l'intervista qui, se sei abbonato. Se non lo sei, trovi ampi stralci qui.
Sempre a Pesaro hanno inaugurato un playground hi-tech. Eccolo.
E anche quest'anno Erreà ha realizzato la capsule collection per la Final Eight.
Roberto Gennari ha intervistato Marco Ramondino, coach del Derthona, per La Giornata Tipo. Una bella chiacchierata.
Molto interessante anche questa intervista a Davide Piasentini (La Gazzetta dello Sport) a cura di Davide Tonoletti (Vite di Sport), in cui si parla di giornalismo sportivo e passione per la scrittura, anzi di passione in generale, motore di tutto.
Su Spotify o Apple Music puoi ascoltare Suddenly, il primo album rap di Jaren Jackson Jr. dei Memphis Grizzlies, in arte Triple J.
Qui ho recensito The Jordan Rules di Sam Smith, uscito in italiano nel 2020.
E qui il sorprendente Unguarded di Scottie Pippen. Dopo The Last Dance, aveva tutto il diritto di dire la sua, no?
Zitti zitti, sono passati dieci anni dalla Linsanity. The Ringer ha mostrato un fumetto scritto proprio da Jeremy Lin e tratto dal libro “Rise” di Jeff Yang, Phil Yu e Philip Wang, che parla dell'ascesa degli asio-americani (in inglese).
E, sempre su The Ringer, Daniel Chin rievoca quella meravigliosa follia (in inglese).
Alex Squadron di SLAM racconta la storia di Mitchell & Ness, l'azienda da cui potresti aver acquistato una canotta NBA. Leggila qui (in inglese).
Alle radici di Nicolò Melli con un pezzo intimo di Davide Giudici su La Giornata Tipo.
Emanuele Atturo su Siamomine compie un’analisi approfondita sul successo di The Athletic e il futuro del giornalismo.
Il 10 giugno su Netflix esce Hustle, con Adam Sandler e... Juancho Hernangomez. E molti altri, tra attori famosi e giocatori NBA. Guarda il teaser ufficiale.
Conclusioni
Eccoci giunti alla fine di questo numero 14 di Galis. Spero che ti sia piaciuto e che continuerai a ricevere la newsletter!
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È tutto, ci vediamo il 31 marzo, in piena March Madness. Ciao!