Welcome to the Space Jam
#8 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi Michael Jordan con Bugs Bunny, il rezball e un fotografo davvero tosto.
Ciao, il bello di uscire l'ultimo giorno del mese è che ad agosto hai tempo di andare in vacanza e di riprendere come se niente fosse, senza saltare nulla.
Io sono Francesco Mecucci e questo è l'ottavo numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season. Qui ti parlo di basket, cultura e lifestyle.
La scorsa volta (se l'hai persa, eccola) ti ho proposto un po' di “pillole” da leggere durante la pausa estiva e come di consueto ti ho suggerito, nella rubrica Shootaround, un sacco di interessanti contenuti dal web legati alla pallacanestro.
Ora sei pronto per la nuova stagione?
Spero di sì, perché tu sai che proprio in queste prime settimane di ripresa c'è un appuntamento molto importante, e non è una partita!
Quelli del ‘96
Ci siamo, o quasi. Il 23 settembre nelle sale cinematografiche italiane farà la sua apparizione Space Jam. New Legends. Come ti ho già detto in varie occasioni, nella versione originale – già fuori dal 16 luglio negli Stati Uniti – il titolo è Space Jam. A New Legacy, che è più carino, ma il termine legacy nel contesto generalista nostrano avrebbe probabilmente incontrato qualche difficoltà di comprensione.
In ogni caso, a distanza di venticinque anni la Warner Bros. torna a riproporre sul grande schermo i Looney Tunes che giocano a basket insieme al giocatore più rappresentativo del momento: Michael Jordan allora, LeBron James oggi. E contro una squadra di “cattivi”. Tu c'eri, la prima volta? Qual è il tuo ricordo dello Space Jam '96?
A parte le inevitabili anticipazioni, se non veri e propri spoiler, che filtrano un po' da tutte le parti e che nell'attuale realtà dominata dai social e dall'informazione istantanea sono la normalità, ed è questo uno dei motivi per cui amo spesso definirla “società del disturbo” (pensa all’impellente necessità di gestire le notifiche push sul tuo smartphone…), ho preferito evitare ulteriori approfondimenti di ciò che comparirà nel film, né ho voluto trovare il modo di vederlo prima in inglese. Peraltro, avevo già messo insieme alcune curiosità in questo pezzo sul mio blog.
Comunque, per quanto abbia sempre avuto una mentalità aperta alle innovazioni tecnologiche e digitali, che del resto fanno parte del mio lavoro, ritengo che a livello di relazioni umane e di pratiche comuni, come appunto andare a vedere un film al cinema, certe cose debbano rimanere in massima parte come sono sempre state. Credo che il digitale abbia il compito di migliorare le nostre vite e di offrirci maggiori opzioni e possibilità, ma non deve soppiantare i rapporti veri e autentici tra le persone, né la pandemia deve costituire un pretesto per farlo. Quindi, giovedì 23 settembre, o nei giorni immediatamente successivi, mi troverai seduto sulla poltrona di un multisala a godermi, seppur alla veneranda età di 39 anni compiuti, il ritorno sul parquet di Bugs Bunny e della Tune Squad. E con la curiosità di scoprire come se la sia cavata il nuovo protagonista in carne e ossa di questa storia: King James.
Infatti, se il noto coniglio grigio, la sua sexy partner Lola, Daffy Duck, Gatto Silvestro, Taz e tutta la cricca dell'universo Warner Bros. in qualità di cartoni animati hanno l'invidiabile dono di non invecchiare mai, lo stesso non si può dire dell'uomo che condusse i Tunes alla vittoria sui Monstars, celebrando di fatto sé stesso in un film che ha segnato un'epoca. Oggi Michael Jordan ha cinquantotto anni ben portati e altro da fare nella vita, visto che possiede una squadra NBA e non smette di fare soldini con la sponsorizzazione del Paris Saint-Germain.
Così la scena è tutta, ma proprio tutta, di LeBron James. Nonostante una carriera apparsa un pochino in affanno negli ultimi anni, sempre che vincere il titolo 2020 nella “bolla” possa essere annoverato nell'affanno di cui sopra, grazie a Space Jam. A New Legacy ha trovato il modo di restare sulla cresta dell'onda come il giocatore simbolo del basket contemporaneo, dentro e fuori dal campo. Aspetti, questi, ben approfonditi nel recente libro King. La biografia di LeBron James, scritto da Davide Chinellato de La Gazzetta dello Sport, che ho recensito qui e che analizza in modo esauriente i progetti imprenditoriali e sociali, l'influenza e, appunto, la legacy del Re nel mondo di oggi.
Ora, però, non voglio dirti di più sul nuovo film. Avrò modo di farti conoscere le mie impressioni una volta visto. Qui voglio invece raccontarti qualcosa dello Space Jam del 1996.
Ho voluto rivedermelo a casa, giorni fa. Non in VHS, perché non ho più un videoregistratore, anche se sarebbe stato il massimo, ma in un più moderno formato digitale (che almeno però non era in HD!). L'ho riguardato sia per prepararmi alla visione di Space Jam. New Legends, oltre che per scrivere le cose che stai leggendo, ma anche per riscoprirlo, dal momento che non è che mi ricordassi proprio tutto. Infatti, ti confesso che Space Jam non fece questa gran presa su di me, già quattordicenne e molto meno interessato ai cartoon rispetto a prima. Poi, ok Jordan, ok il basket, ma anche a quell'età i film inverosimili – come l'insopportabile Air Bud, ti ricordi quel cane che giocava a pallacanestro? – non mi attraevano più di tanto. E inoltre sono cresciuto a pane e Disney, non Warner Bros.
Resta il fatto che Space Jam è un caposaldo indiscusso della cinematografia cestistica, la quale proprio negli anni '90 raggiunse probabilmente le vette più alte, considerando film quali He got game, Rebound, Blue Chips (con cameo di Larry Bird, presente anche in Space Jam) e Chi non salta bianco è. E se dai un'occhiata ai link che ti ho appena messo, comprendi subito il perché. L'appeal di quel decennio è tuttora molto forte. Non pochi lo considerano l'età dell'oro della NBA, come Davide Torelli, autore del volume So Nineties (disponibile qui), pubblicato da Ultra Edizioni, la stessa casa de Il parquet lucido. Storie di basket, del sottoscritto (acquistalo qui).
L'influenza di Space Jam su chi nei '90 era bambino o teenager è stata assolutamente profonda. Nel mito di Michael Jordan, ha avvicinato tantissimi ragazzi al basket e alla NBA, unendo insieme le passioni per i cartoon e per lo sport. Ma va detto che un quarto di secolo fa il mondo era fin troppo diverso da oggi. Gli highlights dei propri idoli non erano così a portata di mano. Non c'erano Sky, YouTube e Instagram. Film e videocassette ricoprivano ancora un ruolo di primo piano nel diffondere al di qua dell’oceano le gesta dei campioni preferiti.
Quale impatto avrà invece Space Jam. New Legends sui giovanissimi di oggi, abituati ad avere ogni contenuto con pochi tap, che forse già conoscono tutti i dettagli della vita di LeBron e che inoltre potrebbero non amare affatto i Looney Tunes? Contribuirà a creare una nuova generazione di appassionati e cultori della pallacanestro, o rimarrà soltanto un film “personale” in cui James ha voluto inseguire ancora una volta Michael Jordan, ingombrante presenza che lo ispira/tormenta fin da adolescente? Staremo a vedere. Intanto, ti scrivo un po' di appunti scaturiti dalla visione di Space Jam 1.0.
Premessa: se sei un inguaribile nostalgico, è ancora online il sito originale del film. L'indirizzo è questo. E se anche tu hai cominciato a “smanettare” in quel periodo con il linguaggio HTML e con software come FrontPage, magari in un corso pomeridiano a scuola, non provare a trattenere una lacrima. Tra l'altro il cielo stellato come tema di sfondo ricorda la scena iniziale di Space Jam, quella in cui il Jordan bambino tira a canestro a tarda sera nel cortile di casa, incoraggiato dal padre a inseguire i propri sogni.
Durante il film mi è saltata all'occhio una scena che sembra assolutamente attuale. Dopo che i Nerdlucks, gli scagnozzi del malvagio Mr. Swackhammer, per trasformarsi nei Monstars hanno sottratto il talento del basket a cinque giocatori NBA – Charles Barkley, Pat Ewing, Larry Johnson, Muggsy Bogues, Shawn Bradley – questi ultimi diventano completamente inetti a stare in campo, “bloccandosi” come personaggi di un videogioco a cui si è scaricata la batteria del gamepad. Di fronte allo sgomento del pubblico nel vedere quei campioni incapaci di tenere una palla in mano, si ipotizza un virus ed ecco subito spuntare, nel panico generale, delle teorie assurde. Non solo: la stessa NBA decide di sospendere la stagione «fino a quando non potremo garantire la sicurezza dei giocatori», dice un commissioner per nulla somigliante a David Stern. Nel mentre, il Forum di Inglewood, l'arena di Los Angeles dove giocavano i Lakers, viene isolato e oscurato. Ti riporto il dialogo tra il coach Del Harris e i giocatori giallo-viola, nella parte di loro stessi, che confabulano sul da farsi. Tutto ciò non ti ricorda qualcosa?
Coach Harris: «Ragazzi, andate a cambiarvi. La partita comincia tra cinque minuti, se non ci presentiamo ci becchiamo una multa da record».
Vlade Divac: «Niente da fare, noi lì non entriamo».
Cedric Ceballos: «Coach, ha sentito di Barkley ed Ewing? Dev'essere colpa di qualche germe».
Coach Harris: «Cedric, è successo a New York, a cinquemila chilometri da qui».
Anthony Miller: «Batteri e virus a volte hanno una diffusione molto veloce».
Vlade Divac: «E se fosse un'invasione di ultracorpi?»
Voci multiple: «Già, potrebbe essere!»
Coach Harris: «D'accordo, cambiatevi qui in corridoio».
E tutti indossano maschere antigas...
Sorvolando sulla trama, Space Jam è ovviamente una celebrazione della carriera e della figura di Michael Jordan, come viene messo subito in chiaro dalla carrellata di highlights nei titoli di testa. Con tanto di dettagli che spuntano qua e là nel film, come un paio di modelli di Nike Air Jordan (la 9 e la 11, per la precisione) e il vezzo di portare i pantaloncini di North Carolina sotto quelli dei Chicago Bulls. Ma anche un Taddeo che, nella partita contro i Monstars, si esibisce in un tentativo di schiacciata alla jumpman, il futuro logo del Jordan Brand.
Al momento dell'uscita, avvenuta negli USA il 15 novembre 1996, Michael Jordan ha già vinto il primo titolo del secondo threepeat, riprendendosi lo status di giocatore più forte della lega. La sceneggiatura è incentrata sulla decisione di ritirarsi dal basket per giocare a baseball. La prima scena è la conferenza stampa in cui, nel 1993, annuncia l'addio, mentre l'ultima è il rientro in campo con la maglia 45, numero che indossava nei Birmingham Barons, la squadra di minor league affiliata ai Chicago White Sox. Un numero, lasciato poi nell'estate del 1995 per far ritorno all'iconico 23, che in realtà ha profonde radici familiari, come ho scritto in questo post dedicato a tutti i numeri di maglia che MJ ha indossato in vita sua.
Due parole te le devo dire sul personaggio di Stan Podolak, il goffo e zelante addetto stampa e tuttofare personale di Michael Jordan. O meglio, sull'attore che lo interpreta: il paffuto Wayne Knight. Ora, che si chiamasse Wayne Knight, nato a New York nel 1955, l'ho scoperto adesso, perché prima mi era sempre passato di mente, per pigrizia o dimenticanza, di andarmi a cercare su Wikipedia quale fosse il suo nome. Da dove nasce tanta curiosità? Per me lui è Dennis Nedry di Jurassic Park, punto. L'esperto, corpulento, corrotto, avido, ciarliero e mal sopportato programmatore informatico, che ruba gli embrioni di dinosauro e finisce sbranato da un piccolo ma letale Dilophosauro mentre tenta di fuggire dal parco in jeep sotto il diluvio. La sua è una figura ricorrente nei film degli anni '90, tra cui Basic Instinct (in cui è il detective John Corelli) e JFK (nel ruolo dell'assistente procuratore Numa Bertel), oltre che in serie tv quali Seinfeld (il postino Newman), Nip/Tuck, CSI, Law and Order. In Space Jam Wayne/Stan segue ovunque Jordan, anche nel mondo dei Looney Tunes, e finisce per ritrovarsi in campo contro i Monstars. A un certo punto MJ, marcatissimo, lo cerca per un tiro ma Stan viene letteralmente schiacciato dagli avversari. In una situazione molto simile, un anno più tardi, Steve Kerr non deluderà le aspettative dell'illustre compagno di squadra, segnando il canestro decisivo per il quinto titolo NBA dei Chicago Bulls.
La palestra dove si allena la Tune Squad, che cade a pezzi prima di essere rimessa a nuovo dagli stessi Tunes, si chiama Schlesinger Gym e ha l'aspetto di una tipica palestra di high school americana di una volta. Quelle palestre vecchie e piene di fascino, come nel film Hoosiers – Colpo vincente. Ce ne sono ancora molte, negli Stati Uniti, soprattutto in Indiana, anche se diverse di esse abbandonate o dismesse, se non demolite. Non sono riuscito a trovare il vero edificio a cui i disegnatori di Space Jam si sono ispirati, forse non ce n'è uno in particolare. Il nome: sai chi era Leon Schlesinger? Il primo e storico produttore dei cartoni Looney Tunes, che debuttarono nel 1930 nei cinema e furono riadattati per la tv dagli anni '70.
Ultime curiosità a raffica dal vecchio Space Jam.
Parliamo di musica. Non della celeberrima I believe I can fly, troppo facile, bensì del motivetto techno che parte forte mentre la Tune Squad si prepara nello spogliatoio. Il brano è Pump up the Jam dei Technotronic e a quanto pare ci dovrebbe essere un remix nel nuovo film. Intanto, ascoltalo qui.
Lo speaker dei notiziari sportivi è Ahmad Rashad, oggi settantaduenne, ex giocatore di football NFL e successivamente giornalista soprattutto per NBC e ABC. Il suo vero nome è Robert Moore, ma lo ha cambiato in seguito alla conversione all'islam. Amico di Michael Jordan, si è sposato cinque volte, e in quattro occasioni ha divorziato. Si presume che la quinta sia stata quella buona.
Concludo con la divisa della Tune Squad. Meglio la vecchia o la nuova? Per me, la prima, quella di MJ. Non c'è paragone. Più lineare, pulita ed elegante. Il che sorprende, se pensi all'esuberanza cromatica e grafica degli anni '90. Va bene che oggi i gradienti di colore vanno forte, ma non c'è proprio paragone. Oh, sia chiaro, è solo una mia opinione. Poi mi dirai la tua. Buona visione!
Nelle terre del rezball
Hai mai sentito parlare del rezball?
È la contrazione di reservation basketball ed è un termine che indica la pallacanestro giocata nelle riserve nativo-americane, in particolare nei licei. E che è spesso l'unico svago – sia per ragazzi e ragazze, sia per chi li va a vedere – in quei territori sperduti e problematici. Le caratteristiche del rezball sono intensità e alto ritmo in attacco e difesa aggressiva con raddoppi continui, il tutto infervorato dal gran baccano dei tifosi. Su questa realtà c'è una docuserie di Netflix del 2019 che ho visto durante il lockdown e che ha un titolo bellissimo: Basketball or nothing. Racconta passo dopo passo la stagione di basket della Chinle High School di Chinle, in Arizona, ma un'Arizona lontanissima dai contesti urbani di Phoenix e Tucson, per intenderci. Una cittadina di cinquemila abitanti nella desertica riserva Navajo, dove ogni cosa, sport compreso, diventa lotta per sopravvivere e affermarsi, e per sfuggire da cattive strade. Se vuoi approfondire, guardala qui e leggi la recensione che ho scritto qui. Sono sei episodi che vanno via lisci lisci, te li consiglio, a parte il solito, rivedibile doppiaggio in italiano (guardala in inglese o fai finta di non sentire i termini tecnici...). Ma le emozioni non mancano.
Ho tirato fuori l'argomento, e qui mi riallaccio anche a LeBron James, perché proprio la sua SpringHill Company produrrà un film 1) per Netflix 2) sul rezball 3) ambientato nella riserva dei Navajo. Sarà diretto da Sydney Freeland, regista quarantenne di etnia navajo, nonché transgender. Un segnale di come LeBron prosegua forte nel segno dell'integrazione e dell’inclusione, e il cinema sportivo sa essere un'arma potentissima in queste tematiche. Il film, basato sul libro Canyon Dreams di Michael Powell (in vendita qui), racconterà le vicende di una squadra di liceali navajo che, dopo aver perso il miglior giocatore, devono rimanere uniti per aspirare a vincere il campionato statale del New Mexico. Ricorda un po' Friday Night Lights, bellissimo libro e film sul football americano di high school. Sono già molto curioso a riguardo, vediamo cosa ne verrà fuori. In genere quando negli Stati Uniti fanno queste cose, mi fido assai.
Il sogno di Matteo
Oltre a Nico Mannion, Ekpe Udoh e coach Sergio Scariolo, tra gli acquisti di una Virtus Bologna sempre più ambiziosa c'è anche il nuovo fotografo ufficiale, Matteo Marchi. Chi è nell'ambiente del basket lo conosce o ha sentito parlare di lui, perché ha fotografato praticamente tutto, dalle minors ai Giochi Olimpici (guarda qui il suo portfolio). Suo, ad esempio, l’emozionante scatto dell’abbraccio tra Luis Scola e Manu Ginobili ai Mondiali 2019. E sempre sua la foto che a Tokyo ha immortalato la decisiva stoppata di Nicolas Batum a Klemen Prepelic nella semifinale tra Francia e Slovenia.
Il fiore all'occhiello della carriera di Marchi, però, sono i due anni da fotografo dei New York Knicks, culmine di un periodo della sua vita trascorso seguendo la NBA a bordo campo. La storia di questo imolese classe 1982 l'ho appresa, immagino come molti altri e forse anche tu, leggendo il suo “diario americano” che teneva su La Giornata Tipo (lo ritrovi tutto qui). Lì raccontava la sua durissima avventura, iniziata praticamente alla cieca all'età di trentacinque anni, partendo per gli Stati Uniti con in valigia giusto qualche contatto e l'enorme determinazione a diventare un fotografo NBA.
Una rinuncia alla comfort zone “FIBA”, dove era già uno dei professionisti più apprezzati, che lo ha spinto a buttarsi in un mondo in cui a nessuno importava cosa avesse fatto finora, ricominciando tra mille difficoltà e proponendosi da freelance a eventi di ogni tipo per farsi notare e mantenersi in una città come New York, capace di darti e di toglierti tutto in un attimo.
Poi, come nei film, è ecco il turning point, le belle occasioni, le cose che si mettono a posto, e ne esce fuori una specie di favola durata circa quattro anni. E sempre come nei film, arriva pure la batosta, sotto forma di pandemia: il ritorno forzato in Italia, la perdita del lavoro ai Knicks, lo sconforto di ritrovarsi disoccupato e senza prospettive, la tentazione di mollare tutto, la scelta di ricorrere a una psicologa, la graduale ripresa che lo riporta in prima linea almeno in Italia a fotografare competizioni di basket, ciclismo e Formula 1.
Non conosco Matteo di persona. Ma da quanto vedo e leggo, mi sembra che abbia sempre conservato la sua autoironia. Forse è questa una delle cose che l’ha aiutato ad andare avanti. Perché di sicuro è uno che non ha mai smesso di lottare, neanche nei momenti più bui. Consapevole che il talento (e lui ne ha tanto) da solo non basta mai.
Così, pian piano, tornano fiducia e soddisfazioni: entra nella squadra Sony, realizza un progetto con Nike, si guadagna un pass olimpico per Tokyo. Proprio mentre è in Giappone, la chiamata della Virtus. Una sorta di ritorno a casa, che però potrebbe costituire un trampolino di rilancio verso quel sogno che non ha mai abbandonato, quel mondo a cui sente di appartenere, la NBA. D'altronde, se Scariolo e Mannion hanno scelto Bologna, i ponti con l'altra riva dell'Atlantico non sono così impossibili da percorrere. Senza aggiungere altro, riporto le sue parole, perché possono essere di esempio per tutti:
Ho sempre pensato che il segreto per affrontare gli ostacoli che tutti abbiamo nella vita sia la mentalità con cui li affronti. All’inizio del mio viaggio verso gli Stati Uniti non avevo niente, sono andato totalmente alla cieca. E un passo alla volta, con tanta pazienza e un po’ di fortuna, ho ottenuto dei risultati.
Ad maiora, Matteo.
Shootaround – consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Dopo 40 anni di NBA, va in pensione - a 61 ancora da compiere - Jackie MacMullan, una delle più note giornaliste sportive statunitensi. Ha scritto con Larry Bird e Magic Johnson il libro Il basket eravamo noi, edito in Italia da Baldini+Castoldi (lo trovi qui).
Estate piuttosto intensa per Damian Lillard e CJ McCollum. Il primo, oltre a passare un paio di settimane in Giappone vincendo l'oro e a gestire insistenti voci di mercato, nelle vesti di Dame D.O.L.L.A. ha lanciato il suo quarto album rap in studio (ascoltalo qui), Different On Levels the Lord Allows. Il cui titolo altro non è che lo sviluppo dell'acronimo D.O.L.L.A., se non fosse chiaro.
McCollum, invece, è diventato presidente della NBPA, la sempre più influente associazione giocatori, succedendo a un leader come Chris Paul. Ma CJ è uno con le spalle larghe e un ragazzo colto e preparato, che tra le sue mille attività ha anche quella di giornalista e produttore di vino, di cui avevo parlato qui e qui.
Gianmarco Tamberi, dopo il salto in alto che gli è valso la medaglia d’oro a Tokyo, ha esultato mimando il gesto del tiro a canestro. Il basket è la sua grande passione e Matteo Lignelli sul Corriere Fiorentino racconta di quando si unì alla Mens Sana Siena per giocare qualche minuto in un'amichevole contro Pistoia.
Parlando di passioni: Francesca De Mattei gira l'Italia (e non solo) alla scoperta di playground da raccontare nel suo blog Viaggio in Lunetta. L'ho intervistata qui.
Restando in tema campetti, e che campetti, hanno iniziato a ristrutturare Rucker Park, a New York. Sarà pronto a ottobre. Promuove il progetto la NBPA - sì, quella di poco fa, con presidente McCollum - insieme a NYC Parks, il dipartimento cittadino dei parchi pubblici. Se vuoi saperne di più, c’è un sito dedicato (in inglese).
Intanto su Netflix c’è Untold: Rissa in NBA, il documentario sulla mega rissa del 2004 nota come Malice at the Palace. Se vuoi vederlo, entra qui. Ne ha scritto anche Davide Piasentini su La Gazzetta dello Sport, qui (solo abbonati).
Tra i doc in lavorazione c’è invece Underrated, sull’ascesa di Steph Curry, che pone l’accento sugli anni del college a Davidson. Ryan Coogler è il produttore. Sky Sport dà un po’ di dettagli.
E con i documentari non ho ancora finito, anzi questa è bellissima: Al Jazeera ne realizzerà uno su Tam Tam Basketball, la squadra di Castel Volturno fondata da Massimo Antonelli e composta da figli di immigrati africani, di cui si è parlato spesso negli ultimi anni come esempio di inclusione e integrazione. Ne riparlerò di certo.
Il campo di gioco del PalaVerde di Treviso abbandona il… verde, per lasciare spazio a un nuovo parquet caratterizzato dall’azzurro, colore del club attuale e della città. Qui, in time-lapse, lo smantellamento e la sostituzione del glorioso parquet incrociato, ispirato a quello del Boston Garden, che ha vissuto le glorie della Benetton.
A proposito di colori, i Phoenix Suns hanno anticipato una delle nuove divise, un omaggio alla cultura azteca.
E Nike ha preparato tre uniformi speciali per il 75° anniversario della NBA che indosseranno Boston Celtics, New York Knicks e Golden State Warriors. Eccole.
Se invece vuoi sapere cosa c'è dietro i numeri di maglia dell'Olimpia Milano 2021-22, te lo spiega Alessandro Maggi su Sportando.
SLAM ha lanciato una pubblicazione cartacea di grande formato sulla storia di Adidas nel basket (in inglese), da Kareem Abdul-Jabbar a Jalen Green. La cover è top! Per info e acquisti, entra qui.
E sempre SLAM, a firma di Deyscha Smith, fa un ritratto di Beija Velez, la modella e creativa di Atlanta che disegna scarpe e palloni, tra cui uno degli ultimi Wilson per la WNBA. Qui l’articolo (in inglese).
In tempi di mercato NBA, ecco la “bibbia” del salary cap, sempre aggiornata su Overtime da Luca Falconi.
Si è parlato molto di Australia nei giorni dei Giochi Olimpici. Se vuoi continuare a seguire il basket down under, c’è l’ottima newsletter The Pick and Roll (in inglese), che in questo numero ha parlato di Michael Ah Matt, il primo atleta aborigeno a partecipare ai Giochi. Quando? Nel 1964. Dove? A Tokyo. In quale sport? Nel basket.
Common Practice è una pubblicazione di New York, dedicata al rapporto tra basket e arte contemporanea. Questo è il suo profilo Instagram.
E questo è Russell Westbrook in maglia Los Angeles Dodgers, così.
Ovviamente era lì per un simbolico “primo lancio”, come fanno spesso le celebrità ospiti di partite MLB.
Giannis Antetokounmpo, invece, si è comprato davvero una quota dei Milwaukee Brewers. Un greco ateniese di origine nigeriana diventa campione NBA e investe nel baseball, sport a lui sconosciuto fino ai vent’anni, per cementare il rapporto con la città a cui deve tutto. Il mondo e la vita sono bellissimi.
Conclusioni
Prima di salutarci, torniamo un attimo a Bologna. Voglio raccontarti brevemente dell'evento a cui ho avuto l'onore e il piacere di partecipare, lo scorso 30 luglio. Sono stato ospite di una delle serate della prima edizione di Libri e Storie di Sport, festival di scrittura e letteratura sportive, all'interno della serata dedicata alla pallacanestro (qui il sito). Il palco era allestito nel playground dei Giardini Margherita, una sorta di Rucker italiano dove ogni estate va in scena il noto torneo (e che il prossimo anno, come il sottoscritto, compirà quaranta anni). Ho condiviso la scena con giornalisti e autori quali Christian Giordano di Sky Sport, Dario Ronzulli, grande esperto di basket bolognese e non solo, Filippo Venturi, che ha curato Clamoroso, l'autobiografia di Gianmarco Pozzecco, altre firme importanti come il veterano Enrico Schiavina e Damiano Montanari del Corriere dello Sport-Stadio.
Punto in comune? Tutti siamo autori di libri a tema basket e di essi abbiamo parlato durante la serata, bellissima al di là dell’opprimente calura che avvolgeva la città. Sono intervenuti anche pittoreschi personaggi locali che hanno raccontato i loro aneddoti, il che mi ha fatto ulteriormente comprendere quanto qui la pallacanestro sia davvero un fatto sociale. Un'esperienza che non dimenticherò: ringrazio per l'invito Franz Campi, tra l'altro conduttore della serata, e Ultra Edizioni per avermi proposto. Nella foto sono il primo da sinistra.
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È tutto, ci vediamo il 30 settembre. Ciao, e buona stagione!