Wilsooooooon!
#6 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi il nuovo pallone NBA, Parigi, l'allegria di Will Bryant e lo Shootaround.
Ciao, se l'amore per la pallacanestro ti ha fatto dimenticare persino che giorno è oggi, te lo ricordo io: è l'ultimo del mese, perché esce Galis.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il sesto numero della newsletter collegata al mio blog Never Ending Season.
Se credi che lo sport che amiamo sia molto importante e presente nella nostra vita quotidiana e nella società contemporanea, allora sei nel posto giusto. Perché il mio intento è portare il basket fuori dal campo, esplorando legami e connessioni con il mondo che ci circonda.
Galis è gratuita, di qualità e neanche troppo rompiscatole: la pubblico a cadenza mensile. Infatti, penso che non dovrebbe finirti tra lo spam. Tuttavia, per stare sicuri, prima di iniziare a leggere ti chiedo una piccola accortezza. Se per caso hai davvero ritrovato questa mail nella posta indesiderata, per evitare che accada di nuovo fai così: contrassegna il messaggio come “non spam” e salva il mittente nella tua rubrica.
Ora veniamo a noi.
Nella scorsa uscita, ho fatto un punto sulla situazione dei palasport italiani, una recensione del nuovo romanzo di John Grisham e un ritratto di J. Cole. Se non hai letto il #5, recuperalo qui.
Come sempre, ti ringrazio di far parte del mio pubblico, che tu sia qui per la prima volta o ci fossi già. Se mi aiuterai a far conoscere Galis sempre di più, te ne sarò molto grato.
Pronto? Iniziamo il #6 con lo strumento principe del gioco: il pallone. Perché c'è una grossa novità, che in realtà magari già sai, ma è grossa lo stesso.
Bentornato Wilson, ciao Spalding
Prima di tornare a bomba (da tre), concedimi una digressione cinematografica.
Uno dei miei film preferiti in assoluto è Scoprendo Forrester di Gus Van Sant (titolo originale Finding Forrester). Lo hai mai visto? È un film del 2000, con protagonisti il grande Sean Connery, in un ruolo di rara intensità introspettiva, e un allora sedicenne e debuttante Rob Brown, che qualche anno dopo rivedremo in uno dei film più noti tra gli appassionati di pallacanestro: Coach Carter. Tra l'altro, il cast è davvero niente male: F. Murray Abraham, Anna Paquin, il rapper Busta Rhymes e, nel finale, anche un cameo di Matt Damon.
Scoprendo Forrester narra dell'amicizia tra Jamal Wallace, un liceale afroamericano del Bronx con un ottimo talento per il basket e una nascosta passione per la letteratura, e William Forrester, un anziano scrittore che da molti anni vive recluso in casa. I due entrano in contatto su uno sfondo di pregiudizi e convenzioni sociali e, dalle diffidenze iniziali, finiscono per essersi reciprocamente d'aiuto nell'affrontare dubbi, paure, aspirazioni e segreti delle loro vite.
Amo questo film dai pensieri profondi, perché dentro c'è praticamente tutto quello che mi piace: il basket, la scrittura, New York. Ci sono addirittura dei taccuini che hanno un ruolo importante, e se non te l'ho mai detto prima, vado matto per i taccuini, Moleskine in particolare, ma non importa. Forse un giorno tornerò a parlare di questo film in modo più approfondito, perché gli spunti che offre sono numerosi: intanto, leggi la recensione che ho scritto qui.
Un momento, però: non ti avevo detto che avrei parlato di palloni da basket? Infatti, il motivo per cui mi è venuto in mente Scoprendo Forrester è proprio il pallone che Jamal Wallace/Rob Brown porta ovunque con sé: il basket è ciò che gli consente di esprimersi, ma soprattutto è il mezzo per essere accettato dagli altri. Non molla mai l'arancia, palleggia anche dentro casa, facendo a un certo punto esclamare alla madre: «Mi ritrovo la firma di Michael Jordan dappertutto!» Ora, a meno che la sceneggiatura non si riferisca a un tacito e immaginario episodio passato in cui Jamal si sia fatto autografare il pallone da His Airness in persona – il film è del 2000, del resto, e quindi riferibile a un contesto temporale di fine anni '90 – difficilmente sulla palla di Jamal c'era impresso un autografo di Jordan. E sai perché? Perché si tratta di un The Rock.
Forse ti stai domandando: che cosa è un The Rock? No, l’attore-wrestler non c’entra. È un modello di pallone da basket. The Rock, letteralmente “il sasso”, “la pietra”, è anche un'espressione in slang americano che indica proprio la sfera con cui si gioca. Nel nostro caso è un pallone, per così dire, di culto. Più a buon mercato rispetto a quelli dei grandi brand come Nike, Wilson e Spalding, ma di qualità comunque molto elevata stando alle recensioni online, The Rock è tuttora prodotto da una piccola casa di New York, Anaconda Sports, implementa la tecnologia C2C (Core to cover) ed è diffuso soprattutto nei campionati di high school.
Chiusa la parentesi cinema e chiusa anche la parentesi curiosità su The Rock: questo marchio mi incuriosiva e ho voluto saperne di più, condividendo con te il risultato di una rapida ricerca sul web.
Giungo quindi alla main story di questo numero di Galis: la rock più importante nel mondo del basket, vale a dire il pallone ufficiale della NBA, quello con cui si gioca al livello più alto.
Se segui portali e social dedicati alla lega, non dovrebbe esserti sfuggita una notizia sicuramente a margine rispetto alle principali, ma in ogni caso molto significativa, perché ha a che fare con l'arnese grazie a cui il gioco del basket prende vita.
Oltre un anno fa, a maggio 2020, Wilson aveva annunciato l'accordo con cui diventava fornitore dei palloni NBA. Oggi, giugno 2021, il brand di Chicago ha svelato l'attesissimo oggetto in questione, che dalla prossima stagione sostituirà il glorioso Spalding. In realtà, in un certo senso il debutto è già avvenuto: i nuovi Wilson sono stati utilizzati pochi giorni fa alla NBA Draft Combine, quella sorta di vetrina a inviti in cui gli addetti ai lavori effettuano test e valutazioni sui giocatori che potenzialmente verranno scelti al Draft. E che, guarda caso, si tiene a Chicago. Il Draft vero e proprio, quest'anno, è invece in programma il 29 luglio (a Brooklyn), data in cui il pallone sarà messo in commercio negli Stati Uniti.
Quello tra NBA e Wilson è un accordo molto ampio, che prevede anche la fornitura di palloni specifici per tutte le leghe che fanno capo alla Olympic Tower: la WNBA, che ha già iniziato la stagione; la BAL (Basketball Africa League), che ha concluso la prima edizione; la G League; i camp di Jr. NBA; la NBA 2K League, il cui pallone virtuale sarà grigio con elementi rossi e blu per farlo meglio risaltare sugli schermi. Inoltre, saranno in vendita altre tre serie di palloni a marchio NBA, dal design differente rispetto alla linea Authentic, cioè quella della Official Game Ball: Alliance, DRV e Forge.
Dettagli a parte, si tratta di una svolta epocale. Che di per sé non ha nulla di così strano (finisce il contratto con un'azienda e ne inizia uno con un'altra), ma che, considerata la rilevanza e la visibilità della lega a livello globale, assume un valore assolutamente di primo piano e va a toccare l'immaginario di milioni di persone. Perché il pallone sarà giocoforza sotto gli occhi di tutti, dentro e fuori dal campo.
Wilson sarà all'altezza della sfida più importante della sua storia? Tutto fa pensare di sì. Del resto, è un brand planetario, oggi parte del gruppo cinese ANTA Sports. Wilson è il marchio che contraddistingue le più note racchette da tennis e palle da baseball, ad esempio, per non parlare di golf, football americano e pallavolo. E che nella pallacanestro è già presente in modo massiccio in college e high school, fornisce il pallone del circuito FIBA 3x3, della lega australiana NBL e della Basketball Champions League europea. Inoltre, produce il modello più venduto in America, l'Evolution. Anzi, va detto che nel basket Wilson è strettamente specializzata nella fabbricazione di palloni, più che di ogni altro accessorio o capo d'abbigliamento. Per la NBA, infine, si tratta di un ritorno: dagli albori del 1946 fino allo storico titolo dei Philadelphia 76ers nel 1983, il pallone ufficiale era stato Wilson.
A rimarcare la credibilità dell'azienda, c'è poi quella che solo in apparenza sembra una curiosità da cultura pop: a moltissimi, il nome Wilson fa subito ricordare quello che forse è il miglior esempio di product placement nella storia del cinema. In Cast Away, film anch'esso del 2000 come Scoprendo Forrester, Wilson è l'amico immaginario che il naufrago Tom Hanks alias Chuck Noland si inventa per sentirsi un po' meno solo sull'isola deserta. E questo “amico” altro non è che un pallone da volley Wilson, recuperato dal relitto, su cui il protagonista disegna occhi, naso e bocca con le dita insanguinate. Al di là dell'evidentissimo aspetto pubblicitario – così come l'intera pellicola è “brandizzata” FedEx – ho sempre trovato questa idea geniale, in grado di spingerti a una seria riflessione sulla solitudine, che arriva al culmine nella scena di disperazione in cui Tom/Chuck dice addio a quel pallone disperso tra i flutti: nella sua mente era diventato un vero essere umano, l'unico a lui vicino in quei lunghi anni.
Se vuoi conoscere tutta la storia del brand Wilson, la cui fondazione risale al 1913, l'ho scritta qui sul mio blog. Proseguo con una considerazione per sottolineare ancora di più l'importanza di questo cambio di pallone.
La NBA si vuol proporre come la lega sportiva più progressista e innovativa che ci sia, e lo stesso commissioner Adam Silver non disdegna di cavalcare – forse anche troppo – l'onda delle novità, come ha dimostrato nella volontà di mantenere in futuro la formula del play-in, introdotta nella bolla del 2020 e ripetuta nel 2021, e nell’idea di introdurre un torneo di metà stagione in stile Coppa Italia Final Eight.
Però, la NBA è arrivata a essere quello che è – e David Stern lo sapeva bene – grazie anche a una certa dose di conservatorismo che ha contribuito a creare, presso pubblico e addetti ai lavori, una serie di punti fermi e consuetudini talmente forti da apparire inamovibili, cristallizzati, assimilati e, in virtù di ciò, assolutamente difficili da modificare. Equilibri su cui si reggono, per dirne una, robe piuttosto delicate come il contratto collettivo tra giocatori e proprietari, che è il documento grazie al quale è possibile disputare la NBA, pena la sempre temutissima alternativa del lockout (non lockdown, maledetta pandemia!), tema a cui è dedicato tra l'altro l'interessante film High Flying Bird di Steven Soderbergh, disponibile su Netflix e - anche questo! - da me recensito qui.
Insomma, una lega sì votata all'evoluzione e al cambiamento, ma anche retta da elementi e meccanismi cardine che per essere cambiati richiedono un approccio infinitamente cauto e circostanziato. Uno di questi, dato ormai per scontato nonostante fosse solo legato a un contratto di fornitura, era proprio lo Spalding, così entrato nell'immaginario comune che ci si riferiva al pallone da gara chiamandolo direttamente, appunto, “lo Spalding”.
Trentotto anni, l'arco di tempo che va dal 1983 a oggi, non sono pochi, e ahimé lo so bene, dato che sono nato nel 1982, dunque quando il pallone NBA era ancora il Wilson della prima ora. Lo Spalding è stato testimone di un periodo che va dall'epoca in cui la lega si rilanciava sfruttando la rivalità tra Magic Johnson e Larry Bird fino alla NBA globalizzata e ipertecnologica di oggi, passando attraverso l'era di Michael Jordan, Kobe Bryant, LeBron James e tanti altri. In parallelo, il mondo si è evoluto a ritmi vorticosi dalla guerra fredda all'epoca dei social e della pandemia.
Ben comprendi, quindi, quanto accingersi a cambiare il pallone NBA sia una sfida affascinante e senza dubbio delicata. In questo processo, l'aspetto fondamentale, senza cui non si va da nessuna parte, è l'approvazione da parte di chi il pallone lo usa come strumento per realizzare ogni giorno le proprie imprese: i giocatori, e nessun altro. Sono loro che oggi fanno il bello e il cattivo tempo. E grazie a loro lo show va in scena, punto.
Ciò mi ha fatto venire in mente un episodio del 2006, non certo memorabile per Spalding. Era stato raggiunto un accordo con la NBA per sostituire il pallone “classico” in vero cuoio con una nuova e più economica versione in cuoio sintetico, il materiale con cui è fabbricata la stragrande maggioranza dei palloni in commercio. Ma ciò che poteva andar bene per scuole e università, nel professionismo non attecchì e l'esperimento fallì clamorosamente. I giocatori, insoddisfatti delle performance della nuova palla (praticamente di tutto: tatto, presa, rilascio, rimbalzo), protestarono rigettandola in blocco. Dopo appena tre mesi, si tornò allo Spalding originale. La NBA aveva commesso l'errore di imporre dall'alto questa decisione, senza coinvolgere le persone, un tantino influenti e sicure di sé, che quel pallone lo avrebbero usato per lavoro.
Tuttavia, nella mentalità americana, i fallimenti non sono altro che occasioni per migliorare. Così oggi, onde evitare il ripetersi di quella situazione imbarazzante, il nuovo pallone Wilson è il risultato di un minuzioso lavoro di valutazione e approvazione portato avanti dal team dell'azienda insieme a NBA e NBPA (l'associazione giocatori) attraverso un advisory staff di cui fanno parte anche Trae Young, Jamal Murray, Liz Cambage, le star del 3x3 Dusan Bulut e Migna Touré, il trainer Chris Brickley e la consulente creativa, esperta di basket, Beija Velez. Non solo: per scongiurare problemi dovuti alla scarsa propensione a cambiare ciò che funziona bene da tanto tempo, il nuovo Wilson è stato creato praticamente a immagine e somiglianza del predecessore. Gli otto canonici pannelli, gli stessi materiali (cuoio autentico Horween), le medesime specifiche di performance. L'aspetto, perciò, è molto simile, con l'ovvia differenza del wordmark Wilson che campeggia là dove Spalding sembrava ormai indelebile.
Spalding resta comunque un marchio top, e qui ho scritto la sua storia. Un ricordo personale: quando da teenager giocavo con scarse fortune a livello giovanile, ebbi un allenatore che teneva da parte un TF-1000 arancione scuro e lo tirava fuori solo per le partite ufficiali, per cui sembrava sempre nuovo di zecca. Ed era per me un oggetto affascinante. Sembrava proprio quello che Nikos Galis tiene sotto braccio nella foto del suo ingresso nella Hall of Fame. Visto che questa newsletter porta il suo nome, saluto Spalding così.
Parigi & NBA, c'est l'amour
Nel calcio, non sono un grande estimatore del Paris Saint-Germain, così come non lo sono del Manchester City e del Lipsia. Perché non amo molto il concetto di costruire una tradizione vincente esclusivamente a colpi di denaro. Da seguace del basket, però, non posso fare a meno di guardare al club della capitale francese – e alla stessa città di Parigi – con un certo interesse.
Lo sponsor tecnico del PSG, infatti, è Jordan Brand (marchio Nike) e a partire dalla prossima stagione, per la prima volta, una squadra di calcio porterà sulle sue maglie l'iconico jumpman, al posto dello swoosh che stava lì dal 1989. Non solo: la divisa principale 2021-22 avrà il colletto e i bordi delle maniche, oltre al pattern laterale dei pantaloncini, percorsi da una banda bianca e rossa. Sai perché? È un omaggio ai Chicago Bulls, in particolare a quelli degli anni '90. Nelle partite di Champions League, inoltre, il Paris Saint-Germain arricchirà ulteriormente questa maglia – che non piace ai tifosi perché priva della storica banda verticale rossa, ma tant'è – con numeri e nomi in un font che rievoca quello dei Bulls (in campionato non lo può fare, perché la Ligue 1, per coerenza d'immagine, impone il font unico per tutte le squadre).
Forse solo in presenza di un personaggio dall'incredibile influenza e carisma come Michael Jordan sarebbe stato possibile realizzare un simile connubio tra calcio e basket, terreno notoriamente di non facile percorribilità. Il rapporto d'amore tra MJ e Parigi, d'altronde, non è nato ieri. Tutto cominciò nel 1997, quando i Bulls, durante la preparazione della stagione passata alla storia come The Last Dance, arrivarono all'ombra della Tour Eiffel per giocare (e naturalmente vincere) il McDonald's Championship, quel bellissimo “mondiale per club” che non si gioca più da parecchio tempo. Un momento ben narrato e contestualizzato nel capitolo iniziale del libro Air di David Halberstam, scritto un paio d'anni più tardi e da poco uscito anche in italiano sull'onda del successo della serie Netflix. Se da un lato l'entusiasmo dei francesi fu ai limiti dell'opprimente, dall'altro Jordan rimase talmente affascinato dalla Ville Lumière che la liaison non si è più interrotta.
In tempi recenti, la NBA sta ripetutamente rivolgendo lo sguardo verso Parigi. La Francia, del resto, è una delle nazioni che ha mandato più giocatori nella lega e nella capitale la hoop culture è molto radicata. Il Quai 54 è uno dei tornei di playground più intensi e interessanti al mondo ed è sostenuto, ancora, da Jordan Brand. Nel 2020 Adam Silver ha trasferito a Bercy, dopo anni di Londra, la partita dei Global Games, l'incontro di regular season che la NBA disputa overseas. E ha imbastito una collaborazione con un grande marchio parigino della moda, Louis Vuitton, per realizzare il baule del Larry O'Brien Trophy (ne avevo parlato qui) e alcune collezioni di abbigliamento e accessori ispirati al basket.
Al di là della NBA, la pallacanestro parigina vuole incarnare lo spirito di una città in cui l'attenzione al fashion regna sovrana, ma dove se vuoi emergere devi giocare duro e prendere le cose sul serio. Cool, dunque, e insieme hard. Così, nel 2018, è nato il Paris Basketball, club che intende restituire a Parigi una squadra di alto livello in grado di identificarsi con essa, dopo il dissolvimento nel 2007 del Racing, dove giocò Tony Parker.
Partito dalla seconda serie con l'acquisizione di un titolo sportivo, a tre anni di distanza il Paris è stato appena promosso nel massimo campionato francese. Sul parquet si fa basket vero, tanto che il coach, tale Jean-Christophe Prat, è lì fin dalla fondazione della società, ma se sei la squadra di Parigi intorno a te ci sarà sempre un certo glamour. Il parterre è frequentato da celebrità e il club ha ricevuto visite da gente come James Harden e Donovan Mitchell. Entrambi uomini Adidas, sponsor tecnico del Paris. E nel roster figura anche il rapper Sheck Wes.
I ponti con la NBA sono assicurati dalla coppia di proprietari: Eric Schwartz, ex socio di minoranza degli Atlanta Hawks e David Kahn, già executive degli Indiana Pacers e dei Minnesota Timberwolves. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha benedetto l'operazione, rendendo il municipio primo partner istituzionale del club. Brand identity e design sono super fighi, basta dare un'occhiata al sito ufficiale (con dominio .paris...). E a settembre 2023 tutta la baracca, dalla vecchia Halle Georges Carpentier, si trasferirà nella nuova arena da ottomila posti di Porte de la Chapelle, costruita per i Giochi Olimpici 2024. Salut!
Will Bryant o dell'allegria
Conosci Will Bryant? Se c'è un designer o illustratore che riesce a mettermi allegria ogni volta che vedo un suo lavoro, è sicuramente lui.
Non farti fuorviare dal carattere giocoso e, a prima vista, molto semplice dei suoi lavori: Will è un artista estremamente preparato e qualificato, che lavora per i brand più importanti del mondo. Se dai un'occhiata al suo portfolio, ci trovi una sfilza di clienti da paura. Qualcuno? Google, Facebook, Coca-Cola, Adidas, Nike, American Express, AT&T, Red Bull, Samsung, addirittura la Casa Bianca. Lo stile colorato e allegro è ciò che rende subito riconoscibili le sue realizzazioni (wall painting, installazioni, packaging, grafica editoriale, pattern per vari utilizzi, abbigliamento e accessori).
Indovina un po' qual è la sua grande passione? Il basket, esatto. Che ricorre con una certa frequenza nell'arte di Will Bryant. La sua immagine del profilo Instagram è uno smile a forma di palla a spicchi. Will, che viene dal Texas e vive ad Austin, è cresciuto in una piccola e sperduta città, Texarkana, dove la pallacanestro era uno dei pochi svaghi, la valvola di sfogo delle emozioni adolescenziali, il passatempo e il modo principale per socializzare. In terza media diede prova del suo talento artistico dipingendo un Gesù Cristo che si librava tra le nuvole e andava a schiacciare!
Non solo: praticando questo sport, Will ha rafforzato ulteriormente la già solida etica del lavoro trasmessagli dal padre e il basket gli ha permesso di avere ottime opportunità nella sua carriera di creativo. Gli anni '90, con Michael Jordan, Space Jam e l'energia e i colori delle divise delle squadre NBA sono per lui un'inesauribile fonte di ispirazione.
Un paio di anni fa Will Bryant è stato ospite di Double Clutch, lo store di Verona specializzato in basket con cui ha messo su interessanti collaborazioni. E che quando capiterò in zona voglio assolutamente visitare.
Shootaround – consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
Il 16 luglio è il “grande giorno”, almeno negli Stati Uniti: esce al cinema Space Jam. A New Legacy. In Italia, dove il titolo sarà Space Jam. New Legends, perché forse il concetto di legacy avrebbe faticato un po', ci sarà da aspettare fino al 23 settembre. Anyway, a Brooklyn, dalle parti di Williamsburg, lo street artist Madsteez ha realizzato questo spettacolo.
E c'è un'intera collezione Nike dedicata al film, che include anche la nuova scarpa LeBron 19.
Ora un po' di cose da leggere, guardare, ascoltare, sia dal web che dal mio blog.
Se sei rimasto sorpreso dalla Virtus Bologna che ha vinto lo scudetto, e se sei abbonato a Eurosport Player o a Discovery+, puoi vedere qui lo speciale dedicato alla trionfale cavalcata nei playoff delle V nere.
Altri playoff, quelli NBA, sono invece rimasti indigesti a LeBron James, eliminato al primo turno con i Lakers. Un risultato che stona un po' con la sua carriera, ma è andata così. In ogni caso, resta uno degli uomini-simbolo del basket odierno e hanno parlato di lui su Il Trequartista Giorgio Terruzzi, Carlo Pastore ed Emilio Cozzi: ascolta il podcast.
Di questi tempi, seguire dal vivo una partita NBA non è esattamente una passeggiata. Andrea Beltrama si è trovato a Philadelphia e per L'Ultimo Uomo ha raccontato l'atmosfera di una gara di playoff dei Sixers. Con il pubblico.
A proposito, c'è stato qualche problema tra i giocatori NBA e i fan nelle arene: analizza tutto, sempre su L'Ultimo Uomo, Dario Vismara.
Hai presente quando la palla rimane incastrata tra ferro e tabellone? Forse non lo sai: si chiama wedgie. E c'è un italiano, Riccardo Altieri, che ha messo su un sito in cui tiene traccia delle wedgies in NBA: sembra che sia un successone. Eccolo.
Nel frattempo, la letteratura di basket si fa sempre più prolifica. Tra i numerosi titoli appena usciti c'è anche Gli dei dell'asfalto, edizione italiana di Asphalt Gods di Vincent M. Mallozzi, un libro sulla storia di Rucker Park. Lo hanno tradotto, per Add editore, Michele Pettene e Pietro Scibetta. Non appena lo avrò letto, ti farò sapere le mie impressioni. Nell'attesa, leggi su Overtime il pezzo di Andrea Cassini sul playground più famoso del mondo.
E se vuoi acquistare una t-shirt del Rucker, qui ce n'è una economica e niente male.
Per il progetto Sportive Digitali, Raffaella Masciadri e Alessandra Ortenzi incontrano atlete che abbiano qualcosa da dire in fatto di carriera e formazione professionale, oltre il loro percorso sportivo. In questa occasione è toccato a Mary Sbrissa, ex giocatrice di A1 e A2, con un'esperienza universitaria in Oregon. Qui trovi il video dell'intervista.
Per Dinamo Communication, Rosario Cecaro racconta i dietro le quinte delle trasferte di Sassari.
Ancora un bel playground d'arte a Roma: Tiber Courtyard. Da vedere!
Dalla capitale viene anche il rapper Blutarsky, che ha appena rilasciato il singolo Game7. Ne parlo qui. C'è molto basket dentro, come puoi facilmente intuire.
E sempre a Roma, Virginia Raggi ha annunciato l’assegnazione dei lavori di recupero del Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano. Qui la notizia Ansa. Speriamo bene.
Scottie Pippen si dà al whisky e lancia Digits, il suo bourbon: ne dà notizia Food&Wine (in inglese).
Per finire, da qualche tempo c'è una nuova docuserie Netflix: Last Chance U: Basketball. Protagonista l'East Los Angeles College. A me è piaciuta molto anche Basketball or nothing, che ho recensito qui.
Conclusioni
Eccoci qua. Spero che tu sia rimasto soddisfatto da questo numero 6 di Galis e che ti sia stato in qualche modo utile. Mi raccomando, continua a seguirmi, anche su Never Ending Season e relativi social (Facebook e Instagram), dove troverai altri interessanti contenuti.
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Se invece ti interessa il mio libro Il parquet lucido. Storie di basket, una galleria di personaggi, squadre e vicende che hanno lasciato un segno indelebile sul gioco, lo puoi acquistare in libreria in tutta Italia o sui principali store online (qui su Amazon).
Per ora è tutto, ci vediamo il 31 luglio.
Nel frattempo goditi le NBA Finals e, se ti ricordi, il 10 fammi gli auguri: è il mio compleanno. Ciao!