Chiamale pure arene
#5 - Basket, cultura, lifestyle: qui trovi la situazione dei palasport italiani, il libro di John Grisham e cose su un rapper.
Ciao, se sei qui, probabilmente è perché credi che il basket sia molto importante nella nostra vita quotidiana e nella società contemporanea.
Io sono Francesco Mecucci e questo è il quinto numero di Galis, la newsletter del mio blog Never Ending Season. In entrambi ti parlo proprio di tali connessioni, portando fuori dal campo lo sport che amiamo.
La volta scorsa ti ho raccontato il rapporto tra pallacanestro e street art, e molte altre cose. Se non hai letto il numero 4, recuperalo qui.
Che tu sia un nuovo iscritto o ci fossi già, grazie. Sono felice che tu mi segua. Questa sarà sempre una newsletter all'insegna della qualità e confido che mi aiuterai a farla conoscere sempre di più.
Partiamo!
La “corsa al palasport” non c’è
Le riaperture al pubblico degli impianti sportivi sono tra i temi caldi di questo periodo, in particolare per quanto riguarda i due tipi di struttura più diffusi e frequentati: stadi e palasport.
Se segui, in qualsiasi misura, il calcio, sei sicuramente al corrente del fatto che, negli ultimi dieci anni, anche qui da noi si è mosso qualcosa in tema di rinnovamento degli stadi, seppur a ritmo molto più lento e a diffusione contenuta rispetto ad altre nazioni. In ogni caso, appare ormai accettata l'idea che senza uno stadio di proprietà progettato secondo i canoni attuali (spalti con visuale ottimale, ristorazione interna, sky box per i partner, spazi comuni ecc.) sia improbabile perseguire la già difficile sostenibilità del business del pallone.
L'esempio più evidente è quello di Torino, dove la Juventus, con l'Allianz Stadium, ha creato il precedente. Un percorso seguito, anche se in contesti e modalità differenti, da alcune realtà minori: ecco quindi la Dacia Arena di Udine, il Mapei Stadium di Reggio Emilia (casa del Sassuolo, comunque costruito nel 1995), il Gewiss Stadium di Bergamo, il Benito Stirpe di Frosinone. E vari altri club professionistici hanno presentato progetti o avviato iter per dotarsi di un nuovo stadio o ammodernare quello già esistente.
In questo improvviso affollamento di rendering – e mai come in Italia vale il proverbio secondo cui tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare – non mancano flop e dubbi. Pensa alla vicenda dello stadio della Roma. Oppure ai destini incerti di Milano, stretta tra l'ingombrante presenza di San Siro e le esigenze delle proprietà straniere dei due club. Ci sono, poi, città bloccate sul da farsi come Firenze. Altre, è il caso di Genova, lo stadio buono ce l'avrebbero già ma ancora non riescono a riqualificarlo. E ringraziamo le Universiadi se Napoli oggi ha un San Paolo/Maradona più presentabile.
In fin dei conti, però, e mettendo un attimo da parte le difficoltà legate al Covid-19, in un'ottica più ampia si può affermare che in Italia sul fronte stadi qualche progresso sia stato fatto, nonostante ciò sia finora avvenuto in poche piazze virtuose e spesso minoritarie.
Ho fatto questa digressione calcistica – che chiudo qui, tranquillo – come spunto per introdurre lo stesso argomento in chiave basket riguardo ai palazzetti dello sport. O arene, se preferisci l'accezione americana.
Lo statement da cui parto è questo: se nel calcio, con tutto il campionario italico di ritardi e rinvii, si è comunque intrapresa una certa strada, nella pallacanestro non stiamo assistendo a una “corsa al palasport”. Quel senso di urgenza avvertito da un calcio che, giunto nel nuovo millennio, si è reso conto di essere rimasto indietro di trent'anni, della serie meglio tardi che mai, sembra invece che nel basket non sia così comune.
La situazione dei due sport è naturalmente diversa, ma non così tanto. Perché in realtà anche la palla a spicchi italiana avrebbe bisogno di un grande piano di riqualificazione o di costruzione ex novo di arene degne del XXI secolo, in modo tale da accrescere la competitività e la credibilità di tutto il sistema, come non ha mancato di sottolineare il presidente della LBA, Umberto Gandini. Che, d'altronde, è dal mondo del calcio che proviene.
Le risorse del basket sono nettamente inferiori, è vero, ma credo che a monte manchi una certa volontà di investire sulle strutture. Il che finisce per assecondare alcune lacune strutturali del panorama cestistico italiano. In primis, la latitanza delle metropoli ai massimi livelli, fatta eccezione per Milano. Le piazze di provincia – tieni presente una forbice molto ampia per questa definizione – con la passione, tradizione e competenza di certe società, sono l'ossatura portante del nostro basket. Ma a parte la Virtus Bologna – l'unica che vedo davvero volersi dare una dimensione internazionale – nelle loro ambizioni l'Eurolega non c'è, o non può esserci, dato che in ambito europeo, con tutti i distinguo del caso, la tanto vituperata “Superlega” vagheggiata dal calcio è più o meno già realizzata e quindi l'accesso al massimo campionato continentale è ristretto e vincolato ad aspetti che esulano dal risultato sportivo. Come appunto l'arena da almeno 10.000 posti richiesta per partecipare.
Di conseguenza, molti club non hanno né potenzialità né interesse a progettare un grande palasport. A differenza, ad esempio, della Spagna. Là una decina di squadre della Liga ACB vanta impianti idonei per l'Eurolega, dove la rappresentanza iberica è infatti massiccia. A questo discorso, infine, non giova la pressoché cronica assenza di competizioni per nazionali ospitate in Italia, che dopo aver rinunciato alla candidatura per Europei 2013 e Mondiali 2014, ha ottenuto solo un girone di Euro 2022. Che si disputerà – indovina un po' – nella già attrezzata Milano.
Qui su Galis lo spazio non è infinito, né ho intenzione di tediarti oltremisura con i soliti, stereotipati paragoni tra l'Italia lenta e retrograda e gli altri paesi che in un attimo fanno tutto. La questione, ovviamente, è molto più complessa e meriterebbe una lunga inchiesta. Ora voglio semplicemente limitarmi a un'analisi dello status quo, come spunto per ulteriori approfondimenti e riflessioni.
Se poc’anzi ti ho detto che in Italia non c'è una “corsa al palasport”, a ciò si collega un altro dato di fatto: in tempi recenti, nessuna città ha investito su una grande arena di ultima generazione. Un palazzo che potesse essere, per il basket e non solo, un fiore all'occhiello nazionale. Insomma, quel che hanno fatto Berlino, Colonia, Belgrado, Kaunas, Praga, Londra, o Parigi con il rinnovamento di Bercy: tutte oggi dotate di nuovissime arene da circa 15.000 posti, buone persino per l’NBA. Da noi non ce ne sono, e stendiamo un velo pietoso sullo scheletro della... “vela” di Calatrava a Roma.
O meglio, una ce ne sarebbe: il PalaAlpitour di Torino – vale a dire il Palasport Olimpico noto anche come PalaIsozaki dal nome del progettista – realizzato per i Giochi invernali del 2006, che di spettatori ne può contenere oltre 14.000, il più capiente d’Italia. Peccato, però, che Torino non sia esattamente una grande piazza di basket. La squadra locale è in A2 e utilizza il vecchio PalaRuffini.
Tra le grandi arene italiane superiori a 10.000 posti, la più ampia e funzionale in chiave cestistica resta così il Forum di Assago, che beneficia del predominio italiano dell'Olimpia Milano, per ora unica licenziataria di Eurolega, mentre a Roma il Palazzo dello Sport dell'Eur (ex PalaLottomatica) è rimasto tristemente vuoto, sia per la scomparsa della Virtus Roma che per gli alti costi di gestione, i quali starebbero spingendo la massima portacolori capitolina rimasta, l'Eurobasket, a sondare il terreno per realizzare un proprio impianto, come annunciato tempo fa dal presidente Armando Buonamici, ovviamente più piccolo. A Pesaro, invece, la Vitrifrigo Arena è ben messa e ha ospitato con successo la Final Eight di Coppa Italia 2020, giusto in tempo prima dello scoppio della pandemia. E Bologna cosa dice? Tra poco ci arrivo.
La realtà, quindi, è questa: data l'impossibilità o il disinteresse a investire su nuovi grandi palasport, attualmente gli unici movimenti si registrano presso club più piccoli che difficilmente, in futuro, nutriranno grosse ambizioni europee.
Il progetto avviato più credibile sembra quello di Brindisi (nella foto qui sopra). A pochi metri dal vecchio PalaPentassuglia, sorgerà la New Arena da 7000 posti. Un doveroso tributo all'enorme passione dei tifosi della Stella del Sud. Un'opera da oltre 15 milioni di euro che, con i debiti scongiuri, potrebbe essere pronta già nel 2023 e sarebbe poi un impianto strategico per i Giochi del Mediterraneo di Taranto 2026. Il 55% dei costi è coperto da privati e dall'Istituto per il Credito Sportivo, il restante 45% dalla Regione Puglia.
L'altro palasport che potrebbe vedere la luce nel 2023 è quello di Cantù. Una struttura multifunzionale da 5200 spettatori per far tornare a casa la gloriosa squadra brianzola, adesso dislocata a Desio, da realizzare con un investimento di 15,5 milioni di euro, di cui oltre la metà finanziati dal Credito Sportivo e il resto da Comune e privati. Sarebbe il terzo tentativo con cui Cantù prova a costruire un nuovo palazzetto, dopo il naufragio dei due precedenti, la cui storia l'avevo riassunta qui. C'è un solo problema: la squadra è appena retrocessa in A2. La società, però, ha assicurato la continuità del progetto. E ci mancherebbe, mi viene da aggiungere: è il momento di smettere di legare programmi di questo tipo esclusivamente ai risultati sul campo.
Molto interessante anche il piano di cittadella dello sport che sta portando avanti l'ambizioso Derthona Basket, la squadra di Tortona che viaggia in alta serie A2. Il club della cittadina piemontese, che fa capo al Gruppo Gavio, intende realizzare un'arena da 5000 posti circondata da una serie di strutture. Il cantiere sarebbe pronto a partire, ma il progetto, nonostante i tre anni già trascorsi dalla presentazione e la solidità societaria, non è immune alle lungaggini burocratiche.
Nel resto d'Italia, poco altro si muove. Il PalaBigi di Reggio Emilia e l'Enerxenia Arena di Varese sono destinati a lavori di riqualificazione, mentre altre piazze di massima serie hanno strutture già adeguate alla loro dimensione: Trieste (Allianz Dome), Sassari (PalaSerradimigni), Treviso (PalaVerde), Trento (BLM Group Arena), Brescia (PalaLeonessa) e Cremona (PalaRadi). In condizioni Covid free, la squadra che più avrebbe bisogno di un nuovo palasport è quindi la Reyer Venezia, due volte scudettata e da sei anni consecutivi almeno semifinalista. Il PalaTaliercio, con i suoi 3500 spettatori a patire puntualmente la calura tardo-primaverile, è davvero piccolo per una città di 250.000 abitanti e con una simile tradizione. Il proprietario Luigi Brugnaro, che ricopre anche il non indifferente ruolo di sindaco di Venezia, avrebbe fatto inserire nei progetti del Recovery Plan un nuovo palazzo da 15.000 posti in zona Tessera, nell'ambito di una città dello sport che include anche il nuovo stadio di calcio. Tutto è ancora sulla carta e la sensazione è che nella Serenissima ci si dovrà abituare al Taliercio (e al Penzo) ancora a lungo.
Arrivo dunque a Bologna. Sulla sponda Virtus, le difficoltà scaturite dalla pandemia hanno rallentato il progetto della nuova arena di proprietà: un impianto da 15.000 posti per sostenere le mire di Eurolega del club bianconero, da realizzare in area fieristica. Dove, almeno fino al 2024, si continuerà ad utilizzare l'odierna e comunque confortevole Virtus Segafredo Arena (9700 posti, nella prima foto di questa newsletter), allestita nel 2019 come soluzione temporanea per ovviare ai limiti di Unipol Arena e PalaDozza. Il proprietario Massimo Zanetti ha rassicurato che, forse già dal prossimo anno, cercherà di concretizzare il nuovo palazzo, ma non sembra che ci sia tutta questa fretta.
Nel frattempo, con il ritorno dei concerti e degli spettacoli dal vivo, la Unipol Arena di Casalecchio sarà di nuovo “requisita” a tempo pieno dalla musica, e il fatto che nell'epoca delle strutture polivalenti non si riesca a garantire nello stesso impianto l’alternanza di eventi extra sportivi e partite di basket (per queste i posti sono 8800, ampliabili) mi lascia un po’ interdetto.
La Fortitudo, che non ha certo le risorse per costruire un suo palazzo – se sei un assiduo seguace del basket italiano ricorderai la lontana e surreale storia del Parco delle Stelle del “famigerato” Gilberto Sacrati – sembra orientata a tornare al PalaDozza, old but gold. Insomma anche a Basket City, piazza che forse più di ogni altra giustificherebbe una grande arena, la situazione è farraginosa, e non da oggi.
Se poi dai un'occhiata nel resto d'Italia, trovi progetti di nuovi palasport in fase di lancio ma in città che hanno poco o nulla da dire in fatto di basket: Genova (nell'ambito della riqualificazione del Waterfront), Salerno (progettato dallo studio GAU, lo stesso dell'Allianz Stadium di Torino), Terni (al Foro Boario, accanto allo stadio della Ternana, anch'esso oggetto di una possibile ristrutturazione).
C'è poi il discorso abbandono, di cui mi limito ad accennare il PalArgento di Napoli, da anni ridotto a rudere e sulla cui ricostruzione è di nuovo calato il silenzio (si andrà quindi avanti nel discreto PalaBarbuto, proprio di fronte), e a Roma il Palazzetto dello Sport di Nervi in Viale Tiziano, gioiello per il cui recupero si aspetta da due anni il bando comunale. E che, seppur con soli 3500 posti, servirebbe come il pane all'attività sportiva della capitale. Le altre arene italiane superiori a 7000 – Bari, Firenze, Eboli, Livorno, Caserta, Reggio Calabria – sono quasi tutte utilizzate da club finiti in disgrazia, oggi nelle minors.
E così, alla fine, tutto riconduce a Milano. Perché, oltre a disporre già del Forum, è riuscita pure ad aggiungerci un secondo palasport, l'Allianz Cloud (ex PalaLido). Una bomboniera da 5300 spettatori dove gioca l'Urania, in A2, e che fa invidia a molte altre città italiane, Roma compresa. Poi non ci si lamenti troppo se in Italia la parola basket finisce il più delle volte, ancora, ad essere associata al capoluogo lombardo.
Il sogno di Sooley
Sembrava dovesse arrivare in estate, invece ha fatto prima.
Il sogno di Sooley di John Grisham è uscito in Italia, per Mondadori, ai primi di maggio. L'acquisto è stato immediato. E la lettura pure. Puoi capirmi: non capita tutti i giorni che il tuo scrittore preferito venga fuori con un romanzo sul tuo sport preferito. Invece è successo: John Grisham ha scritto un libro di basket. Ho un piano della mia libreria interamente riservato alle sue opere. Ad oggi sono più di 35 titoli, la maggior parte dei quali legal thriller, genere per cui è famoso in tutto il mondo. Ma quattro sono di sport: due di football (L'allenatore e Il professionista, il secondo ambientato in Italia, a Parma), uno di baseball (Calico Joe) e ora uno di basket. E in tutti traspare forte e chiara la sua grande passione sportiva.
Ecco, c'è un aspetto in cui Grisham è americano fino al midollo: non è un “fissato” di sport, come qualcuno potrebbe pensare, ma lo considera una parte fondamentale nella società e nella crescita di una persona. E sarebbe bello che non siano solo gli statunitensi a pensarla così, perché sono convinto che lo sport e la mentalità che porta con sé contribuisca a creare esseri umani migliori e una società più sana, unendo le persone anziché dividerle, creando ponti e terreni comuni anche laddove a prima vista sembra impossibile.
Come nella storia narrata in Sooley (questo il titolo originale), tutta di finzione ma assolutamente verosimile, a parte qualche occasionale e iperbolica licenza, che ci può stare. Il romanzo mi ha sorpreso, senza dubbio. Non ti faccio spoiler, se no come minimo ti cancellerai subito da Galis, né ti racconto la trama, che trovi ovunque sulla sinossi (invece se vuoi leggere la mia recensione, anch’essa senza spoiler, entra qui), ma lasciami dire che il finale è qualcosa di spiazzante. Ha totalmente capovolto le aspettative a cui la narrazione mi aveva condotto, grazie a un passaggio decisivo in cui il Grisham autore di thriller riprende momentaneamente il posto del Grisham sportivo, con quest'ultimo che si riaffaccia poi in maniera commovente nelle ultime pagine.
Il basket è, ovviamente, il filo conduttore della storia, che si intreccia con l'altro grande motivo, quello umanitario, mostrando in modo piuttosto crudo la violenza che dilania certe aree dell'Africa. Per pochissimi, come il protagonista Samuel “Sooley” Sooleymon, talentuoso ragazzo del Sudan del Sud, il basket può essere la via d'uscita e aprire scenari per certi versi impensabili.
Oggi, in un basket globalizzato, l'Africa è considerata un serbatoio di talento potenzialmente sconfinato, come testimoniano l'aumento di giocatori africani ai massimi livelli NBA, da Embiid a Siakam (ma anche i “naturalizzati” Antetokounmpo, Ibaka e altri), e la nascita della BAL, di cui ho parlato qui.
Se ami la pallacanestro, è chiaro che devi leggere Il sogno di Sooley. Non che avessi dubbi in merito, ma Grisham dipinge un ritratto realistico del mondo del college basketball statunitense, svelando qualche curioso retroscena ed enunciando con accuratezza concetti e meccanismi chiave: la March Madness, l’one-and-done, la Combine, fino al Draft NBA. Il romanzo è un viaggio nel basket di oggi, così globale da annullare, in certi casi, distanze apparentemente incolmabili.
J. Cole, il basketball rapper del momento
Che il basket e il rap abbiano un lunghissimo e articolato rapporto è cosa ben nota. Celebrità, per dirne un paio, come Jay-Z e Drake sono molto legate alle squadre NBA – il primo ha posseduto quote dei Brooklyn Nets, il secondo è il volto dei Toronto Raptors – mentre Damian Lillard porta avanti una carriera musicale parallela come Dame D.O.L.L.A..
In questo momento, il rapper che più di altri sta facendo parlare di sé in relazione alla pallacanestro è un personaggio sui generis nel panorama hip hop: J. Cole. Perché non è solo un amante del gioco che si fa vedere alle partite e frequenta le star. No, lui a basket ci gioca, nelle rec leagues (campionati amatoriali) di New York o del suo North Carolina (anche se è nato in Germania, a Francoforte, figlio di un militare in servizio in una base americana), e si allena tutti i giorni.
Una volta, con i buoni uffici del collega rapper Master P, ha fatto un provino con i Detroit Pistons. È un uomo Puma e ha pure la scarpa personalizzata, la Dreamer. Si è esibito all'All-Star Game di Charlotte nel 2019, dove ha fatto da spalla a Dennis Smith Jr nella gara delle schiacciate. Nel 2012 aveva giocato al Celebrity Game. E tanto per non farsi mancare niente è reduce, a 36 anni, da qualche partita disputata nella prima stagione della Basketball Africa League con i Patriots di Kigali, Ruanda.
Jermaine Lamarr Cole – questo il nome completo – è un rapper schivo, umile e riservato, in realtà. Della sua vita privata si sa poco o nulla. Ma su di lui una cosa è certa: tratta la musica come se fosse uno sport. La mentalità competitiva con cui approccia al rap è profondamente ispirata dal basket. Ha costruito la sua carriera artistica con un'abnegazione e un'etica che hanno molto a che fare con il percorso di un atleta.
Se vuoi farti un'idea, ti metto qui il mini doc sul lancio del suo ultimo album, The Off-Season, salutato con tweet di giubilo da tutte le star NBA e pieno di riferimenti al basket. Il titolo, infatti, richiama un tema molto caro ai giocatori professionisti: l'importanza di lavorare duro nel periodo in cui il campionato è fermo, per migliorare e perfezionare il proprio gioco. E lo stesso vale per chi fa musica: devi lavorare prima che le luci si accendano, perché una volta che sei sul palco, o sul parquet, potrebbe già essere tardi.
Se hai tempo, ti consiglio di leggere anche questo bel long-form (in inglese) che SLAM ha dedicato a J. Cole, in cui si parla un po' di quanto ho appena detto.
E ora passiamo al resto dei consigli utili di Galis #5.
Shootaround – consigli di lettura, ascolto, visione, condivisione
In primis, guarda cosa ho trovato. Se non concordi con me che è una meraviglia, non abbiamo più nulla da dirci! E in ogni caso la “colpa” è di Felix Maldonado Jr, che ha dipinto questa roba non molto tempo fa. Dove? Su un muro di East Chicago, appena fuori un locale che si chiama OJ's Game Over, se mai dovessi capitare in zona.
Torniamo in ambito libri, perché, dopo Il sogno di Sooley, ne ho altri da consigliarti.
Se cerchi volumi in italiano su Michael Jordan, hai l'imbarazzo della scelta: qui te ne elenco dieci. Attenzione, però: alcuni sono ormai rarità da collezionisti. Altri invece no, perché il successo di The Last Dance ha incentivato nuove edizioni di titoli già usciti da diversi anni, tra cui delle “primizie” in italiano.
I playoff NBA sono il regno di LeBron James e quindi questo è il momento migliore per leggere l'ultimo libro di Davide Piasentini, firma de La Gazzetta dello Sport: LeBron James. Il ritorno del re, che ho recensito qui. La lettura ideale per ripercorrere la pazzesca stagione 2019-20 e per comprendere chi è oggi il Re e la sua enorme influenza, in campo e fuori. Ho apprezzato soprattutto la parte in cui si analizza LeBron come uomo-azienda, perché credo proprio che andasse fatto in questo modo.
È uscito da ormai un anno e mezzo, ma è sempre il libro dei sogni per chi vive di basket: Basketball Journey di Alessandro Mamoli e Michele Pettene è un'esperienza on the road che non ci si stanca mai di leggere. La recensione la trovi qui.
Ti aggiungo anche altri due volumi realizzati da giornalisti che non provengono dal mondo del basket, e dove quindi potrai trovarci delle imperfezioni, ma che sono comunque ricchi di storie e curiosità: Kobe di Matteo Recanatesi e Marco Terrenato (recensito qui) e Le leggende del basket di Giulio Mola (qui).
Trovati anche un’oretta per guardare la live social di Simone Pizzioli e Riccardo Mele di BasketBooks con Stefano Delprete di add, casa editrice di Torino che ha pubblicato dieci libri di basket di assoluta qualità, e Pietro Scibetta, giornalista, autore e dirigente sportivo. Una bella chiacchierata tra pallacanestro, libri e… aneddoti su Sarunas Jasikevicius!
Ora un po' di articoli.
La stagione NCAA è ormai lontana e allora c'è spazio per approfondimenti, come questo di Isabella Agostinelli che per BasketballNcaa.com ci porta attraverso la passione di cantanti, attrici, giocatori NBA e above all presidenti. Tanto per ribadire quanto la pallacanestro universitaria sia radicata nella società americana.
Gli amici di College Basketball Tour ci segnalano lo straordinario “museo” di cimeli di basket che Massimo Sonda, allenatore dilettante ed enorme appassionato, si è creato a casa sua, in Veneto, grazie a 35 anni di ricerche e raccolta. Ne ha parlato Cats, il magazine de Il Giornale di Vicenza.
Lo scorso 17 maggio è ricorsa la Giornata mondiale contro l'omofobia: Luca Picco su Overtime racconta la storia di Jason Collins, primo giocatore NBA a fare coming out.
Davide Chinellato de La Gazzetta dello Sport ha parlato con Fedez, grande appassionato di basket. È sua la voce della versione italiana di That's game, lo spot ufficiale dei playoff NBA.
Ai Miami Heat è finita l'era delle divise ispirate a Miami Vice. Qui su The Undefeated (in inglese) il riepilogo di uno strepitoso successo commerciale.
Tim Mulraney di Chrono24, magazine di orologi, ha recensito la Tissot NBA Collection.
Come si crea lo stile di un giocatore NBA? Alessandro Pagano di NSS Magazine se lo è fatto raccontare, in due puntate, dai fashion stylist di Kyle Kuzma e Danny Green (qui) e poi di Montrezl Harrell e Jaren Jackson Jr (qui).
Ti ricordi le Starbury, le scarpe da basket low cost lanciate da Stephon Marbury? Roberto Gennari su Crampi Sportivi scrive anche di esse, intrecciandole con la storia di Coney Island's Finest e And1 Mixtape.
A proposito di playground, a Bergamo e provincia è nato StreetArtBall Project. Qui vedi le opere d'arte in cui sono stati trasformati alcuni campetti della zona.
Michael Jordan, con Vanessa Bryant, ha introdotto Kobe nella Hall of Fame di Springfield. Simone Marcuzzi su Rivista Undici ricostruisce le tappe dell'amicizia tra MJ e KB, mentre su The Undefeated (in inglese) Etan Thomas ha raccolto i ricordi dei giocatori NBA usciti dal liceo nel suo stesso anno, il 1996.
E a Padova, nel quartiere Arcella, gli hanno dedicato questo. Può bastare, per oggi.
Conclusioni
E così anche con il numero 5 di Galis siamo ai saluti. Spero che sia stato di tuo gradimento. Alcune cose importanti e poi ti lascio andare.
Sai che potresti aver letto tutta la newsletter senza essere iscritto? Eh sì, ad esempio se ci sei entrato da un link, oppure se qualcuno te l'ha inoltrata. Ma se ti iscrivi, riceverla e leggerla è più comodo: fallo qui.
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Se invece ti interessa il mio libro Il parquet lucido. Storie di basket, una galleria di personaggi, squadre e vicende che hanno lasciato un segno indelebile sul gioco, lo trovi in libreria in tutta Italia o sui principali store online (qui su Amazon).
Ci vediamo il 30 giugno. Ciao!